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Valutare le competenze?
Una rivoluzione didattica
 

Per la valutazione delle competenze

si richiede una rivoluzione didattica, prima di tutto riferita all’insegnamento. C’è bisogno di poter rilevare

il comportamento degli studenti

di fronte a prove sfidanti, che si crei

un ponte tra scuola e vita,

tra ambiente artificiale e contesto reale. 

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 Presidente della Scuola di Alta formazione EIS dell’Università LUMSA di Roma 

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Il tema della valutazione delle competenze è relativamente recente. Fa la sua comparsa al termine di lungo processo relativo ai significati della valutazione degli apprendimenti, scandito dalla risposta a tre principali istanze. 

ISTANZA DI SCIENTIFICITA'

Agli inizi degli anni Venti dello scorso secolo si sviluppa una intensa attività di ricerca finalizzata a individuare criteri, modalità e strumenti rigorosi per la valutazione del profitto e si mettono a punto test o prove standardizzate. Si vuole porre rimedio all’eccessiva discrezionalità degli esaminatori, evidente in occasione delle prove di esame o dei concorsi. Tale sforzo di ricerca trova una risposta matura nel lavoro di H. Piéron, considerato il fondatore della docimologia, o scienza degli esami. Siamo ancora oggi debitori dei risultati di questa ricerca. La valutazione è, però, presa in considerazione soprattutto come momento finale, conclusivo di un percorso, per questo è definita sommativa

ISTANZA DI FORMATIVITA'

Un deciso passo avanti si verifica con il diffondersi delle teorie del curricolo (nel nostro Paese a partire dagli anni Settanta). Nella logica del curricolo la valutazione assume una funzione strategica. Non si preoccupa soprattutto dei risultati finali, ma copre l’intero itinerario progettato. Il curricolo è scandito da numerose tappe; al termine di ciascuna è richiesto di accertare il raggiungimento o meno degli obiettivi preventivati, anche in vista di una successiva riprogettazione. La funzione principale della valutazione è formativa, non centrata sugli esiti, ma sullo studente e il suo percorso di crescita. L’allievo che riceve con continuità feedback sul proprio apprendimento si rende conto delle difficoltà incontrate. Gli errori perdono quel carattere di drammaticità che ha, spesso, conseguenze scoraggianti, per trasformarsi in opportunità di miglioramento. 

Anche l’insegnante trae vantaggio da questo tipo di valutazione. La continuità delle rilevazioni lo mette in grado di ripensare le proprie strategie e rendere la propria azione sempre più personalizzata ed efficace. La valutazione formativa svolge una funzione preziosissima di tipo termostatico, per riequilibrare e riaggiustare continuamente il programma. Il punto di vista è quello del miglioramento. 

ISTANZA DI AUTENTICITA'

La valutazione formativa segna il superamento della logica, più che sommativa, sommatoria di una scuola tutta voti e selezione, ma c’è un altro limite da superare. Nella società post-moderna la scuola non è più il principale luogo della formazione; il tempo dell’apprendimento va ben oltre i confini della scolarizzazione formale. La scuola deve rimettersi in discussione, e ripensare non solo la propria organizzazione didattica, ma il proprio stesso senso. In questa cornice di incertezza, il suo compito si focalizza sull’urgenza di fornire agli studenti gli strumenti culturali in grado di fronteggiare l’inedito. Il focus della didattica si sposta, così, dall’insegnare, all’insegnare ad apprendere, e assume centralità il costrutto di competenza. Si tratta di un costrutto complesso, a formare il quale concorrono diverse dimensioni (conoscenze, abilità operative di tipo cognitivo e pratico, disposizioni interiori riguardanti la sfera delle emozioni, della volizione, della motivazione, dei valori). Le modalità didattiche utilizzate non possono essere trasmissive, pensate solo per il lavoro in aula. La didattica orientata a promuovere lo sviluppo delle competenze invita gli studenti a misurarsi con problemi reali, in contesti non accademici ma autentici. E la valutazione richiesta deve essere, essa stessa, coerentemente, una valutazione autentica. 

