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  Antonín Dvořák - Dal Nuovo Mondo

  Sinfonia n. 9 Mi Min. Op.  95

 

Antonín Dvořák,
Dal Nuovo Mondo 
Sinfonia n. 9 Mi Min. Op. 95

La nona sinfonia di Dvořák

non è solo un documento musicale,

ma una vera e propria testimonianza della capacità di un compositore

di tradurre un’esperienza personale

in una lingua universale,

in grado di attraversare confini geografici e culturali.

Essa rimane un punto di riferimento fondamentale per la musica sinfonica, per la sua capacità di mescolare influenze diverse in una forma coerente e funzionale.

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Percussionista e musicologo

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Antonín Dvořák è probabilmente il più importante compositore ceco e la sua musica, a tutt’oggi, è pressoché costantemente presente nei palinsesti delle stagioni musicali di tutto il mondo. Era un uomo piuttosto riservato e poco propenso alla ribalta, ma ancora in vita ebbe a godere di una stima e popolarità che travalicava i confini della stessa Europa. Non è un caso, infatti, che negli Stati Uniti di fine Ottocento egli fosse un compositore noto e apprezzato.

 

A fine Ottocento New York aveva una vita musicale molto attiva grazie, in particolare, all’operosità della ricca mecenate Jeannette Thurber la quale fondò la American Opera Company e soprattutto il Conservatorio Nazionale di Musica d'America, nel 1885. Questa scuola divenne importantissima passando dagli 84 studenti dei primi anni ai 3.000 degli inizi del 1900; fu un’istituzione all’avanguardia e benemerita, unica ad accettare nei propri corsi i neri, i portatori di handicap o le donne.

 

Jeanette Thurber credeva fortemente in un’identità culturale nazionale e, sulla base di tale forte convinzione, che fu spronata a creare questa scuola di musica: dal suo punto di vista un paese doveva avere la possibilità di coltivare la propria musica e i propri talenti umani. Con tali presupposti ideologici quando si trattò di scegliere un eminente compositore europeo per la direzione del conservatorio la scelta non poté non andare verso quella cerchia di musicisti che in Europa aderivano alle cosiddette Scuole Nazionali ed è per questo che inizialmente si pensò al finlandese Jean Sibelius. Non riuscendo però a entrare in contatto con Sibelius, forse anche per ragioni anagrafiche, poiché Sibelius era più giovane di un ventennio rispetto a Dvořák, la scelta cadde immediatamente sul musicista boemo.

 

Questo invito faceva parte di un progetto ambizioso volto a sviluppare una musica tipicamente americana, lontana dalle tradizioni europee ma con un forte legame alle radici del continente. Da parte sua Dvořák, come precedentemente detto, era di carattere schivo e soprattutto molto poco propenso ad abbandonare la terra natia; declinò più volte l’invito a recarsi negli Stati Uniti ma la Thurber fu molto insistente e per averlo a New York si spinse a offrirgli un ingaggio straordinario per l’epoca: uno sbalorditivo stipendio annuale di 15.000 dollari, circa 25 volte il reddito che il compositore ceco poteva accumulare in un anno di lavoro.

 

Dvořák si imbarcò per l’America il 15 settembre 1892 e arrivò in un paese il cui contesto culturale era mosso da una fervida atmosfera di idealismo nazionalistico e la cultura musicale era permeata dalla musica folk statunitense, soprattutto dalle melodie afroamericane, dagli spirituals e dalle danze popolari native americane. Da questo patrimonio musicale e da questi linguaggi Dvořák fu profondamente colpito al punto da dichiarare: «Io sono convinto che la musica futura di questa nazione debba basarsi su quelle che sono chiamate melodie Negre. Queste possono essere la base di una scuola di composizione seria e originale, da svilupparsi negli Stati Uniti. Questi graziosi e variati temi sono il prodotto del terreno. Sono le canzoni popolari dell’America e i vostri compositori devono rivolgersi ad esse».

 

La Sinfonia n. 9 in Mi minore detta Dal Nuovo Mondo, fu composta tra il 19 dicembre del 1892 e il 24 maggio del 1893, a New York, su commissione della New York Philharmonic Orchestra che la eseguì, per la prima volta, con un notevole successo, il 16 dicembre 1893 alla Carnegie Hall, sotto la direzione di Anton Seidl. L’accoglienza da parte del pubblico fu così calorosa che sembra che alla fine di ogni movimento i fragorosi applausi costringessero il compositore ad alzarsi per salutare il pubblico. Questa sinfonia non solo segna un punto di convergenza tra le tradizioni musicali europee e quelle americane ma esalta il ruolo della musica come reale linguaggio universale, in tal caso capace di sintetizzare elementi della cultura musicale europea con le nuove sonorità e ritmi conosciuti da Dvořák negli Stati Uniti. Essa rappresenta una sintesi tra il bagaglio musicale europeo del compositore boemo e le suggestioni sonore assorbite nel Nuovo Mondo.

