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inclusione

L'inclusione a scuola oggi
con alunni sempre più difficili
 

La scuola che ha successo nell’inclusione dei suoi allievi e, quindi, anche del soggetto con disabilità, è una scuola predisposta ad accettare le necessità personali ma, soprattutto, sa accogliere tutte le diversità e incontrare i bisogni di ogni alunno, non avendo paura di rinnovare la propria didattica. 

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 Professore Ordinario di Pedagogia Speciale

dell’Università Cattolica 

Riflettere sullo stato dell’inclusione delle persone con disabilità è sempre complicato, si rischia di illuminare troppo o troppo poco paesaggi e situazioni di vita complessi. Un dato di fatto emerge analizzando con obiettività l’attuale esperienza inclusiva in Italia: il grande cammino compiuto. Il nostro Paese ha raggiunto livelli, sul piano inclusivo, che gli altri Paesi occidentali osservano con ammirazione. Il diritto delle persone con disabilità di vivere una vita pienamente integrata nei normali contesti sociali è oramai generalmente consolidato e ciò è merito della scuola, della sua azione inclusiva totale e di quei politici illuminati che, oltre 50 anni fa, ebbero la grande intuizione pedagogica di aprire le porte delle scuole comuni anche alla persona con disabilità.

 

L’INCLUSIONE OGGI IN CLASSI DIFFICILI

Il mondo, però, sta cambiando velocemente e, dopo gli anni terribili del Covid, la sensazione diffusa è che la scuola stia assorbendo e ospitando un malessere giovanile difficilmente risolvibile senza un’assunzione di responsabilità da parte di insegnanti e dirigenti in grado di operare con competenza e orizzonti di senso. L’inclusione, infatti, può avvenire solo in contesti scolastici in cui gli allievi trovino accoglienza e benessere, in ambienti educativi dove i bisogni specifici di tutti possano essere riconosciuti e soddisfatti. Ma realizzare ciò è assai complicato perché i bambini e le bambine, i ragazzi e le ragazze mostrano comportamenti sempre più difficii.

 

In ogni istituzione scolastica gli insegnanti pongono all’attenzione degli organi competenti le problematiche legate agli allievi ed è un dato inconfutabile che molti minori presentino comportamenti inidonei alla vita sociale: poco rispetto per l’autorità, mancanza di buona educazione, incapacità di rispettare le regole, sfrontatezza nell’affrontare i rapporti interpersonali, poca sensibilità nel comprendere le problematiche altrui, scarsa capacità di sopportare le normali frustrazioni di una vita comunitaria di classe, oppositività e rifiuto, tutti atteggiamenti che solo pochi anni fa erano certamente presenti, ma non così diffusi come sembra attualmente. Stiamo parlando, quindi, non degli alunni con disabilità, ma dei loro compagni privi di deficit, i quali presentano problematiche personali marcate che, se non gestite in modo opportuno, rischiano, come purtroppo accade sempre più spesso, di compromettere gravemente la vita di classe. Se sono cambiati i ragazzi sono certamente mutati anche i genitori. Sono sempre meno le famiglie che si affidano fiduciose all’istituzione scolastica, che ripongono negli insegnanti la loro stima, che non osano contraddirli; di contro sono certamente in aumento i genitori che criticano, che giudicano, che esprimono opinioni non solamente sulle competenze educative dell’insegnante ma persino su quelle didattiche. Occorre molta competenza per superare questo scollamento tra la scuola da una parte, le famiglie e gli allievi dall’altra, una competenza avanzata sul piano relazionale, gestionale, comunicativo e 2 didattico, una competenza che renda capaci di rispondere ai bisogni specifici di alunni con deficit, ma anche a quelli degli allievi “difficili”, quei soggetti che, per una serie di condizioni, soprattutto di origine esogena, non riescono ad adattarsi ai normali canoni di convivenza sociale in classe e nella scuola.

 

L’allievo problematico, colui che è incapace di rispettare le norme della convivenza scolastica, colui che si mostra impreparato, che studia poco e i cui risultati sono spesso insufficienti, non si sa come trattarlo. Non si sa come agire. L’unica soluzione possibile in mano agli insegnanti non può e non deve essere la sanzione punitiva, le note di condotta, le esclusioni dalla classe, i rimandi all’autorità superiore. Agire bene sul piano inclusivo anche nelle classi difficili è possibile; le esperienze e le evidenze ci dicono che quando si lavora bene, si opera con competenza mettendo in campo le competenze descritte di seguito:

 

Prima: si pone massima attenzione ai bisogni personali assumendo un atteggiamento ermeneutico che consente di decifrare innanzitutto i bisogni primari dei ragazzi per determinare se hanno problemi fisiologici, se non sono amati, se non sono rispettati, se non sono stimati dagli amici. Inoltre, occorre fare attenzione al bisogno di successo: anche gli allievi difficili desiderano avere risultati positivi, ma spesso vanno incontro a forti delusioni; non riuscendo a raggiungere il successo scolastico adottano atteggiamenti di difesa, comportamenti certamente non adatti di trasgressione che li rendono però capaci di mostrare a sé e agli altri il loro valore.

 

Seconda: si progettano l’accoglienza e l’accompagnamento per trasmettere a ciascun allievo il proprio personale interesse per lui e per la sua vita. Ogni allievo ha bisogno di essere rispettato per quello che è, ha necessità di essere accettato e accolto. Ognuno di noi offre il meglio di sé stesso in una situazione ambientale, sociale e affettiva nella quale gli altri ci stimano e ci vogliono bene.

 

Terza: si rinnova la didattica con la differenziazione didattica. Le evidenze e le ricerche ci dicono che per lavorare bene sul piano inclusivo, cercando di aiutare veramente i nostri allievi, occorre impostare su un piano completamente nuovo il nostro modo di operare e di proporre le attività in aula.

 

Se vogliamo operare bene sul piano inclusivo, rispondendo ai diversi bisogni individuali presenti, è necessario mettere in atto la differenziazione didattica, la sola che permette ai singoli di trovare a scuola un ambiente capace di favorire la loro crescita personale, culturale, sociale. Essa si basa sulla possibilità di differenziare in classe i contenuti, il processo ed i prodotti, permette di lavorare contemporaneamente con attività differenti, progettando a gruppetti o per singoli allievi, consapevoli che i ragazzi non hanno un’unica testa, ma potenzialità, interessi, prontezze differenti che occorre conoscere e riconoscere, rispettare e valorizzare.

 

La differenziazione didattica è possibile a tutti i livelli e in ogni grado scolastico, permette di attuare azioni alunno-centriche e non insegnante-centriche, rendendo gli studenti protagonisti attivi e appassionati del loro apprendimento. Certamente essa richiede un grande lavoro di preparazione, ma in classe “libera” l’insegnante dal vincolo del controllo sugli alunni, rendendolo regista e promotore degli apprendimenti dei suoi studenti. Parliamo di apprendimenti, al plurale, poiché la differenziazione, lungi dall’omologare, consente a ciascuno di realizzare il proprio personale percorso di crescita culturale e umana in una dimensione che mette al centro la costruzione sociale degli apprendimenti, consentendo agli studenti di progredire nelle competenze di cittadinanza nel tempo in cui imparano, imparano tanto, imparano bene e trasformano i loro saperi in abilità e competenze, in un clima educativo fortemente inclusivo.

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