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Forme rotonde

i GRANDI

TEMI

la PACE

Imparare
a litigare
per educare
alla pace

Aiutare i bambini e le bambine a litigare bene in un momento

della vita prezioso per l’assorbimento degli apprendimenti fondanti l’esistenza stessa costituisce un

piccolo miracolo. È lo spirito

profondo dell’articolo 11 della

nostra Costituzione virato in salsa pedagogica, ma anche un antidoto straordinario contro il bullismo.

Pedagogista.

Direttore del Centro Psicopedagogico

per l’educazione e la gestione dei conflitti

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Non sentivo assolutamente la necessità di rinverdire, a distanza di quarant’anni, un pezzo significativo della mia vita quasi totalmente dedicato all’educazione alla pace. Tra gli anni Ottanta e Novanta, mi ritrovai protagonista di una stagione davvero particolare. A partire dall’84, con Materiali di educazione alla pace, la casa editrice del Gruppo Abele mi diede la possibilità di pubblicare un’importante collana dal titolo Scegliere la pace divisa in alcuni volumi: Educazione al disarmo, Educazione ai rapporti, Educazione alla giustizia, Educazione al futuro e Educazione alla solidarietà oltre alla Guida metodologica. Questi testi fecero il giro delle scuole, lasciando un segno in una generazione di insegnanti che, più di oggi, era motivata da idee di cambiamento della realtà esistente. Come se essere insegnante rappresentasse un desiderio di migliorare, anche politicamente, il mondo in cui gli alunni sarebbero poi diventati cittadini attivi.  


Fino a quel momento, l’educazione alla pace risultava molto spiritualista, orientata ai buoni sentimenti, in una contrapposizione fra tranquillità e agitazione, bontà e cattiveria, armonia e conflitto che avevo definito «modello intimistico». Si trattava di insegnare ai pargoli l’arte di voler bene a sé stessi e al prossimo, di non creare troppi fastidi ai genitori e di comportarsi bene nella società civile. La pace era l’ennesima coniugazione di quel conservatorismo che aveva sempre attraversato la scuola ingaggiata a produrre cittadini più o meno rassegnati e accondiscendenti rispetto al potere costituito.  


Ruppi quella palude di melensaggini soporifere per proporre un modello che poi ho coltivato in tutta la mia ricerca pedagogica: rovesciare il luogo comune che la pace fosse assenza di conflitto, proponendo una visione più dinamica che rappresentasse una connotazione di cambiamento. L’operazione più difficile fu introdurre la distinzione fra «conflitto» e «guerra». Purtroppo, la parola «conflitto», nonostante la sua natura semantica (dal latino cum-fligere, ossia «soffrire assieme»), era – ed è – utilizzata come sinonimo di guerra e di violenza. Posi un problema ancora attualissimo: può un termine neutro e dai forti significati relazionali diventare un equivalente delle drammatiche nefandezze che si compiono in guerra? Cercai di uscire da quel territorio di melassa semantica, che ancora oggi si ripresenta nella narrazione russo-ucraina, spingendo il sistema mediatico a evitare di usare questi due termini come sinonimi assoluti. 


Qualche anno fa, sulla base anche degli studi del grande psicanalista italiano Franco Fornari, attraverso una ricerca1 arrivai al costrutto di «carenza conflittuale» come uno degli elementi più pervasivi per la spiegazione di quel fenomeno così complesso e terrifico che è la guerra, ossia la violenza allo stato puro. Riuscimmo a dimostrare come non nasca dall’eccesso conflittuale ma, al contrario, come intitolai un mio libro ormai famoso, I bulli non sanno litigare2. Nell’incompetenza conflittuale si annida la possibilità di usare la violenza, nel senso che già indicava Umberto Eco, come la più semplice delle strade: eliminare il conflitto con l’altro eliminando l’altro stesso, impedendo alla dinamica della contrarietà di strutturarsi in una logica di confronto e possibile composizione. Il carente conflittuale è incapace di litigare perché è incapace di ascoltare, di reggere il contrasto con le opinioni e le divergenze altrui. È una figura fragile e disperata, profondamente incapace di far valere le proprie ragioni senza la soppressione, non tanto delle ragioni altrui, ma proprio della persona o del gruppo portatore di queste ragioni. Eliminando l’altro, il problema sparisce. Nulla di più semplice e banale per persone e gruppi senza solidità individuale e sociale.  


Si apriva un nuovo mondo per l’educazione alla pace, non più confinato in un ambito davvero ristretto quanto aperto al saper stare con sé stessi e con gli altri. Nel 1999, al nome del «Centro Psicopedagogico per la pace», l’Istituto che ho fondato nel 1989 e che da allora dirigo, aggiunsi «e la gestione dei conflitti». Nel 2013, sostituii la parola «pace» con «educazione», con la previsione, ahimè troppo ottimistica, che non ci fosse più bisogno di un’accentuazione pacifista così marcata.

