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Musica
e intelligenza

Lo psicologo Howard Gardner individuò otto tipi di intelligenze. L’intelligenza musicale è la capacità

di orientarsi con disinvoltura

nella gestione del linguaggio musicale al punto tale da poterlo dominare

e piegare alle proprie esigenze estetiche e a ciò che

l’istinto creativo suggerisce. 

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 Percussionista e musicologo

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Se non fossi un fisico, sarei probabilmente un musicista. Io penso spesso in musica.

Io vivo i miei sogni quotidiani in musica. Io vedo la mia vita in termini musicali

Albert Einstein

 

Per discutere sui rapporti che intercorrono fra intelligenza umana e arte musicale può essere utile partire da quanto asserì lo psicologo statunitense Howard Gardner il quale, negli anni ‘80 del 1900, propose una teoria secondo cui gli individui non sono dotati di un’unica capacità intellettuale ma di molte tipologie di intelligenza.  


Nella fattispecie Gardner ne individuò otto diverse: logico-matematica, linguistica, spaziale, cinestetica o procedurale, interpersonale, naturalistica, filosofico-esistenziale e musicale. Ogni essere umano possiede competenze in ognuna di tali tipologie, ma è molto probabile che una di queste prevalga sulle altre. Ciò si manifesta soprattutto attraverso una serie di abilità e competenze, connaturate alle qualità fisiche di ogni singolo individuo. In questa sede particolare, ci soffermiamo sull’intelligenza musicale. 


Tentando di dare una definizione dell’intelligenza musicale, la prima risposta che potremmo darci è la seguente: una rappresentazione della creatività umana, propria di individui particolarmente sensibili a questa espressione artistica, che avvertono la necessità di manifestarsi attraverso il suono. Più nel concreto, l’intelligenza musicale è la capacità di orientarsi con disinvoltura nella gestione del linguaggio musicale al punto tale da poterlo dominare e piegare alle proprie esigenze estetiche e a ciò che l’istinto creativo suggerisce. Una persona dotata di forte intelligenza musicale ha facilità nell’individuare e nel ricordare le altezze, i ritmi, i timbri degli strumenti, le forme e i generi musicali, riesce a ripetere con facilità melodie anche complesse, riconosce la tonalità di una composizione, fino a decifrare con esattezza gli accordi che costituiscono un brano musicale.  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


I grandi musicisti del passato nella propria attività hanno sicuramente contemperato la componente artistica del loro talento con una buona dose di intelligenza.  
I maggiori di essi, coloro che hanno lasciato un segno importante nella storia della musica, sono tutti personalità brillanti, dotate di grande carisma, dovuto anche dalla consapevolezza dei propri mezzi. Fra tanti, vorrei citare tre casi emblematici, peraltro molto noti a tutti: Johann Sebastian Bach, Wolfgang Amadeus Mozart e Ludwig van Beethoven. Tre autori che, a mio giudizio, rappresentano tre pietre angolari nell’evoluzione del linguaggio musicale. Di essi stupiscono il grandissimo talento, la facilità e la naturalezza con cui si accostavano alla scrittura e all’esecuzione della musica, il tutto sostenuto da una indubbia intelligenza musicale. 

Lo storico della musica tedesco Hans Heinrich Eggebrecht, nel suo testo di storia della musica intitolato Musica in Occidente. Dal Medioevo a oggi, nel capitolo dedicato a Johann Sebastian Bach, scrive: «Con Bach si impara lo stupore, la meraviglia, su cosa abbia reso possibile l’esistenza di un uomo simile. E questa deve essere la nostra domanda. Come si spiega, o più modestamente, sino a che punto si spiega che Bach sia stato possibile?»1. Ritengo che queste parole siano sufficienti a inquadrare la levatura di Johann Sebastian Bach, la cui opera musicale entusiasma ancora oggi, a oltre 270 anni dalla sua morte. Egli fece del rigore la cifra stilistica della propria arte, caratterizzata dallo studio minuzioso di ogni tassello costitutivo ed espressivo. Ogni sua pagina di musica soggiace a un ordine geometrico e matematico che parrebbe essere ispirato alla filosofia pitagorica, la quale riconosceva al numero un valore universale. I giochi combinatori nella musica di Bach denotano una capacità di calcolo e di previsione che lasciano stupefatti: egli ha portato l’arte della composizione contrappuntistica ad un livello tale da produrre interi lavori costruiti con l’applicazione di tecniche riconducibili agli algoritmi (si suggerisce a tal proposito l’ascolto dell’Offerta musicale o dell’Arte della fuga). A fronte di tutto questo rigore, e dell’uso di un metodo compositivo così severo, ciò che rende Bach un grandissimo musicista è il fatto che la sua musica resta profondamente ispirata e intrisa di grandi slanci poetici, una musica che si esprime nello stesso modo in cui le nostre emozioni si fanno sentire. 

 

 

 

 

 

 

 

 


Tutti sanno che Mozart fu un bambino prodigio: dotato di una facilità senza eguali, suonatore di clavicembalo a 3 anni, compositore a 6 ed estremamente fecondo. La sua musica ha il pregio di risultare immediata, accessibile a tutti, indipendentemente dall’estrazione culturale o dalla provenienza geografica. Dietro questa apparente semplicità si celano tuttavia una ricchezza e una profondità notevolissime. Colpiscono i suoi manoscritti, che appaiono con pochissime cancellature correzioni, tutto è pulito e lineare, come se fossero già una bella copia o fossero stati scritti sotto dettatura.


