GRANDI
TEMI
MIGRAZIONI
• Alessandro Calvani
Verso un mondo senza false frontiere
• don Gaetano Lo Russo
Una minaccia sfidante
o un'evoluzione ottimizzante?
• Ulderico Sbarra
Ombre sul confine
Una minaccia sfidante
o un'evoluzione ottimizzante?
Le migrazioni sono ancora largamente percepite dall’opinione pubblica solo come invasioni o emergenze.
Sta a religiosi e laici dediti all’assistenza, alle rivendicazioni sociali e forse alla scuola il compito
di uscire da questo stallo
e far rileggere in chiave positiva
il fenomeno.
Teologo e filosofo
Discutere oggi di migrazioni può far male, spesso lo si fa male e si finisce per farsi male. Non solo per la complessità che il tema presenta, ora che è diventato divisivo perché ampiamente adoperato per accaparrarsi consensi. L’utilizzo dei termini “invasione” ed “emergenza” è presente in tutti i media, da Malta alla Gran Bretagna e dagli USA alla Polonia. Vale invece la pena soffermarsi ad analizzare in modo sintetico i dati che sono costantemente ignorati o manipolati. Dati che chiariscono molti aspetti sulle cause che muovono milioni di persone, in preda alla disperazione e sotto la spinta dell’istinto di sopravvivenza, a varcare qualsiasi muro o a eludere un eventuale blocco navale.
Dal punto di vista della paleontologia, le migrazioni non sono un fenomeno inedito. Sono iniziate con la comparsa dei primi ominidi alcuni milioni di anni fa e più di “recente”, circa 70 mila anni fa, un gruppo di 60 mila umani, stanziati tra il Corno d’Africa e l’area subsahariana, a causa delle avverse condizioni climatiche, mosse verso nord e giunse in Europa. Dalle prove raccolte dalla paleogenomica e dall’antropogenesi sappiamo che i nostri progenitori erano ecoprofughi panafricani e sono all’origine di tutti gli attuali 8 miliardi di esseri umani.
Oggi dalle fonti ONU apprendiamo che circa 250 milioni di esseri umani si stanno spostando a causa dei cambiamenti climatici. La grande maggioranza di queste persone si sposta nelle aree limitrofe e solo il 5% approda sulle coste europee, dato che sono pochi quelli che possono pagarsi un viaggio prima via terra e poi via mare. La stessa fonte rivela che circa 700 milioni di esseri umani soffrono la fame endemica, mentre altri 50 milioni sono ridotti in schiavitù. A questi, poi, bisogna aggiungere tutti coloro che sfuggono dalle tante guerre e che non sono facilmente contabilizzati perché gli scenari cambiano di continuo e in peggio. Attualmente il diritto a migrare è stato codificato con gli art. 12 e 13 della Dichiarazione Universale dei diritti umani promulgata nel 1948, ma non esiste il diritto a immigrare. In pratica è sancito il diritto a uscire dal proprio paese, ma non a entrare in un altro.
IN CHE MODO STIAMO RISPONDENDO
Diciamo in sintesi che i governi suprematisti violano le costituzioni nazionali appellandosi alla difesa dei confini e al contrasto dei trafficanti di esseri umani e si barcamenano tra interpretazioni piuttosto discutibili del diritto penale, rendendo del tutto lecita l’omissione di soccorso. Spesso anche i dati vengono tacitati, mentre è costantemente alimentata dai media quella narrazione per cui sembra che solo gli immigrati siano colpevoli di tutti i crimini che si consumano nel Paese.
Al contrario, sul piano economico l’immigrazione sta offrendo un contributo notevole. Se i lavoratori immigrati ricevono dall’INPS circa 7 miliardi in termini di pensioni e NASPI, ne restituiscono almeno 14, collaborando all’incremento del fondo pensionistico che è perennemente in passivo. In ambito sociale, grazie al servizio reso dalle badanti extra-comunitarie le nostre mamme e sorelle italiane possono continuare a lavorare anziché occuparsi di nonni e genitori. In agricoltura gli immigrati rappresentano il 75% dei raccoglitori di frutta, il 90% lavora nelle risaie e un buon 85% è addetto nel settore tessile al confezionamento dei capi. Il piano Mattei, nelle intenzioni del Governo, vorrebbe inaugurare un approccio non predatorio, mobilitando fino a 4 miliardi di euro nell’arco dei prossimi cinque-sette anni. Ma è sufficiente questa goccia nell’oceano dei bisogni?
PERCHÉ NON AGIRE DIVERSAMENTE?
Se escludiamo il Papa, che è una voce che grida nel deserto, le agenzie preposte agli aiuti umanitari sono ormai marginalmente efficaci. L’ONU è ormai del tutto inerme a fronte dei veti incrociati e della cronica mancanza di fondi. I governi delle nazioni più potenti, dopo la dolorosa vicenda dell’Ucraina, sono tutti intenti ad armarsi. E allora chi se ne può occupare? Differire questo compito impegnativo è un atto di grave responsabilità, perché corrisponde ad affidare alle prossime generazioni un impegno di cui non ci siamo fatti carico, ma di cui siamo stati causa remota o immediata. Non assumersi il carico di una ricerca a tutto campo è di per sé un atto di grande responsabiltà da parte di chi ricopre ruoli di governo a tutti i livelli.
Da quanto sta accadendo nel mondo si ha la sensazione che sia necessario un hard reset. Ma chi potrà spingere quel bottone? Con quali idee vincenti venirne fuori? Anche le grandi ideologie hanno ormai ceduto il passo alle ragioni del dio profitto che sta scandalosamente allargando il divario sociale tra gli 8 (otto!) superpotenti che detengono il corrispettivo delle risorse di 3,5 miliardi di indigenti. Allora, quali forze far scendere in campo nel tentativo di correggere questi squilibri?
Starà ancora una volta a noi alzare la voce per uscire da questo stallo. Un “noi” composto da singole molecole, ma capaci di contaminare tutte le altre, grazie a quel liquido dei social nel quale viviamo immersi. Un “noi” mosso da un movimento dal basso simile al FridaysForFuture dedicato ai cambiamenti climatici, paragonabile a quello beat che segnò la rivolta studentesca abbattendo barriere culturali e sociali.
Continuare a considerare le migrazioni il male assoluto da fronteggiare lascerà alle generazioni future un problema non risolto. Alla legge universale della vita che reclama vita non c’è autorità che possa contrapporsi. Chissà se da queste pagine, lette dal mondo della scuola, non si generi una piccola scintilla in grado di accendere almeno una tenue luce sul tormentato futuro che ci attende. Se le nostre coscienze attingeranno alle giuste nozioni e la ragione sociale tornerà in campo a discapito delle narrazioni che provocano tanti sequestri emozionali, solo allora tutti usciremo vincitori da questa sfida epocale. A noi il compito di uscire da un confortevole anonimato e diventare suscitatori di nuove decisioni. Intendiamo ancora una volta un noi forte e determinato perché il più non viene dal meno.