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Gli attori del merito sono sempre tre: la natura, i dispositivi sociali e istituzionali e il soggetto persona,

con la sua libertà e responsabilità.

Ma il “merito”, se strumentalizzato e malinteso, può trasformarsi

in quella che dagli USA il filosofo Michael J. Sandel definisce

“tracotanza meritocratica”.

Ricercatore in Pedagogia Generale

e Sociale presso l’Università

degli Studi di Bergamo

Meritorietà
a scuola

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Trascrizione dell'intervento 

Il “merito” è una parola bella. Etica e morale. Per questo anche sociale. Essa, per questo, è da un lato connessa ai talenti e alle doti personali che vanno scoperte e capacitate; dall’altro lato, alla consapevolezza che nessuno può perfino lasciarsi fiorire e capacitare se non vuole, se non mette in gioco il suo impegno, il suo desiderio di crescere e di diventare migliore: questo il merito personale.  
Poi bisogna essere consapevoli che gli attori del merito sono sempre tre: la natura, i dispositivi sociali e istituzionali e il soggetto persona, con la sua libertà e responsabilità.  
Per cui non si può che guardare con favore a prospettive che vogliano valorizzare tale direzione.  
Ma come ogni cosa, anche il “merito”, se strumentalizzato e malinteso, può correre il rischio di trasformarsi in quella che dagli Stati Uniti il filosofo Michael J. Sandel definisce “tracotanza meritocratica” o “retorica dell’ascesa”. 


La meritocrazia, dunque, per non degenerare, deve abbandonare la sua declinazione di “-crazia”, indicativa di forza e potere imposto, a favore di una visione più equilibrata e prudente di “merito-filia” o “meritorietà”.  
Quali le caratteristiche di questa visione più prudente? Come dunque concepire in maniera pedagogicamente fondata il concetto di merito? Come costruire un sistema educativo che riconosca e valorizzi il merito di ciascuno e non cada in derive individualistiche (nel senso narcisistico di ritenere ogni persona auto sufficiente e quindi anche in tutto e per tutto libera e responsabile del merito che può esprimere indipendentemente dalle relazioni naturali e sociali)? 


Per chiarire e disambiguare i termini della questione, occorre allora procedere secondo alcuni ulteriori approfondimenti, che possiamo così riassumere: 

-    i talenti di ciascuno e loro valorizzazione;

-    il sistema di istruzione come mezzo per la formazione della persona attraverso la capacitazione dei talenti che possiede e non come fine a cui le persone devono adattarsi (perciò occorre privilegiare un approccio idiografico/personale di tipo pedagogico/formativo rispetto ad uno di carattere statistico/nomotetico /generale/astratto);

-    il concetto di uguaglianza che non può essere ridotto soltanto a “maggiore uguaglianza socio-naturale possibile nei punti di partenza” o "nei punti di arrivo", ma deve intrecciarsi e fondarsi con la uguale dignità ontologica delle persone che sono per natura tutte differenti;

-    la dimensione relazionale dell’educazione (nessuno si crea e cresce da solo per merito tutto suo).

A partire da queste rinnovate consapevolezze, il riconoscimento del “merito” evita di essere definito da una misura unica, un algoritmo astratto che misura qualità astratte uguali per tutti, ma diviene sempre un criterio relativo ad un soggetto, ad una biografia (la persona, dunque, sempre fine e mai mezzo), ad un contesto di riferimento che coinvolge la libertà e la responsabilità di tutti gli attori in gioco nei processi formativi. Perché non c’è un solo modo di essere e diventare bravi e meritevoli. Non vi sono dunque percorsi e traguardi formativi astratti e uniformi per tutti, ma occorre valorizzare prospettive di flessibilità e personalizzazione didattica, in grado di coltivare al meglio possibile i talenti di ciascuno. Per far questo occorre qualcuno (docente, educatore, tutor) che ci aiuti più degli altri, per competenza professionale, per vocazione magisteriale e per passione personale, a scoprire i talenti di cui siamo dotati. Magari talvolta senza esserne nemmeno pienamente consapevoli. 


Infine, anche sull’onda d’urto della disruption tecnologica sempre più pervasiva, occorre con schiettezza dichiarare la fine del nozionismo di carattere enciclopedico/illuministico e con esso il tramonto della funzione passiva-trasmissiva della scuola; perseguendo, al contrario, quelle dimensioni riflessive, critiche, di insegnamento/apprendimento attive, partecipative e laboratoriali che possano restituire vigore e vita al sapere e alla conoscenza.

 

Per approfondire: 
G. Bertagna, La scuola al tempo del Covid. Tra spazio di esperienza ed orizzonte d’attesa, Edizioni Studium, Roma 2020
G. Bertagna, Per una scuola dell’inclusione, Edizioni Studium, Roma 2022 

Convegno "Sul merito". Roma, 2 marzo 2023

Francesco E. Magni, Ricercatore UniBG

"Dottor Magni, lei pone con chiarezza la differenza tra meritocrazia e meritorietà: ce la può illustrare?"

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