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Convivere con le macchine
sempre più intelligenti

L’informatico e scrittore italiano

che da 20 anni è Professore di Intelligenza  Artificiale prima all'Università  di Bristol

e poi in quella di Bath, viene intervistato

sullo stato dell’arte del machine learning. Nell’intervista si esplorano i temi dell’impatto dell’AI sulla ricerca scientifica e sulla visione del mondo nell’imminente futuro; sulla possibilità di attribuire alle macchine

una volontà autonoma di azione.

L’intervista si chiude con un estremo

atto di fiducia nei giovani e nella loro

capacità e volontà di migliorare il mondo, anche attraverso l’uso dell’AI.

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 Professore di Intelligenza Artificiale all’Università di Bath (Regno Unito)

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1) L’intelligenza artificiale sembra essere la nuova frontiera della scienza tout court, non solo sul piano informatico. Basta pensare ai premi Nobel 2024, che hanno visto premiare Hinton e Hopfield per la Fisica, e Hassabis, Jumper e Dave Baker per la Chimica. Secondo lei, quale sarà l’impatto di questi algoritmi sulla ricerca scientifica, oltre che sulla vita quotidiana?

Entrambi sono strumenti per fare ulteriore ricerca: il primo per la biologia molecolare, il secondo per l’intelligenza artificiale. Possiamo aspettarci un futuro dove avremo macchine sempre più intelligenti, e le useremo anche per fare scienza, per esempio nel campo biologico.

 

2) Cosa pensa di quanto scrive Paolo Benanti nel suo libro, “Le Macchine Sapienti”, circa il fatto che, con lo sviluppo dell’informatica e dell’intelligenza artificiale: “assistiamo a sviluppi tecnologici (capacità di fare) che non corrispondono a nessuno sviluppo scientifico (capacità di conoscere e spiegare)”? L’IA sembra potenziare enormemente le nostre abilità, ma non ci offre alcuna visione alternativa del mondo e del posto dell’uomo al suo interno.

Siamo ancora all’inizio, e spesso il fare precede il sapere: è stato così con l’agricoltura, e con la macchina a vapore, e con molte altre innovazioni. Oggi non solo le comprendiamo a fondo, ma abbiamo creato nuove parti della scienza per studiarle, come la genetica e parte della fisica. Continuiamo a studiare.

 

3) Nel suo ultimo libro, “Sovrumano”, edito da Il Mulino, come i precedenti, lei delinea una differenza tra Narrow Intelligence e General Intelligence. Qual è esattamente la differenza tra i due tipi di intelligenza?

Un conto è avere uno specialista, che sa fare benissimo una cosa sola. E un altro conto è avere un generalista, che fa abbastanza bene tantissime cose. Questa è più o meno la differenza tra ANI e AGI, e la seconda viene talvolta comparata (in un certo senso) al tipo di intelligenza umana, anche se noi non siamo particolarmente generali.

 

4) Se abbiamo ben compreso la definizione di intelligenza generale come macchina o algoritmo che funziona in modo competente anche quando è applicato a compiti per i quali non è stato precedentemente addestrato, non possiamo non osservare che, con questo, siamo giunti a una forma di intelligenza molto prossima a quella umana. Può un’intelligenza di questo genere fare un passo successivo, ossia spingersi a una attività di ricerca sulla base di motivazioni apparentemente del tutto emotive e filosofiche, come la curiosità, l’esplorazione, il desiderio di comprendere?

Ogni forma di intelligenza serve ad affrontare situazioni nuove: quella specialistica affronterà istanze nuove dello stesso problema, quella veramente generale forse affronterà anche problemi interamente nuovi, e da qualche parte in mezzo ci siamo noi e le nostre macchine. È una questione di grado. Ma non vedo perché debba essere impensabile che una macchina esplori il mondo in modo autonomo, allo scopo di imparare più cose. A me sembra naturale.

 

5) La comprensione della realtà è limitata dalle capacità percettive dell’uomo. Kant ne prese atto in modo razionale (e rassegnato) distinguendo tra ciò che appare (fenomeno) e la realtà in sé (noumeno), della quale proclamò l’inconoscibilità. Poiché nel suo ultimo libro lei ha affermato di essere aperto all’ipotesi che l’intelligenza artificiale generale superi l’uomo nella sua comprensione della realtà, attingendo al sovrumano (da intendersi semplicemente come ciò che sta sopra, ciò che supera le capacità razionali dell’uomo) lei pensa che stiamo per assistere a un salto di civiltà nella comprensione dell’universo?

