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Dei delitti
e della pena

Punizioni e sanzioni saranno difficilmente in grado, da sole,

di fronteggiare e superare la crisi educativa che connota, in modo allarmante, la società contemporanea.

E la crisi educativa chiama

in causa non solo la scuola,

ma insieme la famiglia. 

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Già Direttrice didattica, Dirigente tecnico

con funzione di Dirigente USR Umbria

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Riflettori che si accendono su fatti di cronaca di “straordinaria normalità”, dibattiti che si infiammano, esperti che intervengono nei vari talk show, molto rumore, poi nulla… e il clamore della cronaca si placa e i riflettori si spengono. Siamo ormai abituati a questo tipo di informazione che interessa ogni evento considerato fuori dell’ordinario. 


Tutto ciò è accaduto recentemente, anche per quanto riguarda avvenimenti che hanno coinvolto la scuola: in alcuni istituti di Rovigo, Abbiategrasso, Firenze, Civitavecchia, nella provincia di Modena, a Napoli, Trapani, Carpi e Treviso si sono verificati episodi inquietanti che vanno dall’aggressione fisica a quella verbale contro i docenti; fatti facilmente rintracciabili nelle notizie di cronaca alle quali si rimanda. E chissà se e quanti altri episodi sono accaduti e quanti potrebbero aggiungersene riguardanti gli atti di bullismo, di cyberbullismo, non denunciati, ma altrettanto insidiosi proprio perché non resi pubblici.  


Sull’onda emotiva e di pubblico sdegno, il Ministro dell’Istruzione e del Merito e i politici di vari schieramenti, oltre ad aver duramente condannato gli episodi accaduti, hanno annunciato una serie di provvedimenti, in corso di approvazione, per contrastare le forme di violenza perpetrate in ambiente scolastico. 

Discendono da ciò l’imminente riforma della valutazione del comportamento, contenuta in un disegno di legge appena approdato al Senato per iniziare l’iter parlamentare, la proposta di legge per la prevenzione e il contrasto del bullismo e del cyberbullismo e la proposta di legge “modifiche agli articoli 336 e 341-bis del codice penale e altre disposizioni per la tutela della sicurezza del personale scolastico” recentemente licenziate dalla Camera e inviate all’esame del Senato.  

 

Misure incisive, con valore deterrente; misure necessarie, forse, ma sicuramente non sufficienti.  

 

Si rifletta sulla proposta di modifica della valutazione del comportamento, osservando come questa sia da sempre un argomento dibattuto e come, nel tempo, il cosiddetto voto di condotta sia stato diversamente normato, oscillando tra disposizioni liberali e misure severe: dal R.D. del 6 maggio 1923 n. 1054 (cent’anni fa!) che l’ha istituito, alla modifica della L. 517/77 che l’ha abolito per la scuola del 1° ciclo, al T.U. n. 294 del 1997 che l’aveva riportato come previsto dal Regio Decreto, alla soppressione con il D.P.R. n. 275/1999 , al suo ripristino con il D.L. n. 137/2008, alla ridefinizione contenuta nel D.P.R. n. 122/2009 e infine all’abolizione per la scuola secondaria di I grado stabilita dal D.Lgs n. 62/2017, permanendo, come sempre, in quella di II grado.  


E ora? Secondo l’attuale disegno di legge si torna al passato, prevedendo un inasprimento delle pene. La valutazione del comportamento sarà espressa in decimi per tutti i gradi di scuola, eccetto la scuola primaria, sarà elemento di valutazione per il superamento dell’anno scolastico e per l’attribuzione del credito scolastico per l’esame di Stato. Una valutazione inferiore a sei decimi (5 in condotta) non permetterà la promozione alla classe successiva; una pari a sei decimi (6 in condotta) comporterà un debito in educazione civica da recuperare a settembre; il massimo dei crediti per l’esame di Stato potrà essere attribuito se la valutazione sarà pari o superiore a nove decimi (9 o 10 in condotta). Inoltre, si introducono nuove norme per l’allontanamento dalla scuola (sospensione) dello studente in forza di provvedimenti disciplinari. 

Non è dato sapere quale sarà la sorte finale del provvedimento legislativo e i tempi della sua approvazione, che sembrano allungarsi. Interroghiamoci, però, sull’utilità di misure emanate sull’onda delle emergenze, senza un’apparente visione di sistema, perché i riflettori si sono accesi su una parte dei problemi, anche se incontestabili, ma hanno lasciato in ombra il rapporto tra questi e il contesto, e le ragioni profonde che li motivano.  


