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Riccardo Muti e Claudio Abbado:
due giganti della direzione d'orchestra
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con Matilde Gulmanelli
Riccardo Muti
e Claudio Abbado:
due giganti
della direzione d'orchestra
Riccardo Muti e Claudio Abbado
sono due dei più grandi direttori d'orchestra del nostro tempo, fondamentali per il loro contributo
al mondo della musica classica.
Hanno avuto una carriera straordinaria e un approccio
peculiare al modo di fare musica, specie per la scelta
degli stili interpretativi
e dei repertori compositivi.
Percussionista e musicologo
Scrivere su direttori d’orchestra della levatura di Riccardo Muti e Claudio Abbado, significa riferire di due personalità di assoluto rilievo della seconda metà del Novecento (tuttora vivente e attivo Muti, mentre Abbado è scomparso da ormai dieci anni), che hanno lasciato un'impronta fondamentale nel panorama musicale internazionale. A ciò sono pervenuti attraverso modalità e approcci in parte simili, in parte differenti. Cogliere appieno la peculiarità dei loro percorsi artistici è possibile esplorando le loro carriere, i loro stili di direzione, i repertori affrontati e i contributi forniti alla vita musicale che, in molti casi, sono risultati del tutto innovativi.
Partiamo dalle loro biografie. Riccardo Muti, nato a Napoli nel 1941, dopo avere studiato pianoforte al Conservatorio di San Pietro a Majella sotto la guida di Vincenzo Vitale si trasferì a Milano, al Conservatorio Giuseppe Verdi, per frequentare i corsi di composizione e direzione d'orchestra, con maestri del calibro di Antonino Votto e Guido Cantelli. La carriera di Muti decolla rapidamente quando, nel 1967, vince il prestigioso concorso per direttori d'orchestra intitolato a Guido Cantelli. L’attività lavorativa lo ha portato alla guida di orchestre di fama mondiale, ricoprendo ruoli importanti come quello di direttore musicale del Maggio Musicale Fiorentino, della Philharmonic Orchestra di Londra, dell'Orchestra di Filadelfia e, più recentemente, della Chicago Symphony Orchestra. Ha da sempre un rapporto particolarmente stretto con la Filarmonica di Vienna e, per quasi vent’anni, è stato direttore musicale del Teatro alla Scala di Milano. Ogni incarico ha di fatto visto Muti consolidare la sua reputazione come
uno dei direttori d'orchestra più autorevoli nel mondo musicale.
Claudio Abbado, nato a Milano nel 1933, ha seguito una formazione simile, studiando pianoforte, composizione e direzione d'orchestra al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano. Contrariamente a Muti, Abbado ha perfezionato i propri studi fuori dall’Italia, in particolar modo a Vienna, sotto la guida di Hans Swarowsky.
La sua carriera è iniziata negli anni '60, dopo la vittoria nel 1958 al Concorso Koussevitzky per direzione d’orchestra, cui hanno fatto seguito gli importanti debutti al Teatro alla Scala e alla Filarmonica di Berlino. Importantissimi gli incarichi ricoperti: direttore principale della London Symphony Orchestra, direttore musicale della Wiener Staatsoper e direttore principale dei Berliner Philharmoniker. Come Muti, anche Claudio Abbado ha rivestito un ruolo chiave, per molti anni, come direttore musicale del Teatro alla Scala. Proprio in seno al teatro milanese Abbado volle fortemente la fondazione dell'Orchestra Filarmonica della Scala, destinata a dedicarsi al repertorio sinfonico, fino ad allora negletto rispetto alla prorompente produzione operistica. Verso la fine della carriera, Abbado è stato fondatore e direttore musicale del Festival di Lucerna, creando un'orchestra composta dai migliori musicisti provenienti da tutto il mondo.
Entrambi i direttori hanno lasciato un'impronta indelebile sulle orchestre con cui hanno lavorato. Sotto la direzione di Muti, negli anni ‘70, l’orchestra del Maggio Musicale ha raggiunto livelli di eccellenza fino ad allora sconosciuti al pubblico fiorentino; non da meno è stato il lavoro svolto con l’orchestra della Scala durante il periodo in cui ne è stato stabilmente alla guida (1986-2005), realizzando esecuzioni celeberrime, divenute punti di riferimento sia per gli appassionati che per i musicisti. Allo stesso modo, le collaborazioni di Abbado con la Scala, la London Symphony Orchestra, i Wiener Philharmoniker e i Berliner Philharmoniker hanno prodotto spettacoli e registrazioni leggendarie (storico il Macbeth scaligero del 1975) e hanno consolidato progetti innovativi con un notevole ampliamento dei confini del repertorio orchestrale. La capacità di Abbado di ispirare e innovare ha fatto di lui una figura molto amata dai musicisti che si sono avvicendati sotto la sua guida. La sua direzione ai Berliner, in particolare, è stata segnata da una sorta di processo di “democratizzazione” dell'orchestra, con un coinvolgimento diretto degli strumentisti nelle decisioni artistiche.
Mettere semplicemente a confronto fra loro personalità così rilevanti, magari per sottolinearne differenze e possibili antagonismi, ha poco senso; più utile e corretto rimarcare i tratti essenziali di due visioni dell’arte di dirigere, diverse ma complementari.
