formazione
Le competenze dei docenti su cui concentrare
la formazione
Occorre investire nel rinnovamento formativo dei docenti che si deve concentrare su due competenze basiche dell’insegnante: la capacità
di far funzionare la classe come gruppo e il superamento
delle modalità trasmissive
o depositarie del sapere. Non serve aspettare una trasformazione epocale:
ogni insegnante può essere
il mutamento che sta attendendo.
Pedagogista. Direttore del Centro Psicopedagogico
per l’educazione e la gestione dei conflitti
In tutte le ricerche internazionali, la qualità degli insegnanti rappresenta l’indice più importante per valutare la qualità stessa del sistema scolastico. Pertanto, per raggiungere un buon livello di questo indicatore le strade, da sempre, sono due: un buon reclutamento in fase di assunzione e, forse ancora di più, una formazione in servizio continua e sistematica che permetta non solo l’aggiornamento ma anche la sperimentazione dei cambiamenti professionali.
Si tratta necessariamente di una formazione pedagogica, dato che proprio la pedagogia è la scienza che sovrintende la natura stessa dell’organizzazione scolastica nel senso dell’apprendimento e della valutazione. Va detto, senza paura né incertezze, che la situazione italiana su questi due versanti è da sempre in condizioni ben lontane da un riconoscimento significativo.
Il sistema di assunzione avviene infatti su basi non sempre legate alla competenza professionale e la formazione in servizio langue da tutti i punti di vista, nonostante le infinite dichiarazioni. E quando viene fatta, molto raramente segue la necessità di aumentare il bagaglio e il repertorio degli strumenti pedagogici di cui gli insegnanti di ogni ordine e grado devono o dovrebbero disporre. Negli ultimi anni, tutti gli investimenti sulla formazione dei docenti sono andati in due direzioni che definirei discutibili: l’aggiornamento nell’ambito della cosiddetta didattica digitale e l’aggiornamento sugli aspetti neuromedicalizzanti degli alunni disabili o portatori di DSA. Concentrare tutto su queste due questioni lascia un buco spaventoso sulle competenze basiche che appartengono all’insegnante e che possono essere in due punti essenziali.
Anzitutto, la capacità di far funzionare la classe come gruppo. Alla base occorre la consapevolezza che gli alunni vivono la scuola nella dimensione sociale e quindi non possono essere gestiti individualmente come succedeva nell’Ottocento. L’apprendimento va organizzato in funzione della componente sociale in ordine alla condivisione che questo comporta. Esistono tecniche e dispositivi che aiutano e che dovrebbero diventare una competenza normale, logica e acquisita da tutti gli insegnanti. Sto pensando, ad esempio, alla necessità di far funzionare la classe come gruppo in una logica di accoglienza anche socio-affettiva che permetta agli alunni di sentirsi parte della comunità scolastica come protagonisti attivi e non semplicemente uditori delle lezioni degli insegnanti. Il secondo punto è legato al falso mito della trasmissione di contenuti a tutti i costi. A fronte delle proclamate dichiarazioni che la scuola non è più basata sulle lezioni frontali, la realtà è un’altra, perché tutt’oggi ancora orientata a questa prassi arcaica e vetusta che si rivela più che mai inefficiente.
Grazie alle innumerevoli ricerche, tutti conosciamo la limitatezza dei tempi di attenzione di qualsiasi alunno, anche degli adolescenti, ma, in mancanza di quello che ho segnalato inizialmente, tanti insegnanti non trovano di meglio che riproporre le metodiche da loro stessi vissute quando erano studenti, restando quindi abbarbicati a una visione trasmissiva della scuola basata sull’idea dell’ascolto. Quando questo viene meno, sulla testa dei bambini e delle bambine, dei ragazzi e delle ragazze fioccano le note come grandine estiva, con dichiarazioni roboanti che l’alunno continua a distrarsi, che l’alunno non ascolta e altre constatazioni che non danno credito alla necessità che ogni insegnante sappia affrontare in termini professionali queste inevitabili situazioni. Al punto che molti studenti, specialmente in area preadolescenziale e adolescenziale, si sono divertiti a inventare nientemeno che lo sguardo catatonico, pratica ignota a noi studenti degli anni Settanta, per cui riescono a guardare con intensità l’insegnante senza però ascoltarlo.
