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Una scuola per il tempo
della complessità

Educare alla cittadinanza significa oggi raccogliere la sfida di realizzare una Paideia  per il tempo della complessità, ovvero educare  a questa inedita condizione umana dell’età globale, nella quale tutto è connesso.

La scuola non può eludere il compito di promuovere quell’esperienza di cittadinanza che i cambiamenti culturali, geopolitici, economici, tecnologici oggi rendono

quanto mai urgente.

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Professore Emerito di Filosofia della scienza,

Direttore del CRiSiCo, Università IULM, Milano

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Si parla da molti anni ormai di crisi dei sistemi educativi e di crisi della scuola. Sono tanti i motivi e i fattori a cui è riconducibile, ma, forse, si potrebbero riassumere, ancora oggi, con ciò che ebbe a dire una volta lo scrittore Albert Camus: “La scuola prepara i ragazzi a vivere in un mondo che non esiste”.

 

Il fatto che siano proprio le generazioni iperconnesse, grazie a Internet, a percepire la “sconnessione” del sistema scolastico con la realtà dei problemi sociali e vitali del nostro tempo, acuisce il malessere che fagocita gli studenti, ma, per osmosi, anche gli insegnanti. Oggi, sta emergendo una nuova condizione umana, attraverso un inedito e simultaneo aumento di potenza tecnologica e di interdipendenza planetaria. Nel mondo globale tutto è connesso, tutto è interdipendente con tutto.

 

È ciò che stiamo vivendo attraverso le crisi globali (la pandemia, il riscaldamento globale, la guerra…). La complessità del nostro mondo, in cui tutto è connesso, rende urgente focalizzare l’attenzione su come insegniamo e a chi insegniamo. E soprattutto definire meglio cosa insegniamo e con quale finalità lo insegniamo. La diffusione di nuovi veicoli di comunicazione e di informazione spesso annulla ogni mediazione fra il locale e il globale e mette ogni persona a contatto immediato con i più diversi linguaggi e le più diverse culture del pianeta.

 

Questa immediatezza di contatti incide profondamente sullo sviluppo cognitivo ed emotivo sin dai primi anni di vita. Le opportunità per acquisire informazioni e conoscenze si sono moltiplicate e diversificate. I ragazzi acquisiscono numerosissime informazioni e sono esposti a una molteplicità di culture diverse. Ma ciò accade per lo più in modo frammentario, senza alcun filtro interpretativo e senza alcuna prospettiva educativa in grado di interconnettere le molteplici esperienze e il percorso formativo complessivo di ogni singola persona.

 

Di fronte a questa condizione, forte è la tentazione di una abdicazione dai compiti educativi e formativi della scuola, limitando la sua finalità alla semplice trasmissione di alcune competenze, di alcune tecniche e di alcune informazioni di base. Ma è proprio a causa della proliferazione sia di informazioni e conoscenze sia di contesti e opportunità di apprendimento, che il compito formativo della scuola diventa, se possibile, ancora più decisivo. La frammentazione delle esperienze, delle informazioni e dei saperi è il maggiore ostacolo alla formulazione e alla comprensione dei problemi. C’è bisogno di un nuovo umanesimo per rigenerare le finalità della scuola.

 

Ma non si può confondere l’indispensabile orizzonte umanistico della scuola futura con il semplicistico riproporre nozioni “classicamente” umanistiche, nel quadro di un riconfermato dualismo fra saperi umano-sociali e tecnico-naturalistici, che rischia di inficiare proprio il valore degli stessi studia humanitatis. I quali, peraltro, come avvertiva Eugenio Garin, sono utili se sono intesi come li intendevano gli umanisti italiani del Quattro-Cinquecento, e cioè come un modo di metterci in rapporto con l’umanità e il suo operare nella storia del mondo e della Terra, come una maniera di ricordare il passato per definire il presente e immaginare il futuro. Machiavelli studiava Tito Livio per capire la novità emergente degli Stati moderni...

 

C’è bisogno di quadri e orizzonti mentali/culturali in cui inscrivere le discipline, integrarle in saperi che corrispondano ai grandi problemi della condizione umana attuale, e ineludibili per il futuro: i Grandi Racconti dell’Universo, della Terra, dell’Evoluzione della Vita e dell’Uomo, l’Europa una e molteplice, la Pace, la Tecnoscienza con coscienza, l’Antropocene, la Comunità di destino planetaria... Meta-saperi che si sviluppano “ibridando” i saperi disciplinari tra loro, consentendo che in ognuno si possa entrare e da ognuno si possa uscire solo per ritrovarsi in un altro. Per converso, non si può confondere l’innovazione pedagogica neppure con il semplice ricorso al digitale (e tra poco all’IA), che può diventare ipertrofico e frammentare ulteriormente conoscenze già troppo frammentate.

