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Diritti sospesi:
   alunni e alunne senza cittadinanza italiana


Ulderico Sbarra
   Rotta balcanica


 

Diritti sospesi:
alunni e alunne
senza cittadinanza italiana

 

Da troppo tempo l’Italia attende una riforma della legge sulla cittadinanza che riconosca la realtà plurale

della nostra società e uguali diritti

e opportunità a chi nasce e cresce

nel nostro Paese.

Non possiamo attendere la campanella del prossimo anno scolastico

per risvegliare il dibattito,

occorre agire oggi: sono i giovani

a chiedere una svolta. 

 Research Specialist, Save the Children Italia 

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A settembre, il suono della campanella di inizio anno scolastico ha accompagnato il risveglio del dibattito sulla riforma della legge sulla cittadinanza nel nostro Paese, tornato a far rumore su media e giornali in seguito all’amaro sbiancamento del murales dedicato alla pallavolista azzurra Paola Egonu.

 

Ed è così che è riemersa la proposta dello ius scholae, già presentata a marzo 2018 e arenatasi alla Camera a giugno 2022, che prevedeva il riconoscimento della cittadinanza italiana per i minorenni stranieri nati in Italia, o arrivati prima del compimento dei 12 anni, che avessero risieduto legalmente e senza interruzioni in Italia e che avessero frequentato regolarmente almeno 5 anni di studio in Italia, in uno o più cicli scolastici.

 

E, ancora, tante associazioni e ali politiche hanno rilanciato idee e proposte svariate ma legate da un intento comune: riformare con urgenza la legge sulla cittadinanza, troppo restrittiva e ormai anacronistica. Non da ultimo, il referendum per chiedere la riduzione da 10 a 5 degli anni di residenza legale in Italia necessari per poter avanzare la domanda di cittadinanza che, una volta ottenuta, sarebbe automaticamente trasmessa ai propri figli e alle proprie figlie minorenni. Ne beneficerebbero, secondo il comitato promotore, 2,5 milioni di persone.

 

Tra loro ci sono anche centinaia di migliaia di bambini e bambine che frequentano le scuole del nostro Paese. Come Save the Children, noi lo vediamo ogni giorno nel nostro lavoro, nelle classi di tutta Italia: oggi la scuola è diversa, multiculturale, teatro di una ricchezza linguistica, culturale, religiosa straordinaria e potente.

 

Lo scorso anno scolastico sono stati circa 915.000 gli alunni e le alunne con cittadinanza non italiana, in forte crescita rispetto all’anno precedente. Secondo i dati del Ministero dell’Istruzione e del Merito, si tratta di più di un alunno su dieci (11,2%), che nella maggior parte dei casi è nato in Italia. Parliamo di italiani di fatto ma non per la legge: bambini, bambine e adolescenti che hanno condiviso ore di lezione, giochi, interrogazioni, attività di doposcuola, con i loro compagni di classe con cittadinanza italiana, ma per i quali si prospetta un percorso in salita, fatto di diritti negati e opportunità mancate.

 

Nonostante l’impegno profuso da dirigenti e docenti di fronte alla sfida dell’intercultura e le tante esperienze positive di inclusione, le disparità nei percorsi scolastici tra studenti italiani e studenti con cittadinanza non italiana restano marcate, a partire dal tasso inferiore di iscrizione alla scuola dell’infanzia per i secondi. I più recenti dati del Ministero dell’Istruzione e del Merito confermano inoltre un maggiore ritardo scolastico tra gli studenti e le studentesse con cittadinanza non italiana (26,4%), rispetto a chi è italiano (7,9%). Un divario che si amplifica alla scuola secondaria di secondo grado (48% vs. 16%) e a cui si aggiunge il dato preoccupante dell’abbandono scolastico: un quarto degli studenti di 17-18 anni con cittadinanza non italiana non completa il percorso di istruzione secondaria.