Sicuramente si possono inasprire le pene e farle assurgere ad esempio, ma siamo sicuri che ciò comporterà la sostanziale modifica dei comportamenti e soprattutto del come i nostri giovani vivono la scuola? Se per loro la scuola è solo un “incidente di percorso”, un inevitabile mondo parallelo alla loro vita che invece è altro e si svolge altrove? Se il loro essere lì ha senso e accompagna e sostiene il loro percorso di crescita ed è un valore? Perché è solo riconoscendo valore alle cose che si impara a rispettarle e ad assumere, di conseguenza, comportamenti adeguati. 


Interroghiamoci su chi sono i giovani del nostro tempo.  


Siamo di fronte a giovani immersi in un mondo dominato dalle tecnologie e dal digitale, giovani collegati ininterrottamente ai social media, giovani che a volte fanno fatica a distinguere il reale, perché hanno a che fare con realtà virtuale, realtà aumentata e intelligenza artificiale. 
Sono giovani che vivono costantemente connessi e ricevono numerosi stimoli dal web, e i social media rappresentano spesso l’unica modalità di socializzazione. Ma quali sono i messaggi, gli esempi, le parole, le azioni che vengono loro proposti? Come si può invertire la tendenza di rispondere a ciò che viene vissuto come ingiustizia con l’aggressività e la violenza, se tutto quanto arriva dalla rete ha la dominante della violenza? Se la nostra società è una società violenta e “rancorosa, in generale incattivita, senza una visione di futuro?” (Rapporti Censis, varie annualità). 


Allora perché quando un docente si permette di sanzionare o correggere o intervenire in modo severo o attribuire un voto inferiore alle aspettative ci meravigliamo per la reazione aggressiva, incontrollata di alcuni studenti (e talvolta anche dei genitori)? 


Spesso, questa è l’unica risposta che conoscono, questa è l’unica modalità che viene ritenuta risarcitoria rispetto ad un qualcosa che ritengono essere un torto subìto e non si pongono neppure il problema se ciò sia un comportamento socialmente accettabile oppure no. A volte, queste risposte arrivano da ragazzi che vivono in contesti in cui manca il supporto della famiglia, dove le regole della convivenza civile sono affievolite da una sopravvivenza quotidiana garantita dall’aggressione piuttosto che dalla mediazione della parola, del ragionamento, dell’ascolto, del rispetto dell’altro. 


Non possiamo considerare accettabili tali risposte, e su questo siamo tutti d’accordo, ma punizioni e sanzioni difficilmente, da sole, saranno in grado di fronteggiare, e superare, la crisi educativa che connota, in modo allarmante, la società contemporanea. E la crisi educativa chiama in causa sì la scuola, che da sola comunque non potrà mai farcela, ma insieme la famiglia, avendo anch’essa subìto così tante e veloci trasformazioni da rendere complicato oggi definirne il concetto, ma avvertendo comunque come sia sempre più in difficoltà nell’esercitare la propria, naturale prerogativa educativa. Anche quando questa è ben orientata e consapevole. 


E allora, se è vero che il voto di condotta esprime un giudizio in ordine ad aspetti essenzialmente formativi ed educativi dei ragazzi e, come tale, attiene ad una sfera educativa punto di incontro tra l'azione di più agenzie educative, in primo luogo la famiglia e la scuola stessa, esse sono chiamate ad interagire quanto più possibile in maniera consapevole e coordinata.  


Serve una nuova alleanza scuola-famiglia, perché solo facendo fronte comune si potrà avere una possibilità di agire in controtendenza rispetto ai disvalori della società. E serve più scuola, una scuola che sia in grado di ripensare l’intera offerta formativa per supportare chi ha bisogno di appropriarsi di valori considerati fondanti della società e del vivere civile non sperimentati nel proprio contesto di vita, una scuola che riconquisti autorevolezza e prestigio con l’agire quotidiano riprendendosi dall’interno il ruolo educativo che le compete. 


L’autorevolezza e il prestigio che possono essere dati dall’esterno ai docenti non passano attraverso la fornitura di armi, ma riconoscendo il loro ruolo sociale, investendo sulla loro professionalità, in una visione di sistema non realizzabile con interventi episodici, ma con scelte, misure e risorse strutturali.  E serve leggere davvero i bisogni dei ragazzi perché si sentano parte attiva dei processi, serve valorizzarli, sostenerli, potenziare i loro interessi, le loro capacità, responsabilizzarli ed educarli al rispetto, trattandoli con rispetto. 
Teniamo ben presente che i giovani del nostro tempo sono anche quelli che hanno scavato nel fango dopo le alluvioni in Emilia Romagna e Toscana, mettendo a disposizione del bene comune le loro energie e la loro giovinezza. 


Ripartiamo da loro e diamo loro la scuola che meritano, che li sanzioni pure, se e quando è giusto e inevitabile, ma che ciò serva soprattutto per accompagnarli, tutti, come ci ha indicato il Presidente Mattarella, nel loro cammino di libertà.  

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