 

La sinfonia non è, infatti, una semplice trascrizione di elementi musicali americani, più o meno popolari, ma piuttosto un lavoro che riesce a integrare il linguaggio sinfonico di matrice europea con elementi esterni, creando una musica che, pur radicata nella tradizione, assume un carattere innovativo e proprio. Pare che uno dei primi contatti con la musica del Nuovo Mondo, Dvořák ebbe modo di averlo, ascoltando il canto di un giovane talentuoso studente del Conservatorio: il nero Henry Thacker Burleigh. Dvořák chiese espressamente a Burleigh di cantare più volte per lui e anni dopo Burleigh dichiarò: «Gli cantavo molto spesso le nostre canzoni negre e prima che scrivesse i suoi temi, si riempiva dello spirito dei vecchi Spirituals».

 

Questi Spirituals rappresentarono senz’altro una delle fonti più prolifiche di ispirazione per la Sinfonia n. 9. Altri elementi segnatamente americani che ispirarono la scrittura della sinfonia furono alcune Songs del compositore statunitense Stephen Foster, alcune scene del poema epico Song of Hiawanta, di Henry Wadsworth Longfellow e alcune melodie tradizionali della musica degli Indiani del Nord America. Dvořák trovò in questo repertorio americano alcune caratteristiche musicali come l’uso delle melodie pentatoniche, note sensibili abbassate di un semitono e figurazioni ritmiche particolari, che riconosceva anche nella musica popolare boema, da lui sempre studiata e coltivata.

 

La Sinfonia n. 9 in Mi minore è composta da quattro movimenti: il primo movimento si compone di un’introduzione in Adagio, seguita da un Allegro molto. L’introduzione è abbastanza articolata e molto suggestiva, la sua musica procede lentamente sviluppando un tema drammatico che presto si trasforma nel successivo Allegro vivace. Il tema principale, espressivo e ampio, sembra evocare il grande paesaggio americano, in particolare quello delle praterie, grazie a un'ampiezza sonora che ricorda le lunghe distese della natura.

 

Questo movimento introduce anche alcuni elementi ritmici che richiamano la tipica musica folk americana, con la presenza di cadenze marcate e accenti metrici tipici delle danze popolari. Il secondo movimento (Largo) è tra i più celebri e apprezzati dell'intera sinfonia. Il tema principale, che sembra esprimere una profondità e una solennità tipiche della musica corale, è intonato dal corno inglese e poi ripreso dagli archi. La sua melodia, semplice ma commovente, è stata spesso interpretata come un omaggio alla spiritualità americana e alla musica dei nativi. Le armonie dolci e le lunghe pause tra le frasi evocano un senso di vastità e silenzio che suggerisce il paesaggio americano e la solitudine dell'individuo immerso nella natura. Questo movimento ha un carattere quasi meditativo e genera un significativo contrasto con la vivacità del tempo precedente.

 

Il successivo Scherzo (Molto vivace), il terzo movimento, è un vivace scherzo che si distacca dal tono serioso dei precedenti, introducendo un nuovo elemento di vitalità ed energia. È caratterizzato da una danza irregolare, dai ritmi sincopati e da un uso particolarmente vivace della famiglia dei legni, i quali sono utilizzati per evocare immagini di balli popolari. Anche qua si possono individuare influenze delle danze folk americane come anche di quelle della tradizione boema.

 

Il quarto movimento (Allegro con fuoco) è l'epilogo dell'intera sinfonia, dove Dvořák riprende ed esalta la sua idea di sintesi tra il linguaggio europeo e quello americano. Il tema principale è energico, deciso, e sembra richiamare l'idea di una grande conclusione, un finale trionfante che integra gli elementi di tutte le sezioni precedenti. Qui emerge la sapienza di una scrittura orchestrale ricca, articolata e dinamica, che culmina in un crescendo drammatico e di grande impatto emotivo.

 

Sin dalla sua prima esecuzione, questa sinfonia di Dvořák, l’ultima, ha sempre goduto di grande popolarità sia per il titolo, sia per l’ambientazione particolare, quasi vista come esotica, ma soprattutto perché in essa l’invenzione melodica è particolarmente felice e sapientemente amministrata, in una maniera che rimane indelebilmente nella mente dell’ascoltatore. A ciò si deve aggiungere che la sinfonia Dal Nuovo Mondo non è solo un documento musicale, ma una vera e propria testimonianza della capacità di un compositore di tradurre un’esperienza personale in una lingua universale, in grado di attraversare confini geografici e culturali. Essa rimane un punto di riferimento fondamentale per la musica sinfonica, per la sua capacità di mescolare influenze diverse in una forma coerente e potente.

 

 

ASCOLTI:

 

Berliner Philarmoniker – Direttore: Rafael Kubelik 

 

New York Philarmonic – Direttore: Lorin Maazel 

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