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Può la Chiesa
fermare la guerra?
Un libro di Piero Damosso

Può la Chiesa fermare la guerra? Questa è la domanda inquietante,

ma fondamentale, di Damosso.

Che guarda a Papa Giovanni XXIII perché, tra gli storici della Chiesa,

è diffusa l’opinione che abbia prevenuto la terza guerra mondiale

in occasione della crisi missilistica

di Cuba del 1962. 

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Già Segretario Generale CISL Scuola Lazio

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Caporedattore del TG1, Piero Damosso, sotto l’apparenza di un libro–inchiesta dai ritmi, in alcuni punti, quasi televisivi, in realtà offre ai suoi lettori una riflessione profonda su quale sia il ruolo della Chiesa nel mondo contemporaneo, così come fu profetizzato da Giovanni XXIII, il primo pontefice che, dopo la fine del potere temporale della Chiesa e il periodo di lungo isolamento che conseguì alla riduzione dello Stato pontificio nei suoi limiti attuali, ebbe la lucidità (ma sarebbe più giusto forse dire: la chiamata) di indicare alla Chiesa una nuova missione, adatta alla contemporaneità. 

Il libro di Damosso prende l’avvio dal sessantesimo anniversario della Pacem in terris, un’enciclica rivoluzionaria, adottata da un papa anziano, com’era appunto Giovanni XXIII, ormai prossimo alla fine del proprio pontificato e della propria stessa esistenza, che tuttavia lasciò all’umanità un progetto che traguardava al futuro, appunto con spirito profetico. Non che la Chiesa, prima di Giovanni XXIII, non si fosse misurata con i problemi sociali, ma se la Rerum Novarum di Leone XIII (1891) si era confrontata con la dimensione socio-economica alla luce dei cambiamenti indotti dalla rivoluzione industriale, la Pacem in Terris va dritta al cuore degli assetti sociali e politici, dei rapporti interni e di quelli internazionali, sulla base dell’assunto che la pace sia un processo complessivo, senza soluzione di continuità. Il lettore che si avvicina per la prima volta all’enciclica è inevitabilmente colpito dalla sua struttura, che sembra quella di un testo costituzionale, con una trattazione in ordine crescente, dall’individuo alla comunità internazionale, senza trascurare gli aspetti spirituali, com’è nella natura di una lettera enciclica, poiché «non si dà pace fra gli uomini se non vi è pace in ciascuno di essi». 

Molte le affermazioni di sorprendente modernità: dalla parità dei coniugi nel matrimonio, che oggi può persino apparire una banalità, ma che tale certo non era nel 1963, al diritto di emigrazione e immigrazione. Tuttavia, ciò che rende la Pacem in Terris particolarmente preziosa per la comprensione del periodo che stiamo attraversando è il mutamento culturale, ideologico, teologico che essa opera con riferimento al carattere proprio della guerra, negando che quest’ultima possa essere considerata uno strumento di giustizia sul piano dei rapporti internazionali.

 

La capacità distruttiva che è propria dell’arma atomica, difatti, è tale da determinare il definitivo superamento di ogni possibile significato del concetto di “guerra giusta”, che pure non è stato estraneo alla cultura cattolica, in quanto proiezione del diritto alla legittima difesa, e, forse, non solo da tale prospettiva. Conseguentemente, anche l’idea dell’arma atomica come strumento di deterrenza, con l’equilibrio del terrore che ne deriva, è condannata dall’enciclica giovannea, in favore del disarmo e di un ordine internazionale fondato sulla cooperazione e incentrato attorno all’ONU, che a quel tempo non aveva ancora raggiunto i venti anni di esistenza.

 

Queste posizioni, assunte in un’epoca storica che ci appare ormai piuttosto lontana, stridono fortemente con la divisione che attraversa oggi la Chiesa ortodossa a causa della guerra in Ucraina, laddove le due chiese nazionali, quella russa e quella ucraina, si sono schierate sostegno del proprio paese, ritenendo di trovarsi ciascuna dal lato giusto dello schieramento. Il che è vero con riferimento all’illegittimità dell’aggressione subita dall’Ucraina, meno vero dal punto di vista della fiducia che la guerra ad oltranza sia lo strumento più adatto al ripristino della legalità internazionale. 

Può la Chiesa fermare la guerra? Questa è la domanda di Damosso, inquietante, ma fondamentale. Intanto, è bene ricordare che tra gli storici della Chiesa è diffusa l’opinione che proprio Giovanni XXIII abbia prevenuto la terza guerra mondiale in occasione della crisi missilistica di Cuba dell’ottobre 1962, quando l’umanità fu davvero sull’orlo del baratro. In quell’occasione, il Papa inviò a Kruscev e Kennedy un telegramma, invitando i due contendenti ad ascoltare la voce dei loro popoli, che invocavano la pace. Se Kennedy, primo presidente cattolico degli USA, ebbe la preoccupazione di non apparire subordinato al Pontefice di Roma, motivo per il quale non risultano sue reazioni ufficiali, Kruscev, invece, «sfrutta i messaggi per afferrare una vittoria di carta ed uscire il più rapidamente possibile dal cul de sac in cui s’era infilato»1.

 

Il capo sovietico presentò il telegramma papale come una sorta di riconoscimento politico e colse il pretesto per sgusciare via dalla crisi, quando già gli americani avevano lanciato bombe di profondità per intimidire un sommergibile sovietico in rotta verso Cuba, il quale, dal canto suo, nel dubbio che il conflitto fosse già scoppiato, fu quasi sul punto di rispondere con un missile nucleare, il cui lancio fu inibito dal secondo comandante, Vasili Archipov. Non è solo un dettaglio ricordare che il consigliere di Kennedy, Arthur Schlesinger, aveva già quantificato che la vittoria USA nel conflitto sarebbe stata ottenuta con 1-1,5 mld di morti e che i cardinali dell’Est Europa presenti al Concilio Vaticano II, appena iniziato, avessero preparato le valigie per trovarsi accanto al proprio popolo nel momento della deflagrazione. 

Di fronte alla guerra in Ucraina, alla quale si è aggiunta la recrudescenza dell’irrisolta crisi mediorientale, si trovano oggi il secondo presidente cattolico degli USA, Joe Biden, e un Papa, Francesco, particolarmente vicino allo spirito della Pacem in Terris, la cui eco si ritrova nelle sue encicliche, sia Fratelli Tutti, sia Laudato si’. Damosso espone ai lettori una dettagliata ricostruzione del lavoro diplomatico che si svolge ai margini del conflitto che travaglia l’Est europeo, nonché un’analisi lucida delle sue cause. L’inchiesta, accurata sotto il profilo politico-diplomatico, dà tuttavia anche conto dell’opera instancabile dei movimenti e delle associazioni cattoliche che si sforzano di essere costruttori di pace. Lucidità e speranza sono, quindi, la cifra di questo importante lavoro di Damosso. 

(1) Alberto Melloni, Pacem in Terris, Storia dell’ultima enciclica di Papa Giovanni, Bari, Laterza, 2010, pag. 36 

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