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inclusione

Sulle tracce
dell'inclusione
 

La storia dell’inclusione scolastica degli alunni con disabilità

(in Italia) ha radici profonde

ed è una storia di progressi

e di rivendicazioni, ma anche

di continui aggiustamenti

per garantire una scuola davvero accessibile a tutti. 

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Ex Direttrice didattica, Dirigente tecnico

con funzione di Dirigente USR Umbria

Parlare dell'inclusione scolastica degli alunni con disabilità in Italia vuol dire attraversare un lunghissimo periodo, mezzo secolo, e ragionare su un processo che, come tale, non è mai definito, evolve e si modifica in base alle condizioni, e alle visioni, socio-politico-culturali del tempo, che determinano inevitabilmente gli interventi legislativi e la progressiva trasformazione dei modelli educativi. La storia dell'inclusione si sviluppa attraverso varie tappe. Ricordiamo le fondamentali a partire dagli anni ‘70, quando si iniziò a mettere in discussione il modello delle classi speciali. Determinante fu la Legge n. 118 del 1971 (art. 28 … L'istruzione dell'obbligo deve avvenire nelle classi normali della scuola pubblica, … Sarà facilitata, inoltre, la frequenza degli invalidi e mutilati civili alle scuole medie superiori ed universitarie).

 

A seguire, nel 1975, fu pubblicato il documento redatto dalla Commissione presieduta dalla senatrice Falcucci che portò poi al vero momento di svolta rappresentato dalla Legge n. 517 del 1977, che dispose l’integrazione degli alunni con disabilità nelle scuole elementari e medie e istituì le figure degli insegnanti di sostegno, gettando le basi di un modello educativo ancora unico al mondo. Non è irrilevante riflettere sullo spirito del tempo in cui questo provvedimento si colloca: gli echi dei movimenti del ’68 sono ancora forti, il principio delle democrazie partecipative e l’ondata partecipazionista si manifesta sia nel campo dei pensieri e dei propositi sia in quello delle pratiche (ad es. i decreti delegati e gli organi collegiali sono istituiti tra il 1974 e il 1977), si diffondono gli insegnamenti di Don Milani e l’attività professionale di suo fratello, Adriano Milani Comparetti, psichiatra, che può essere considerato il pioniere della neuropsichiatria infantile. Tutto ciò determinò lo spostamento verso il pensare ad una scuola di tutti, per tutti e di ciascuno.

 

Negli anni ‘80 si consolidò il sistema e la frequenza degli alunni con disabilità fu regolamentata anche per la scuola dell’infanzia e per quella secondaria di secondo grado. Arrivano poi gli anni ’90 e, dunque, la Legge Quadro n. 104/92 che definì i diritti delle persone con disabilità in tutti i contesti della vita, inclusa l’istruzione, portando a sistema l’integrazione scolastica, frutto di leggi diverse, estendendola dall’asilo nido all’università. Non va dimenticato che questa legge è ancora in vigore, pur se modificata in alcuni aspetti, soprattutto per quanto riguarda proprio l’inclusione scolastica, e che da essa discende il diritto agli ausili necessari e al Piano Educativo Individualizzato (PEI). Si aggiunga che, nello stesso periodo, la dichiarazione di Salamanca (UNESCO, giugno 1994) affermò che gli alunni con bisogni educativi speciali devono poter accedere alle scuole normali e che la scuola ha il dovere di personalizzare gli interventi educativi.

 

Il nuovo millennio si apre con l’Autonomia scolastica (D.P.R. n. 275/99): il riconoscimento dell’autonomia didattica e organizzativa delle scuole consentiva una flessibilità che avrebbe potuto e dovuto essere anche il principale strumento a supporto del processo di inclusione degli alunni con disabilità, in quanto mezzo indispensabile per adattare il curricolo alle necessità formative di ciascun allievo. E poi arriva il modello bio-psico-sociale introdotto dall’I.C.F.(1) (O.M.S. 2001), che ribalta la concezione di disabilità prendendo in esame i molteplici aspetti della persona, correlando la condizione di salute al suo contesto, pervenendo così ad una definizione di “disabilità” come di “una condizione di salute in un ambiente sfavorevole”. E la Convezione ONU per i diritti delle persone con disabilità del 2006, ratificata dall’Italia nel 2009, fa suo questo approccio con l'obiettivo di conseguire la piena inclusione sociale, mediante il coinvolgimento delle stesse persone con disabilità e delle loro famiglie, individuando nel contesto culturale e sociale un fattore determinante. Riporto due principi su tutti: l’accomodamento ragionevole e l’autodeterminazione.