La sua musica è stata oggetto di accurati studi psicologici e fisici poiché ad essa si attribuisce la facoltà di creare, in chi l’ascolta, benessere fisico e rilassatezza, oltre che di arrecare benefici al potenziamento del quoziente intellettivo, in particolar modo dei neonati. Questa funzione salutare della musica mozartiana è alla base di una vera e propria teoria scientifica chiamata Effetto Mozart. Tale teoria è stata elaborata nel 1993, presso l’Università della California, a opera di Frances Rauscher, Gordon Shaw e Catherine Ky. Lo studio condotto da questi tre ricercatori avrebbe mostrato un sensibile miglioramento delle capacità visuali e spaziali da parte di un gruppo di studenti volontari che, prima di intraprendere una prova di orientamento geografico, furono sottoposti all’ascolto di una specifica composizione di Mozart: la Sonata per due pianoforti in Re magg. K448. Le conclusioni scaturite da questa teoria postulano che la musica di Mozart sia congeniata in modo da essere perfettamente equilibrata nelle sue parti strutturali. L’organizzazione di ritmo, melodia, metrica e frequenza del suono sono tali da produrre un costante flusso di tensione e distensione che produce nel cervello umano una stimolazione che ne migliora le prestazioni, soprattutto verso il ragionamento spaziale.


Ludwig van Beethoven non fu da meno rispetto ai suoi illustri predecessori. La sua musica ha rivoluzionato la figura del compositore e l’approccio al modo di comporre, spalancando le porte alla modernità. Al di là di ogni superfluo giudizio sull’eredità musicale lasciata da questo gigante della musica, il dato biografico più celeberrimo e che maggiormente colpisce è sicuramente quello della sua sordità. 

Nel 1801, a 31, anni così Beethoven scriveva al medico Franz Gerhard Wegeler, che lo aveva in cura: «…devo confessarti che conduco una vita infelice… sono due anni che evito qualsiasi compagnia, perché non posso dire alla gente che sono sordo… Il dott. Franck mi ha curato con olio di mandorle, ma senza alcun effetto… poi mi ha prescritto tè per gli orecchi, ma questi sibilano, e sento un brusio giorno e notte… Posso dirti che la mia vita si trascina miseramente, se avessi un’altra professione la mia infermità non sarebbe così grave, ma nel mio caso è una menomazione terribile! Devo mettermi accanto all’orchestra, altrimenti non odo le note acute degli strumenti e delle voci posso udire i toni di una conversazione ma non le parole, e se qualcuno grida non lo posso sopportare».


A 39 anni era completamente isolato dal mondo esterno e pur vergognandosi molto di tale menomazione, cercò in ogni maniera di non perdere mai il contatto con la percezione della musica. Molti biografi raccontano di come Beethoven avesse studiato svariati sistemi per giungere ad avvertire le vibrazioni del suono: tagliò le gambe del pianoforte affinché poggiasse a terra; si sdraiava anche lui a terra e, poggiando l’orecchio al suolo, cercava di percepire le vibrazioni prodotte dallo strumento. Sempre per percepire le vibrazioni, suonava con una bacchetta di metallo in bocca, facendo in modo che fosse a contatto con la cassa armonica del pianoforte. Si racconta addirittura che avesse fatto costruire una scatola di legno gigante dentro la quale mettersi a suonare, perché fungesse da cassa di risonanza. La casa inglese Broadwood, costruttrice di pianoforti, elaborò un modello di strumento con sonorità più spesse e robuste in modo che risultassero più facilmente udibili; è proprio grazie a questo modello che si ebbe poi l’estensione della tastiera del pianoforte che si arricchì di quattro tasti verso il registro grave e uno all’acuto. Sono ancora visibili oggi i cornetti acustici che Beethoven utilizzava per cercare di migliorare l’udito, veri e propri antesignani dei moderni apparecchi acustici; colpisce che alcuni di questi esemplari risultino rovinati e ammaccati perché Beethoven li tirava con violenza a terra o contro le pareti, in veri e propri scatti d’ira causati dalla sua triste condizione. 


A Beethoven era preclusa la possibilità di percepire voci e suoni ma, pur in una condizione di sordità totale, egli scrisse alcune delle pagine più importanti della sua produzione e, potremmo dire, della storia della musica. Basti ricordare che la IX Sinfonia, quella con la celebre Ode alla Gioia, fu composta proprio in questa situazione. È molto probabile che, in assenza del funzionamento dell’orecchio esterno, in Beethoven si fosse sviluppata maggiormente la funzione dell’orecchio interno, ossia di quella parte che si basa sull’immaginazione del suono e del suo risultato fonico. A ciò si aggiunga una volontà ferrea nel non rassegnarsi all’impossibilità di scrivere musica che per lui rappresentava la vita. Celebre è una sua frase che recita: «Beethoven può scrivere musica, grazie a Dio, ma non può fare nient'altro sulla terra». 
A conclusione di queste brevi considerazioni sui rapporti fra intelligenza e musica possiamo dire che, sicuramente, l’intelletto e il calcolo razionale hanno avuto, ed hanno tutt’ora, un ruolo fondamentale nel processo di creazione di un componimento musicale, di qualunque genere esso sia. Se, tuttavia, dovessimo deputare solo all’intelletto la riuscita di un processo compositivo, il rischio sarebbe che esso rimanga un arido esercizio di stile, privo di quel trasporto e di quel coinvolgimento che solo la componente irrazionale e imprevedibile del talento e dell’estro riescono a configurare. 

1 Hans Heinrich Eggebrecht, Musica in Occidente. Dal Medioevo a oggi, Firenze, La Nuova Italia, 1996, p. 332

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