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Anna Armone
Risarcimento INAIL
nel "decreto lavoro":
un provvedimento parziale

   

Sabrina Boarelli
Dei delitti e della pena


• Giovanni Manuzio   
Dati OCSE PISA 2022.
Effetto pandemia, ma non solo

 

APPROFONDIAMO

Dati OCSE PISA 2022.
Effetto pandemia,
ma non solo

La pandemia da Covid 19 è solo una

delle cause che hanno influito sul

drastico calo dei risultati” rilevato

nel mondo dai dati OCSE PISA 2022.

Essi, mentre rafforzano l’importanza

dei sistemi di valutazione delle istituzioni scolastiche, segnalano il bisogno

di maggiore equità sociale,

territoriale e di genere. 

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Presidente dell’Associazione IRSEF-IRFED 

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Il 5 dicembre scorso, presso l’Università di Roma Tre, sono stati resi noti dall’Invalsi, che ha curato le rilevazioni per l’Italia, gli esiti dell’indagine OCSE PISA 2022. PISA (Programme for International Student Assessment) è l’acronimo utilizzato per indicare l’inchiesta condotta ogni tre anni in Paesi di tutto il mondo sulle competenze fondamentali acquisite dagli studenti “per partecipare pienamente alla vita sociale ed economica”, come recita la presentazione del rapporto nazionale sui dati italiani. 

Il rapporto ci ricorda come l’indagine 2022, posticipata di un anno rispetto alla naturale scadenza del 2021 a causa della pandemia, abbia interessato nel mondo circa 690.000 studenti di 81 Paesi, nella fascia di età 15-16 anni, scelti come campione rappresentativo di circa 29 milioni di alunni. L’indagine 2022 si concentrava sulla matematica, pur in presenza di rilevazioni secondarie in lettura, scienze e pensiero creativo. 

A ridosso della diffusione dei dati, moltissimi sono stati i resoconti su riviste di settore e organi di informazione, di cui chi ci legge avrà probabilmente avuto modo di prendere visione. Per questa ragione, avrebbe poco senso riproporre in queste note discorsi e commenti già pubblicati, mentre ne ha di più l’invito a riservarsi una lettura più attenta e distesa del materiale, che si può scaricare dal sito dell’Invalsi

Non mancano, nelle sintesi che ci vengono proposte, alcuni indizi senz’altro meritevoli di approfondimento, che è il caso di segnalare soprattutto a quanti, di fronte alla corposa mole dei dati, sono tentati di liquidare il tutto come se si trattasse, in fondo, della conferma di cose risapute. Difficile, infatti, sorprendersi quando ci vien detto, per l’ennesima volta, che i risultati del nordest e del nordovest sono nettamente migliori di quelli di altre aree territoriali; o che le condizioni familiari e di contesto influiscono nettamente sulle performance, incidenza quantificabile nei 93 punti che gli studenti socio-economicamente avvantaggiati ottengono in più, in matematica, rispetto ai loro coetanei svantaggiati. 

Altrettanto scontato (ma è comunque importante ricondurlo a termini oggettivamente misurati) che la pandemia da Covid 19 sia stata la causa del “drastico calo dei risultati” rilevato a livello globale, configurandosi come “uno shock negativo che ha colpito molti Paesi nello stesso momento”. In realtà – e questo è il primo indizio meritevole di approfondimento – vi sono altri risultati, come quelli in lettura e scienze, il cui calo comincia a manifestarsi ben prima della pandemia. “Sono in gioco – deducono i ricercatori Invalsi – anche problemi di più lungo periodo”. 

Alla categoria del déja vu potrebbe essere ricondotta anche la considerazione per cui sul rendimento scolastico di un Paese incide l’entità delle risorse investite in istruzione. Per come siamo messi in Italia, i “decisori politici” non dovrebbero avere dubbi sulla necessità e sull’urgenza di recuperare il gap tuttora esistente rispetto al volume di spesa di altri Paesi, non a caso meglio collocati nella graduatoria dei risultati. Meno scontato ciò che succede quando si tocca e si supera una certa soglia di investimento, raggiungendo i livelli più alti della scala. Da quel momento, notano i ricercatori, i rendimenti scolastici non seguono più una linea di proporzionalità diretta con il volume della spesa per studente, “dimostrando che a quel punto è più importante il come del quanto”. Verrebbe da dire: se lo sforzo, da noi sicuramente necessario, per elevare il “quanto” si accompagnasse da subito con quello di ottimizzare il “come”, avremmo intrapreso una giusta direzione. 

Da non trascurare, anzi da rafforzare, l’idea che le rilevazioni trovino una delle più qualificanti ragioni di essere nel non fermarsi alla rilevazione della qualità, alla ricerca dell’eccellenza educativa, ma nel diventare punto di partenza per promuovere l’equità dell’istruzione. Quanto sia ancora distante nel nostro Paese, sotto questo punto di vista, il traguardo da raggiungere, sono proprio i dati dell’indagine ad attestarlo, ancora una volta, con impietosa evidenza. Disparità continuano a segnare le aree territoriali, e si aggiungono a quelle di genere, con gli scarti che nelle diverse discipline dividono maschi da femmine. L’Italia può ascriversi, purtroppo, il triste primato del gender gap in matematica, collocandosi in cima agli 81 Paesi presi in esame. È come se, nel complesso, le nostre quindicenni avessero frequentato, per quella disciplina, un anno in meno di scuola. 

Un segnale di attenzione di una certa rilevanza, anche perché per certi aspetti non poteva darsi per scontato, è quello che emerge dall’intervento di saluto del Ministro Valditara, letto in apertura della presentazione nell’aula di Roma Tre. Bella la sua definizione dell’istruzione come “una risorsa rinnovabile inesauribile”, volta a promuovere un “bene collettivo planetario”. Ma l’aspetto su cui va messo l’accento è il valore assegnato alle rilevazioni internazionali e in generale ai sistemi di valutazione come strumento indispensabile per monitorare costantemente lo stato di salute dei sistemi di istruzione, per risolverne le criticità e meglio orientarli alla qualità e all’efficacia (“Tali rilevazioni rappresentano una sorta di gold standard metodologico al quale riferirsi anche a livello nazionale, come ha fatto l’Istituto Nazionale di Valutazione in questi ultimi due decenni”. E ancora: “Le indagini internazionali sono un presidio di cittadinanza e mettono a disposizione dei Paesi che vi aderiscono dati affidabili dai quali partire per mettere in campo soluzioni puntuali adeguate a ciascuna realtà, ma anche condivisibili e confrontabili a livello mondiale”). 

Non saranno forse campane a festa quelle che suonano, ma sembrano perdersi in lontananza i rintocchi delle campane a morto che echeggiavano nei confronti dell’Invalsi, e della sua funzione, nei proclami elettorali di forze importanti dell’attuale maggioranza. Sarebbe un cambio di atteggiamento apprezzabile e di non poco conto. 

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