 

E ormai la strada maestra è tracciata. Siamo nel 2015: viene emanata la L. 107 (la Buona scuola) e, a seguire, nel 2017 gli otto decreti attuativi. Tra questi, il Decreto legislativo n. 66 (poi integrato e corretto nel 2019 con il D.Lgs n. 96) che, rivedendo alcuni aspetti della L. 104/92, assumendo il modello dell’ICF, riprendendo l’impianto della L. 328/2001 sul progetto individuale, ridisegnando il modello organizzativo e di governance della scuola al fine di favorire l’inclusione, rappresenta l’ulteriore tappa del cammino dell’inclusione: il primo punto di arrivo di un lungo percorso di avvicinamento.

 

Anno 2020: non ricordiamo questo anno solo perché si stava faticosamente uscendo dal periodo della pandemia, ma perché, per quanto riguarda il processo di inclusione, nel mese di dicembre viene emanato il decreto interministeriale n. 182, attuativo dell’art. 7 del D.Lgs n. 66, che introduce il modello nazionale di PEI. Norma potente, pur se condizionata ancora dalla mancata attuazione di un provvedimento legislativo che avrebbe dovuto precederla, o comunque accompagnarla, cioè il decreto di adozione delle "Linee guida per la redazione della certificazione di disabilità in età evolutiva ai fini dell’inclusione scolastica e del Profilo di funzionamento, tenuto conto della classificazione ICF dell'OMS”, pubblicate dal Ministero della Salute nel mese di novembre 2022 e delle quali non è noto conoscere le sorti di recepimento a livello di singole Regioni. E questo è un vulnus perché il profilo di funzionamento è propedeutico alla redazione del PEI e a quella del progetto individuale e su ciò il dibattito, e i contrasti, sono tuttora in corso. Ma, si diceva, il D.I. n. 182 del 2020 è una norma potente perché l’aver introdotto un modello nazionale di PEI, affrancandolo dalle scelte discrezionali delle singole scuole, è garanzia di uniformità operativa sul territorio nazionale, finalizzata ad assumere una visione prospettica per promuovere una progettualità che vada oltre la scuola, verso gli altri contesti di vita.

 

Si tralascia intenzionalmente di riferire sulle varie vicende giudiziarie caratterizzanti l’iter e l’attuazione del decreto sia perché sono l’ennesima, triste consuetudine del nostro Paese, sia perché, passata la tempesta, le scuole stanno finalmente iniziando a lavorare secondo il nuovo approccio e si intravvedono già i primi positivi segnali di cambiamento. È stata qui tralasciata, per esigenze di sintesi, l’analisi dell’evoluzione legislativa riguardo ai corsi di specializzazione per le attività di sostegno e alla formazione docente ma, come facilmente comprensibile, è intrecciata al percorso dell’inclusione con diverse modifiche normative, tra le quali le recenti introdotte dalla Legge n. 106 del luglio 2024… Ma questa è un’altra storia.

 

L’inclusione degli alunni con disabilità, e oggi non più solo di questi ultimi, è stato, ed è, un percorso prima di tutto coraggioso, costellato di lotte e di progressi, di inciampi e di sfasature ma anche di sfide sempre aperte e di conquiste visionarie. E chi ha visto coincidere la propria vita professionale con il processo dell’inclusione e ci si è confrontato, come accaduto a me dal 1976 al 2021 nel succedersi dei diversi ruoli ricoperti, sa e può testimoniare come sia stato a volte entusiasmante, altre frustrante, altre ancora sfidante per la burocrazia oppressiva, per le difficoltà organizzative, per le divergenze con gli specialisti sanitari o per le resistenze culturali, ma come sia stato sempre altrettanto emozionante e appagante quando alla fine i risultati sono arrivati.

 

Inclusione in ambito sociale vuol dire appartenere a qualcosa. L’inclusione, dunque, è radicalmente diversa sia dall’assimilazione sia dall’integrazione. “Inclusione dell’altro significa piuttosto che i confini della comunità sono aperti a tutti(2).

 

Essere inclusi a scuola significa allora soprattutto sentirsi accolti in un ambiente entro cui tutte le condizioni possono essere valorizzate, rispettate e fornite di opportunità, un “luogo” di convivenza rispettosa delle varie unicità personali, dove i concetti di uguaglianza ed equità rappresentano la bussola dell’agire educativo e dovranno continuare ad ispirare le politiche e le pratiche degli anni a venire.

 

 

 

(1) La Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute. Fa parte della Famiglia delle Classificazioni Internazionali dell’OMS insieme all’International Statistical Classification of Diseases and Related Health Problems 10th revision (ICD-10), all’International Classification of Health Interventions (ICHI), e alle Classificazioni derivate.

(2) Cfr. J. Habermas, L’inclusione dell’altro, Feltrinelli 2013.

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