Viene da sé che, senza un’azione formativa specifica basata su metodi attivi e non su ennesimi «spiegoni», risulterà ben difficile trasformare questa condizione ormai spesso inerziale degli insegnanti, creando nuove piattaforme professionali per cui qualsiasi docente sappia far lavorare gli alunni piuttosto che inchiodarsi alla pura e semplice idea dell’ascolto di una lezione. E far lavorare necessita di una capacità di predisposizione e preparazione, specialmente di situazioni-stimolo, che sappiano attivare, se non accendere, un processo maieutico per lavorare in classe in una logica di laboratorio piuttosto che di trasmissione frontale di contenuti.
Ne va, in epoca di Intelligenza Artificiale, della sopravvivenza stessa della scuola e del suo contenuto profondo, ossia della comunità scolastica che sa condividere una mission e si offre come possibilità di ricerca esplorazione, scoperta, creatività. Parole che sono il cuore stesso della scuola come l'hanno sognata e sperimentata grandi pedagogisti, tanto più italiani, come Maria Montessori, e grandi insegnanti come Alberto Manzi, Mario Lodi, Gianni Rodari e non solo loro, che nel tempo hanno lasciato delle tracce che dovrebbero risultare gli elementi più utilizzati nella formazione stessa dei docenti.
La più grande risorsa per le scuole sono gli insegnanti, non certo la logistica, i banchi o le attrezzature tecnologiche. Se non si investe nel rinnovamento formativo, se non si crea uno stacco con una generazione che sappia prendere in mano la propria formazione professionale rompendo lo schema della coazione a ripetere all’infinito la diade insegnante-alunno si resta bloccati al palo delle modalità trasmissive o depositarie. Inutile aspettare la trasformazione epocale della scuola, ogni insegnante può essere il cambiamento, un tassello che consente ai bambini e alle bambine, ai ragazzi e alle ragazze che incontra di vivere un’esperienza liberatoria.
Lo testimonia il caso di uno dei più grandi scrittori del Novecento, Albert Camus, premio Nobel per la letteratura nel 1957. Nato in Algeria nel 1913, è poverissimo. Il padre muore un anno dopo la sua nascita, agli inizi della Prima guerra mondiale, e il piccolo rimane solo con la madre e la nonna. Frequenta la scuola elementare, ma è costretto ad andare a lavorare per aiutare la famiglia. Il suo maestro però capisce che quel bambino ha qualcosa. Quindi si reca dalle due donne e le supplica di consentirgli di proseguire gli studi facendogli ottenere una borsa di studio. A noi arriva Albert Camus. Sono state ritrovate di recente le lettere, raccolte in un libro, Caro signor Germain(1), che Camus scambia con il suo maestro. Riporto qui quella che scrisse in occasione del conferimento del Premio Nobel.
19 novembre 1957
Caro signor Germain,
ho aspettato che si placasse un po’ il clamore che mi ha circondato in tutti questi giorni per poterle finalmente rivolgere qualche parola venuta dritta dal cuore. Mi è stato fatto un onore troppo grande, che non ho né cercato né sollecitato. Ma quando ho appreso la notizia, il mio primo pensiero, dopo mia madre, è stato per lei. Senza di lei, senza la mano affettuosa che ha teso al bambino povero che ero, senza il suo insegnamento, e il suo esempio, nulla di tutto questo sarebbe stato possibile.
Non attribuisco eccessiva importanza a simili riconoscimenti, ma questo mi offre se non altro l’occasione per dirle ciò che lei è stato ed è tutt’ora per me, e per assicurarle che i suoi sforzi, il suo lavoro e la passione generosa che vi infondeva sono sempre vivi in uno dei suoi scolari che, nonostante l’età, non ha mai smesso di essere il suo allievo riconoscente. La abbraccio con tutte le mie forze.
Albert Camus(2)
Sono convinto che molti oggi abbiano voglia di recuperare quel gusto e quel desiderio, per cominciare a realizzare una nuova scuola che sappia restare ancorata alla vita e ai sogni dei propri alunni.
(1) A. Camus, Caro signor Germain, Bompiani, Milano 2024.
(2) Ibid., pp. 42-43.