LA VALUTAZIONE DELLE COMPETENZE

Le competenze non possono essere valutate utilizzando gli strumenti solitamente adottati per la valutazione delle conoscenze e delle abilità. La critica principale che viene mossa alla valutazione tradizionale è che, se si valuta solo quello che un alunno sa, si controlla la capacità ricettiva, non la capacità di elaborazione personale. Per superare questo limite, gli insegnanti ricorrono a prove che richiedono l’esercizio di processi cognitivi più elaborati, come ad esempio l’utilizzo delle abilità di analisi, di sintesi, di rielaborazione, di inferenza... Per quanto questo sia apprezzabile, resta il fatto che, anche così, non si è in grado di sapere se gli alunni sapranno servirsene nelle situazioni di vita reale. La didattica orientata allo sviluppo delle competenze cerca di superare il divario tra aula e realtà esterna, ponendo gli alunni di fronte a problemi complessi, per quanto possibile legati a situazioni reali. Valutare le competenze richiede, però, che si sia insegnato nella prospettiva dello sviluppo delle competenze, che si crei un ponte tra scuola e vita, tra ambiente artificiale e contesto reale. Molti insegnanti allestiscono, a scopo valutativo, situazioni reali o verosimili, per mettere alla prova la capacità degli studenti di utilizzare quanto hanno appreso in situazioni inedite e sfidanti. È già qualcosa. Ma quanto è richiesto è molto più impegnativo. La valutazione delle competenze ha senso in una scuola dove tutto l’insegnamento è concepito in funzione del loro sviluppo. Si richiede una rivoluzione didattica, prima di tutto riferita all’insegnamento. 

GLI STRUMENTI DELLA VALUTAZIONE DELLE COMPETENZE

Per valutare le competenze c’è bisogno di poter rilevare il comportamento degli studenti di fronte a prove sfidanti, che per la loro complessità e significatività li sollecitino ad attivare tutte le risorse personali di cui dispongono. Si tratta di far emergere i processi di pensiero, le abilità operative, le strategie adottate. Questo richiede che i docenti predispongano strumenti e modalità per un monitoraggio costante, in grado di registrare i miglioramenti, le difficoltà, i tentativi messi in atto per affrontarle, la reazione alle difficoltà, la capacità di individuare soluzioni alternative a quelle tentate senza successo. Gli strumenti a disposizione sono di vario tipo: dalle griglie di osservazione, alla documentazione e raccolta delle “tracce” più significative (il portfolio può rispondere bene a questa funzione), alle rubriche, ancora più efficaci se costruite o, quanto meno, condivise all’interno del gruppo docente, ma anche, dove possibile, con gli stessi studenti, a forme narrative quali il diario, l’autobiografia, la monografia. 

LE COMPETENZE NON SOPPORTANO IL VOTO

Ogni persona possiede un livello di competenza dal quale l’azione didattica può prendere avvio. Non esiste il “gravemente insufficiente”. E nessuno, nemmeno chi dimostra elevati livelli di competenza, può dire di possedere il più alto livello di competenza possibile. Se si richiede di individualizzare e personalizzare l’insegnamento, ogni studente ha il suo punto di partenza e un obiettivo prossimale da raggiungere, diverso dai suoi compagni, ma egualmente sfidante e significativo. In questo contesto quale è il senso di una valutazione comparativa, basata su standard predefiniti, secondo una scala numerica (il voto) o verbale (il giudizio sintetico)? Valutare competenze ha senso solo in un’ottica educativa. La competizione non è tra gli studenti, per primeggiare in una classifica esaltante o mortificante, a seconda della posizione che si occupi, ma è con se stessi, perché, per quanto iniziale sia il livello di partenza, c’è sempre un livello più alto da raggiungere, un record personale da conquistare.

 

La valutazione è educativa quando rappresenta un punto di riferimento utile allo studente, perché gli segnala il livello che ha saputo conquistare e lo invita ad alzare l’asticella della propria prestazione. Ma c’è di più. Il voto viene interpretato come espressione di una valutazione sommativa e alimenta la competizione tra gli studenti, porta a studiare “per il voto”. Al contrario, in una classe dove la competizione è con se stessi, c’è spazio per la cooperazione, per la solidarietà, per l’aiuto reciproco. A differenza della valutazione sommativa e comparativa, la valutazione educativa non è una gara, ma un’opportunità di crescita, in un ambiente di apprendimento ospitale, nel quale i singoli imparano ad essere solidali, membri di una comunità di apprendimento nella quale si sentono sicuri e possono fiorire. 

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