L’approccio di Claudio Abbado verso la direzione d’orchestra e il modo di interpretare le partiture è stato spesso descritto come innovativo e visionario, connotato da una particolare attenzione alla trasparenza del suono. Il lavoro di Abbado è stato improntato a una sostanziale flessibilità, finalizzata a infondere ogni volta nelle sue interpretazioni un senso di spontaneità e freschezza. Credeva molto, Abbado, nel potere comunicativo della musica: per questo desiderava rendere le esecuzioni un'esperienza emotivamente coinvolgente sia per i musicisti, sia per il pubblico. Il suo stile direttoriale, privo di rigidità e molto coinvolgente, appare finalizzato a incoraggiare l'orchestra a un’attiva partecipazione all'interpretazione musicale. I suoi gesti, fluidi e poco strutturati, riflettevano la volontà di lasciarsi guidare dalla musica, favorendo un'esecuzione organica e naturale. Questa visione di sostanziale apertura gli ha consentito di essere molto duttile nell'esplorazione di una vasta gamma di repertori, dai classici ai contemporanei.
Muti è maggiormente noto per la precisione e il rigore nelle interpretazioni, da cui prendono vita performances che riflettono una profonda conoscenza e comprensione del testo musicale. È celebre per il suo approccio severo e disciplinato, che esige il massimo rispetto per l'opera d'arte. La sua direzione è caratterizzata da una profonda attenzione ai dettagli sonori e da una chiara visione interpretativa, talvolta (a torto) considerata conservatrice, ma in realtà improntata a un estremo rispetto delle intenzioni dei compositori. La sua convinzione è che l'interprete, e dunque lui per primo, debba “servire” l'autore astenendosi da scelte “aggiuntive” di carattere personale, che potrebbero distorcere la purezza originale dell'opera.
Talvolta è stato attribuito a Muti un carattere autoritario per il suo stile direttoriale forte e deciso, in cui il gesto, preciso e mirato, tende a riflettere un controllo pressoché totale su ciò che accade. È anche per questo motivo che egli riesce a ottenere dalle orchestre un suono estremamente compatto e omogeneo, caratterizzato da un'attenzione meticolosa ai colori orchestrali e alle sfumature dinamiche.
Le sue interpretazioni dei melodrammi, per esempio, sono rinomate per la loro fedeltà al libretto e alla partitura, rendendo massima giustizia alla drammaturgia e all'espressività dei titoli da lui diretti.
In riferimento al repertorio interpretato, entrambi i direttori sono accomunati dalla capacità di spaziare su una serie di titoli vasta e diversificata, ma con alcune differenze significative. Muti ha mostrato di avere un'affinità particolare verso tutto il melodramma italiano (con particolare riferimento alle opere di Verdi), per il teatro musicale di Mozart e per l'opera wagneriana. Fra gli autori preferiti si possono certamente annoverare Beethoven, Tchaikovsky, Respighi e Brahms. In un momento storico in cui doveva ancora attivarsi l'indagine filologica che negli ultimi anni ha interessato autori meno eseguiti e opere meno note, Muti ha avuto il grande merito di dedicare una parte significativa del suo lavoro alla riscoperta e alla promozione di compositori e titoli meno conosciuti, soprattutto della musica italiana. Basti citare il contributo essenziale dato al rilancio di compositori quali Cherubini, Spontini e Paisiello.
Abbado, rispetto a Muti, ha mostrato un più spiccato interesse per la musica del XX secolo e per le creazioni di musica contemporanea. In Italia è stato un tenace promotore del grande repertorio sinfonico di fine Ottocento, in particolare di Gustav Mahler, e di autori come Alban Berg e Luigi Nono. Sotto la sua gestione sia la Scala di Milano, sia i Berliner Philharmoniker, sia il Festival di Lucerna hanno conosciuto un'ampia esplorazione di opere moderne e contemporanee, accanto ai grandi classici. Altri autori di repertorio in cui ha eccelso sono stati Rossini, Beethoven, Brahms e gli Impressionisti francesi.
Un’ultima notazione, che accomuna Abbado e Muti, riguarda la cura rivolta alla formazione dei giovani musicisti, pur coltivata secondo modalità differenti. Abbado si è adoperato soprattutto creando compagini orchestrali giovanili, attive ancor oggi, formate da musicisti provenienti da diversi ambiti geografici: già nel 1978 con la Euyo (European Union Youth Orchestra), poi nel 1987 con la Gustav Mahler Jugendorchester, aperta a musicisti di tutto il mondo, e infine nel 2004, con l’Orchestra Mozart di Bologna.
Il percorso di Muti nel sostegno al talento giovanile si è concentrato maggiormente sulla didattica, nel cui ambito si colloca la creazione della “Riccardo Muti Italian Opera Academy”, che ha per obiettivo trasmettere la sua vasta conoscenza dell'opera italiana a giovani direttori d'orchestra e cantanti, oltre a garantire che le tradizioni musicali legate al mondo del melodramma italiano
vengano preservate e tramandate.
A conclusione di questo breve confronto fra i due grandi direttori, si può affermare che entrambi hanno arricchito il mondo della musica con le loro interpretazioni, le loro scelte artistiche e il loro impegno per la formazione e l'ispirazione dei futuri musicisti. La loro capacità di comunicare con le orchestre e con il pubblico, di trasmettere l'essenza della musica e di elevare ogni esecuzione a esperienza unica e memorabile, li ha resi figure iconiche nel mondo della musica classica. La loro impronta costituisce una vera e propria eredità per le orchestre che hanno diretto e rimane nelle registrazioni che hanno lasciato, offrendo un modello di eccellenza e dedizione alla musica, dimostrando che la grandezza dell'espressione musicale può manifestarsi in molte forme diverse, tutte ugualmente preziose e significative.
ASCOLTI
BEETHOVEN – SINFONIA n. 9 CORALE
Chicago Symphony Orchestra – Dir. Riccardo Muti
Berliner Philharmoniker – Dir. Claudio Abbado
TCHAIKOVSKY – SINFONIA n. 6 PATETICA
Wiener Philharmoniker – Dir. Riccardo Muti
Wiener Philharmoniker - Dir. Claudio Abbado