 

Il background migratorio incide anche sui livelli di apprendimento: le prove INVALSI del 2024 evidenziano esiti in italiano e matematica inferiori per i minori di prima e seconda generazione, rispetto agli studenti e le studentesse italiani.

 

Il divario più significativo si registra alla scuola secondaria di I grado, dove alunni e alunne di prima generazione conseguono complessivamente un ritardo nei livelli di apprendimento di italiano pari a circa due anni di scolarità, uno per le seconde Nuova versione generazioni. In inglese, invece, in tutti i cicli scolastici i minori di prima e seconda generazione ottengono risultati di gran lunga migliori rispetto a chi non ha un background migratorio: un vantaggio probabilmente dovuto al fatto che questi alunni e alunne sono esposti sin da piccoli ad almeno due lingue, e quindi maggiormente predisposti ad apprendere le lingue straniere, come recita INVALSI.

 

Non è, però, solo una questione di lingua, cultura, origini diverse: è lo status di cittadino a fare la differenza. Nel nostro Paese, la Legge n. 91 del 1992 limita i diritti e le opportunità di molti alunni e alunne nati e/o cresciuti in Italia ma senza cittadinanza. Gli studenti e le studentesse con cittadinanza non italiana incontrano, ad esempio, maggiori difficoltà rispetto ai loro compagni di classe a partecipare a una gita scolastica o a un soggiorno educativo all’estero o a una competizione sportiva, e, successivamente, anche ad accedere all’Università o ai concorsi pubblici.

 

E non è tutto. Nel rapporto “Il mondo in una classe”, i risultati di un’indagine condotta da Save the Children coinvolgendo più di 6.000 studenti tra i 10 e i 17 anni frequentanti la scuola primaria e secondaria di primo e secondo grado in cinque città (Catania, Milano, Napoli, Roma e Torino), mostrano come il mancato riconoscimento della cittadinanza italiana influenzi negativamente anche le prospettive future.

 

Tra gli studenti e le studentesse con background migratorio, è proprio lo status di cittadino a fare la differenza, innalzando le aspettative dei minori che la ottengono rispetto al livello di istruzione più alto che pensano di conseguire. Cresce allo stesso tempo il senso di appartenenza alla scuola, alla comunità e al Paese quando viene riconosciuta la cittadinanza italiana. Un riconoscimento sulla carta che vale mille parole, che parla di appartenenza e comunità, di crescita e opportunità, di presente e futuro.

 

È di fronte a queste evidenze che Save the Children ha lanciato già nel 2023 una petizione per chiedere una riforma della legge sulla cittadinanza per i bambini e le bambine nati o cresciuti in Italia, accompagnata da politiche efficaci di inclusione scolastica che sostengano i percorsi educativi degli studenti con background migratorio, con l’obiettivo di ridurre le disuguaglianze negli apprendimenti. Un appello che in breve tempo ha raccolto più di 100.000 firme, sintomo di un’esigenza sentita e condivisa e che oggi più voci sostengono con forza e determinazione. Di fronte a tanti tentativi falliti e aspettative disattese, non possiamo attendere che sia la campanella del prossimo anno scolastico a risvegliare nuovamente il dibattito sulla cittadinanza, ricordandoci l’urgenza di riformare una legge vecchia di trent’anni.

 

È necessario agire oggi, dando priorità ai diritti di bambini, bambine e adolescenti. Sono proprio i giovani a chiedere una svolta decisiva: secondo una recente indagine Istat, quasi il 60% dei giovani intervistati è favorevole allo ius soli e un ulteriore 21,7% sostiene l’acquisizione della cittadinanza per i nati in Italia a fronte di un periodo di residenza. Desideri e istanze che non possono passare inosservati e che oggi devono trovare radici solide. Fare politica significa porsi in ascolto ed essere lungimiranti nel creare il futuro che bambini, bambine e adolescenti si aspettano. Tocca ora a noi, all’Italia, essere all’altezza di tali aspettative.

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