 

È urgente educare a un nuovo spirito critico, che intenda mettere l’intelligenza artificiale al servizio dell’intelligenza riflessiva. La scuola è il luogo dove imparare a non delegare il proprio pensiero e la propria responsabilità a nessuno, tantomeno alle macchine, seppure “intelligenti”, e a non servire le tecnologie mentre ce ne serviamo. Durante la DAD, abbiamo toccato con mano la profondità del solco tracciato dal digital divide, di tipo socio-economico, che separa ricchi e poveri. Ma si è ormai profilato un nuovo tipo di digital divide, di tipo culturale. Questo non intercorre tanto fra chi può utilizzare e chi non può utilizzare le nuove tecnologie, ma fra i pochi capaci di servirsi consapevolmente delle nuove tecnologie per comprendere e governare la rete dei saperi, da una parte, e, dall’altra, i molti dotati di tecnologia ma non di cultura, che vedono solo frammenti isolati, sono ciechi sulle loro interconnessioni e sono quindi utenti passivi (una nuova servitù di massa?).

 

Il rischio dell’analfabetismo di ritorno non è attenuato, ma addirittura intensificato dalla semplice diffusione delle nuove tecnologie. In ogni caso, la rivoluzione delle tecnologie emergenti e dell’intelligenza artificiale e la rapidità del loro impatto sul mondo della produzione e dei servizi ha già messo in crisi una scuola orientata alle competenze lavorative e professionali. Le relazioni fra scuola e mondo del lavoro sono rapidamente cambiate. Le tecniche e le competenze diventano obsolete nel volgere di pochissimi anni. L’impresa nella società di domani sarà sempre più un luogo di apprendimento. Mentre la scuola sempre più dovrà promuovere lo sviluppo di quelle capacità che consentono di apprendere ad apprendere per tutta la vita. Perciò non bisogna tornare indietro: a dover scegliere tra un sapere umanistico e un saper-fare tecnico.        

 

Bisogna conciliare l’uno e l’altro, in vari modi, a tutti i livelli della scolarizzazione e in ogni percorso di istruzione. Mai come oggi la cultura è condizione di emancipazione sociale e, per converso, mai come oggi la povertà culturale può minare l’esercizio di una cittadinanza piena e attiva. Non abbiamo mai avuto tanta scolarizzazione, e non abbiamo mai avuto tanta ignoranza rispetto a ciò che accade nel mondo. Educare alla cittadinanza significa oggi educare all’inedita complessità della condizione umana nell’età globale, nella quale tutto è connesso.

 

La scuola non può eludere il compito di promuovere quell’esperienza di cittadinanza che i cambiamenti culturali, geopolitici, economici, tecnologici oggi rendono quanto mai urgente. È una cittadinanza plurale: locale, nazionale, europea, globale. Oggi la scuola è investita del compito urgente di aiutare ogni persona e ogni gruppo a integrare e a connettere la pluralità delle proprie molteplici appartenenze e deve aiutare a conoscere la pluralità delle culture del mondo, ineludibilmente destinate a incontrarsi nel mondo globale, e peraltro dalle radici intrecciate attraverso i tempi lunghi e medi della storia di una umanità una e molteplice.

 

Riformare la scuola riconducendola nella cornice del vecchio paradigma della nazionalizzazione delle masse, invocare la necessità di «insegnare l’Italia», di «insegnare la Nazione» isolata dalla storia globale, non educa alla cittadinanza ma alla sudditanza. Come persone e come comunità nazionali abbiamo, attraverso l’intreccio di tante storie, una identità plurale, complessa. E, pur continuando a essere insediati in una dimensione locale, facciamo di fatto sempre più parte di molteplici scenari globali. La storia globale non è la semplice somma di tante storie locali…

 

Nello scenario del ritorno tragico e imprevisto della guerra in Europa, scatenata dai rigurgiti nazionalisti e neoimperialisti, educare alla cittadinanza plurale e planetaria ha il valore di una priorità ineludibile. Così come nello scenario di una crisi ecologica sempre più drammatica, prioritario è educare a una nuova alleanza con la Terra. E così come in uno scenario dominato da una barbarica esibizione di disumanità (nella deportazione di persone incatenate, nel respingimento di persone in fuga da miseria, stupri, violenze di ogni genere, nel massacro di persone innocenti…) prioritario è il rispetto e l’uso coerente delle parole, a maggior ragione quando si parla di scuola, e di “centralità della persona”. È la sfida di una Paideia per il tempo della complessità, in cui tutto è connesso.

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