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Fame e Fama,
binomio contemporaneo
Il volume curato da Dalla Ragione
e Vanzetta spiega come i disturbi dell’alimentazione e della nutrizione siano diffusi e amplificati dai social media. La scuola può contribuire
a risolverli rilevando i disagi, migliorando l’alfabetizzazione
digitale e rimandando
ad agenzie specializzate.
Giornalista pubblicista
e membro dell’Ufficio Stampa e Comunicazione
CISL Scuola Nazionale
Chi ricorda la serie TV della Metro Goldwin Mayer Television degli anni Ottanta che aveva per protagonisti gli eclettici studenti della prestigiosa High School for the Performing Arts di New York, che si applicavano con tutte le loro forze per raggiungere la Fame, la fama, non avrà difficoltà a ricordare il titolo del libro che vogliamo recensire.
L’affinità tra il libro e la serie TV non è immediata solo nell’esplicito richiamo del titolo, “Social Fame”, ma anche nei soggetti che ne sono protagonisti: i giovani che vogliono raggiungere la visibilità e il successo. Il gioco di parole esplicitato nel titolo guarda anche alla doppia valenza del vocabolo “fame” che, a seconda dell’interpretazione inglese o italiana, rimanda poi a una tensione biologica e, al contempo, dell’animo.
“Social fame” è una collazione di sedici brevi saggi elaborati da quattordici professionisti tra medici, pedagogisti, biologi, dietisti, social media strategist, curati dalla psichiatra e psicoterapeuta Laura Dalla Ragione insieme alla psicoterapeuta Raffaella Vanzetta. Le due, unite anche dalla collaborazione prestata in SIRIDAP Onlus, la Società Italiana di Riabilitazione Interdisciplinare contro i Disturbi Alimentari e del Peso con sede a Todi, in Umbria, hanno interpellato professionisti diversi sul tema dei disturbi alimentari e della nutrizione negli adolescenti e dell’incidenza dei social media nel determinare questo disagio e altri collegati.
Il libro spiega come i disturbi dell’alimentazione e della nutrizione (DAN) siano di sempre più difficile classificazione perché sempre più diversificati rispetto alle definizioni standard di anoressia, bulimia e binge eating, aggiungendo che essi oggi, in Italia, interessano all’incirca tre milioni di persone, cresciute di numero soprattutto durante la pandemia. Questi disturbi hanno un’origine multifattoriale: psicologia, sociologia e social media management non bastano da sole a spiegarla, ma concorrono a comporre il quadro d’insieme.
Il cibo è un tema che coinvolge non solo la biologia ma la cultura in toto, perché le procedure per produrlo e consumarlo sono ampiamente simboliche. E la diffusione dei simboli del cibo attraverso i social media è sostanzialmente virale. I dati dell’agenzia di marketing digitale “360i” mostrano che sui social media il 25% delle foto di cibo sono finalizzate a mostrare, e a condividere, il modo in cui trascorriamo le giornate. Lo stesso atto di scattare una foto al cibo prima di mangiarlo è, per molti, un comportamento rituale che ne fa apprezzare maggiormente l’assunzione.
Per questo motivo è anche ampiamente diffuso il mukbang watching (la trasmissione in diretta sui social dell’assunzione di cibo, condivisa per combattere la solitudine simulando di essere tra amici o in famiglia e per “mangiare per procura” o per abbuffarsi in modo compulsivo) accompagnato dall’ASMR (Risposta Meridiana Sensoriale Autonoma), che usa i suoni della deglutizione o dell’impiattamento per condividerne le sensazioni.
Parallelamente, il volume riporta numerosi esempi di disagi collegati ai disturbi DAN come il cutting (l’autolesionismo per tagli), il body shaming (la colpevolizzazione degli individui per le loro caratteristiche fisiche, praticata soprattutto sui social media), l’hikikomori (la pratica, molto diffusa tra gli adolescenti giapponesi, dell’isolamento sociale) che i social media contribuiscono pesantemente a diffondere.
L’algoritmo sotteso a Tik Tok dalla cinese ByteDance (come anche quello che fonda il meccanismo di Instagram e Facebook da parte di Meta), pur essendo usato da milioni di persone nel mondo, non è noto, se non a una cerchia ristrettissima di programmatori e lavoratori dell’IT. Lo stesso principio del funzionamento delle macchine che faceva dei tecnici specializzati i protagonisti delle industrie meccaniche negli anni Sessanta. Basandosi sulla riproposizione veloce di contenuti che ci piacciono, Tik Tok diventa una tele-visione portatile e ossessiva. Pericolosissima quando a parlare sono influencer apparentemente autorevoli, ma non specializzati, che trattano temi come salute e fitness.
WhatsApp, Telegram e Signal creano la possibilità di appartenere a gruppi più ristretti, non aperti al pubblico non selezionato, di giovani accumunati dall’interesse verso il cibo o l’autolesionismo o il fitness estremo, vere e proprie “bolle” in cui si ottiene tanto più apprezzamento e vicinanza quanto più ci si infligge diete restrittive, ferite spettacolari e routine di esercizi estenuanti.
La giovane età dei pazienti non consente subito a chi sta loro intorno, ma soprattutto ai soggetti interessati, di rendersi conto di quello che sta avvenendo e quindi della necessità di sottoporsi a cure che, per la loro complessità, vanno affrontate in strutture dedicate, dotate di equipe di professionisti che prendano in carico i pazienti dispiegando in modo sinergico le loro competenze.
“Quando lo spirito dei giovani si raffredda tutta l’umanità batte i denti”, recitava lo scrittore francese Georges Bernanos e, a giudicare dai dati in nostro possesso oggi, i giovani sono nudi, nel pieno di una tempesta. Come può la scuola essere d’aiuto nella risoluzione di questi fenomeni così preoccupanti? In prima istanza, rispondono gli autori, rilevando disagi che possono non apparire evidenti in un contesto familiare, poi agendo sulla alfabetizzazione digitale, su cui essa rischia di arrivare in ritardo rispetto alle competenze apprese nell’interazione tra pari. E poi dedicando del tempo specifico, trasversale in tutte le materie, a mettere in guardia sulla esistenza del fenomeno DAN e sulla facile veicolazione di contenuti fallaci nei social media, indicando agenzie specializzate che possono aiutare a risolverlo.