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inclusione

Il bilinguismo
come risposta inclusiva
alla diversità linguistica
 

A fronte della mancata valorizzazione dell’intrinseco carattere inclusivo della classe,

si esplora come gestire la diversità linguistica direttamente al suo interno, con docenti di classe,

e come permettere a studenti

con background migratorio l’espressione piena del proprio potenziale. 

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 Pedagogista specializzata sulla psicologia dell’età pediatrica

e sui disturbi specifici dell’apprendimento 

Da tempo nelle classi delle scuole italiane sono entrati alunni ai quali ci si riferisce con l’espressione “studenti stranieri” o “studenti L2”. Spesso oggetto di riflessioni che mettono al centro il loro inferiore successo scolastico attribuendolo sistematicamente alla diversità linguistica, la letteratura internazionale sostiene invece che l’alfabetizzazione in una seconda lingua non costituisce di per sé un fattore di rischio per l’apprendimento. Porre all’origine delle difficoltà di studenti con background migratorio la loro condizione di bilinguismo e, al fine di sostenere l’inclusività del sistema scolastico verso questi, prevedere interventi in caso di competenze linguistiche di base in italiano non raggiunte, rischia di trascurare la complessità del fenomeno e di generare risposte inadeguate a rompere progressivamente il circolo vizioso che li attanaglia.

 

Nominare docenti specializzati appositamente per l’insegnamento dell’italiano agli stranieri, prevedere questo intervento unicamente nelle classi con alunni iscritti per la prima volta al sistema nazionale di istruzione e privi delle competenze linguistiche di base in italiano; così come attivare, per chi ancora non ha raggiunto queste ultime, attività di potenziamento didattico in orario extracurricolare sono azioni che sembrano trascurare sia ciò che emerge dai dati anagrafici rispetto a questa popolazione, sia i benefici dello stare il maggior tempo possibile in classe. Allontanare dalla classe e da altre dimensioni extrascolastiche di socialità con coetanei italiani, avendo come scopo iniziale l’inclusione, sembra determinare piuttosto l’esclusione.

Inclusione ed esclusione si confermano legate a dinamiche di potere le cui conseguenze impattano su coloro su cui vengono esercitate, così come sul sistema che le governa.

 

Chiariamo quest’ultimo punto attraverso i ragionamenti sul tema sviluppati da Daniela Lucangeli, professoressa di Psicologia dello sviluppo all’Università di Padova ed esperta di psicologia dell’apprendimento. Quando io studente mi sento escluso, non trasformo in me ciò che tu insegnante sei, rappresenti e insegni, dunque non apprendo e se, non avanzando io negli apprendimenti, tu mi valuti escludendomi da un’analisi di potenziale, se tu ti astieni da un giudizio che rincuora, rinforza e sostiene, cadendo nella babele del sistema scolastico di oggi in cui la parola “valutazione” viene adoperata con i significati della parola “svalutazione”, io proverò tristezza e sofferenza. Questa si assocerà all’apprendimento, con la possibile conseguenza, data la scrittura della situazione e delle emozioni provate nelle mie memorie, dell’evitamento, del mio disinvestimento nell’apprendimento e di un possibile futuro abbandono scolastico.

 

Si fa così avverare la profezia che si origina dalla diversità linguistica e che si mantiene perché si ignora, nel senso letterale del termine, la ricchezza che quella porta con sé. Nel contempo l’intero sistema scolastico ne esce sconfitto: dal momento che, seguendo Lucangeli, la classe è un organismo vivente, fatto di parti distinte, semi-indipendenti ma sintonizzate fra loro in un flusso vitale che costituisce la stessa funzione per ognuna delle sue parti, esattamente come l’intero corpo sente se una parte di esso viene colpito, la classe assorbe la vulnerabilità degli studenti in difficoltà che ne fanno parte e ne risente ancor di più quando una parte finisce per separarsi dall’organismo. Spesso quando si parla di come favorire l’inclusione di studenti stranieri si pensa ai neoarrivati e a come permettere loro, al primo ingresso nel sistema nazionale di istruzione italiano, l’acquisizione, nel più breve tempo possibile, della lingua italiana, quando in realtà i dati anagrafici ci mostrano come della popolazione studentesca con background migratorio, alla quale si attribuiscono difficoltà negli apprendimenti scolastici, prestazioni peggiori e minori probabilità di essere promossi, l’80% sia nato in Italia.

 

Dunque, nel momento dell’ingresso alla scuola primaria questi studenti sono raramente alla prima iscrizione al sistema di istruzione, sicuramente non alla prima esposizione alla L2. Di fronte a questi dati, investimenti in corsi di alfabetizzazione appaiono risposta inappropriata ai reali bisogni del gruppo: quando la prima esposizione significativa alla seconda lingua si compie entro i tre anni di età, o durante la scuola dell’infanzia, l’acquisizione dell’italiano non necessita di istruzione esplicita, procede spontaneamente partecipando a più contesti linguistici. Questi studenti hanno bisogno dunque di contesti che offrano, sin dalla nascita, crescenti opportunità di esposizione alla seconda lingua attraverso input forniti da tanti diversi parlanti nativi e di uso dell’italiano e che, nel contempo, supportino gli ambienti della lingua madre, incoraggiando la sua pratica, insistendo sul fatto che essa è risorsa per lo sviluppo della seconda lingua e la sua pratica rientra in una corretta educazione al bilinguismo, generatrice di vantaggi cognitivi.

 

Quale contesto migliore della classe e, ancor prima, delle sezioni di nido e scuola dell’infanzia, l’accessibilità delle quali andrebbe implementata e la cui frequenza continuativa si dovrebbe impegnare a sostenere? Quali attori di contesto migliori di educatori ed insegnanti di sezione/classe, che possono conoscere le varie storie di bilinguismo, vedere quotidianamente i progressi nello sviluppo della competenza linguistica e agire nella zona di sviluppo prossimale di ognuno per favorirne il corretto e completo sviluppo?

Perché i servizi educativi e la scuola, espansioni della sezione/classe, possano concretizzare la loro natura inclusiva, allontanando gli studenti con background migratorio dal rischio della dispersione scolastica, serve però un corpo educatore e docente che, a fronte di questa sua posizione privilegiata, sia dotato di conoscenze e competenze rispetto allo sviluppo linguistico in una seconda lingua, consapevole che la lingua della comunicazione e quella dello studio necessitano di tempi di sviluppo differenti fra loro e mutevoli in base all’età di prima esposizione, alla sua qualità e quantità. Serve un corpo di educatori e docenti che, così formato sullo sviluppo bilingue, vedendone i vantaggi e la risorsa che la presenza in classe di questi studenti può costituire, ristrutturi la sua didattica in un’ottica multilinguistica che permetta di camminare insieme a tutti gli studenti verso il successo scolastico, nel riconoscimento reciproco dell’identità di ognuno, che parte dall’attenzione per il singolare percorso di sviluppo di ciascun alunno, primo passo per promuovere una reale inclusione.

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