Non sono un esperto, ma questa distinzione tra fenomeno e noumeno non verrebbe intaccata: ogni agente può solamente conoscere le cose che gli appaiono. A me sembra quasi una tautologia, che si applica anche alle macchine. Ma questo non esclude una comprensione diversa o superiore rispetto alla nostra. Si tenga presente, però, che avere una macchina con una nuova comprensione dell’universo non implicherebbe che noi la possiamo capire.

 

6) Nel 2023 lei ebbe un interessante confronto con Paolo Benanti, a Rimini, in occasione del Meeting di CL. Tra i rischi paventati da Benanti ci fu quello della manipolazione degli utenti da parte di chi gestisce gli algoritmi dell’intelligenza artificiale. L’esempio era costituito dal ponte costruito tra Manhattan e Long Island per raggiungere Jones Beach, inizialmente concepito in modo che su di esso potessero passare solo auto private e non pullman, al fine di salvaguardare il carattere esclusivo della spiaggia. L’allusione di Benanti era al fatto che i progettisti, o i controllori, degli algoritmi possano indirizzare le risposte per le loro finalità. Parliamo non tanto di quelli deputati alla ricerca scientifica, quanto di quelli che presiedono, ad esempio, al funzionamento dei motori di ricerca.

Non c’è bisogno di presumere alcuna malafede: bastano anche gli errori involontari, che sono molto più frequenti, e che in questo campo si pagherebbero. Dobbiamo sempre vigilare che le nostre tecnologie o innovazioni non finiscano per escludere o danneggiare qualcuno. Può capitare facilmente anche a scuola, basta fare una gita o adottare un testo o un tipo di equipaggiamento, e magari non vediamo che qualcuno resta escluso da questa decisione. Chiaro che una tecnologia così potente pone il rischio di influenzare chi la usa: cerchiamo di vigilare tutti insieme, spesso i guai capitano per sbaglio.

 

7) L’IA determina un aumento della capacità di analisi dei dati, ma diminuisce il ruolo dell’individuo nell’esaminare e dare senso alle informazioni. Se la cultura è visione del mondo, questa non sarà più quella dell’uomo, ma quella della macchina. Tra l’altro, nel determinare una visione culturale, la funzione dell’emozione, del coinvolgimento personale sono determinanti come chiave di lettura. Non ci sarà più alcun ruolo per tutto ciò. Esiste, però, anche il pericolo inverso, ossia di una IA che può riplasmare l’informazione per adeguarla alle preferenze dell’interlocutore umano, confermandolo nei suoi pregiudizi. Quali sono i pericoli di una visione filosofica, ossia di una concezione generale del mondo, condizionata da tutto questo?

Non condivido alcune premesse della domanda: il ruolo dell’individuo potrebbe anche essere amplificato, avendo a disposizione strumenti potenti e conoscenze avanzate, un artista potrebbe programmare i computer e una giornalista leggere archivi scritti in lingue a lei sconosciute. Un infermiere potrebbe trattare pazienti che ora hanno bisogno del medico. Non è affatto detto che l’individuo debba uscirne indebolito, dipenderà da noi e da quello che faremo nei prossimi anni. Un dialogo tra le culture è necessario, ma sulla base dei fatti e dei dettagli, per questo li sto descrivendo meglio che posso nei miei libri: per avere questa conversazione.

 

8) Facendo ricorso alle categorie di Umberto Eco, lei si sente, rispetto all’Intelligenza Artificiale e alle sue potenzialità, ma anche i suoi pericoli, un “apocalittico” o un “integrato”? O forse occorre un’altra categoria, intermedia rispetto a questi due estremi? Magari quella di “guardingo”?

Le categorie che contano sono diverse: sono speranzoso per il futuro, grato di poter vedere tanti giovani impegnati a cambiare il mondo in questa impresa collettiva, felice che stiano lavorando su cose costruttive, e certo che i nostri studenti useranno bene questa opportunità per capire e migliorare il mondo. Fidiamoci di loro, e cerchiamo di essere all’altezza delle loro speranze.

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