 

Litigare Bene: un progetto che si diffonde sempre più 
Il lavoro fatto è davvero tanto. Senz’altro il progetto che più mi ha coinvolto e che ha creato anche più interesse è il metodo Litigare Bene3 rivolto ai bambini dai 3 ai 10 anni con la precisa intenzione di liberare i più piccoli dalla pretesa colpevolizzante: «Chi ha iniziato? Chi è stato? Chi ha detto? Chi ha fatto? Chi ha torto? Chi ha ragione?». Domande che sono risuonate nelle nostre infanzie d’antan e che risultano assolutamente improprie rispetto al mondo infantile che usa il contrasto e il litigio come modalità di conoscenza delle proprie risorse e di autoregolazione sociale nel gioco, nella sfida, nella competizione reciproca. Il metodo si basa su un’idea molto semplice, ma difficile da realizzare non tanto per i bambini quanto per le abitudini adulte, specialmente quelle interventistiche. In pratica, in questa fascia d’età sperimento il passaggio da una modalità per cui la maestra stabilisce la soluzione del litigio infantile a una modalità in cui si invitano i bambini e le bambine a condividere con l’altro le proprie ragioni, si sollecita non tanto lo spegnimento della lamentazione («Maestra mi ha detto… maestra mi ha fatto…»), piuttosto la sua enfasi per fare in modo che queste reciproche versioni vadano a incontrarsi in uno spazio dedicato, il Conflict corner (l’angolo del conflitto) dove un gomitolo, che viene passato di mano in mano, consente di prendere parola; alcuni foglietti servono per scrivere (o disegnare) la propria versione dei fatti; su altri si sigla l’accordo raggiunto. Si crea così un luogo un po’ magico dove decontrarre le emozioni di rabbia, di paura, di furia aggressiva per ritrovare un possibile, ma non sempre necessario, accordo che avvicini i due alunni. Sono tante le scuole che hanno assunto questo metodo. Abbiamo creato anche un network di formatori4 che lo possono proporre negli istituti scolastici e fortunatamente il progetto sta circolando anche in Europa e nelle scuole montessoriane di vari altri Paesi europei5


Ritengo che aiutare i bambini e le bambine a litigare bene in un momento della vita così prezioso per l’assorbimento degli apprendimenti fondanti l’esistenza stessa costituisca un piccolo miracolo, che sia davvero questo lo spirito profondo dell’articolo 11 della nostra Costituzione virato in salsa pedagogica, ma anche un antidoto straordinario contro il bullismo. Una misura utile anche al mondo degli adulti davvero bisognosi di imparare l’arte del comunicare nelle situazioni di conflittualità, ossia l’arte più importante del vivere assieme. 


Allora mi permetto di supporre che gli italiani, anche seguendo le indicazioni di Papa Francesco, siano risultati in Europa fra le nazioni più contrarie all’alimentare la guerra di Putin spedendo in Ucraina continue riserve di armamenti che invece di spingere a una negoziazione e a una trattativa, enfatizzando i temi tragici della vittoria, dell’eroismo, della cancellazione del nemico e della conquista dei «sacri confini». Provo a sognare, forse a illudermi, che tutto il lavoro svolto in questi quarant’anni di educazione alla pace, di metodo Litigare bene, di buona gestione dei conflitti nelle scuole abbia sopperito allo scarso utilizzo del nostro articolo 11 della Costituzione negli ambienti più strettamente politici, forgiando, viceversa, un’opinione pubblica che non ha nessuna intenzione di lasciarsi irretire dai miti della guerra giusta. 

1 D. Novara, Dalla carenza alla competenza conflittuale. Una ricerca che apre nuove scoperte, in «Conflitti. Rivista italiana di ricerca e formazione psicopedagogica», n. 4, 2014, pp. 26-27. 
2 D. Novara, L. Regoliosi, I bulli non sanno litigare. Insegnare ai ragazzi a vivere con gli altri e a rispettarli, BUR-Rizzoli, Milano 2018. 

3 D. Novara, Litigare fa bene. Insegnare ai propri figli a gestire i conflitti, per crescerli più sicuri e felici, BUR, Milano 2013, p. 116; D. Novara e C. Di Chio, Litigare con metodo. Gestire i litigi dei bambini a scuola, Erickson, Trento 2012; D. Novara, Litigare per crescere. Proposte per la prima infanzia, Erickson, Trento 2010. 
4 https://www.metododanielenovara.it/formatori-territoriali-metodo-litigare-bene/  
5 Il libro Litigare fa bene è stato tradotto in russo e in tedesco. 

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