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L’autonomia in ambito scolastico della Provincia autonoma                  di Trento 

Il processo di autonomia scolastica della Provincia autonoma di Trento (PAT) è stato lungo e complesso. Nel 2006 il Comitato provinciale trentino di valutazione ne dice: “il mutamento organizzativo viene aiutato dall’autonomia, ma il vero cambiamento presuppone una mentalità, … “organizzativa” e deve partire dal basso, essere prima di tutto” fatto proprio, responsabilmente, da tutti gli attori in campo. 

Esperto di formazione e docente universitario IUSVE 

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Il Trentino rappresenta da tempo un unicum nel panorama nazionale per quanto riguarda il proprio sistema di istruzione e di formazione, non solo in termini di performances e di efficacia1, ma anche in termini di modello di autonomia, che ha portato progressivamente ad una provincializzazione della scuola, configurando un sistema unitario comprendente sia l’istruzione (inclusa l’educazione degli adulti), sia la formazione professionale iniziale, fino ai percorsi di “alta formazione professionale” (l’equivalente in Italia degli attuali ITS Academy)2

Il processo di autonomia scolastica avvenuto nella Provincia autonoma di Trento (PAT) è stato tuttavia lungo e complesso, radicandosi in una tradizione storica che risale al periodo asburgico. In tale percorso, a partire dal decennio 1970-1980, la Provincia di Trento ha affermato gradualmente la propria autonomia con una serie di dispositivi normativi che conservano in parte tuttora la loro attualità. 

Considerando in particolare gli ultimi decenni, si può dire che l’attuale modello trentino sia decollato il 15 luglio 1988, col D.P.R. n. 405 che ha trasferito dallo Stato alla PAT l’esercizio delle funzioni degli organi centrali e periferici “in materia di istruzione elementare e secondaria”, per approdare alla prima legge di riforma n. 29/1990, al “Piano pluriennale della formazione professionale” del 1996, fino alla legge organica di riforma del 20063

In questo contributo proviamo a ripercorrere brevemente i momenti essenziali di tale percorso, per poi trarne un rapido bilancio, ai fini dell’attuale dibattito nazionale sull’“autonomia differenziata” in materia scolastica. 

1. GLI “ANTECEDENTI” DELL’AUTONOMIA SCOLASTICA TRENTINA 

Ogni processo istituzionale di cambiamento richiede un tempo adeguato. Quello della “provincializzazione” della scuola trentina ha richiesto almeno vent’anni. Proprio per questo è utile richiamarne – se pur brevemente – alcune basi e qualche passaggio cruciale. 

Si è accennato più sopra al 1988, data in cui col decreto del Presidente della Repubblica n. 405, vengono emanate le norme di attuazione in materia di ordinamento scolastico4 e si trasferisce alla Provincia l’esercizio di tutte le funzioni amministrative inerenti alla materia, ad eccezione di quanto concerne il personale insegnante (che rimarrà alle dipendenze dello Stato fino al 1996). 

Subito dopo, si avvia una intensa fase legislativa intesa a dotare la Provincia di tutti gli strumenti e organismi indispensabili all’esercizio delle nuove funzioni5

Tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta vengono emanate tre leggi essenziali. 

Si tratta della legge provinciale che istituisce la Sovrintendenza scolastica provinciale, in luogo del Provveditorato agli studi6, e che inquadra il personale non docente nel ruolo del personale provinciale; quella che istituisce l’IPRASE (Istituto provinciale di ricerca, sperimentazione e aggiornamento educativi), nonché la legge provinciale sull’autonomia delle scuole e gli organi collegiali7. Significativo anche il potenziamento del “Comitato provinciale di valutazione del sistema scolastico e formativo” (con funzioni in qualche modo antesignane di quelle poi affidate a livello nazionale all’Invalsi). 

Nonostante i limiti derivati dalla competenza “concorrente”, la Provincia si propone di trasformare la natura delle scuole, da organo dello Stato, a soggetti integrati operanti autonomamente nel territorio. Non a caso, infatti, i primi regolamenti attuativi della legge provinciale n. 29 del 1990 riguardano la disciplina dell’attribuzione della dirigenza scolastica, del dimensionamento delle istituzioni scolastiche e della contabilità8. Importante è anche sottolineare nella regolazione provinciale dell’autonomia il forte richiamo al territorio: le istituzioni scolastiche, infatti, vengono viste non solo come interagenti tra loro, ma anche con gli enti locali, le famiglie e le comunità locali. 

Un ulteriore passaggio decisivo è stato il decreto che trasferisce alla Provincia le funzioni statali in materia di stato giuridico ed economico del personale docente. Esso viene approvato con il D.P.R. 24 luglio 1996, n. 433 e fa salvo il diritto degli insegnanti alla mobilità sul territorio nazionale. 

A queste competenze vengono anche affiancate le competenze in materia di organici, dei ruoli del personale e della contrattazione collettiva. 

2. LA PROGRESSIVA REALIZZAZIONE DELL’AUTONOMIA 

La spinta autonomistica subisce un’ulteriore accelerazione a partire dagli anni Duemila, a seguito della riforma costituzionale del Titolo V del 2001. 

Per favorire la più ampia applicazione dell’autonomia da parte delle istituzioni scolastiche, vengono ad esempio introdotte disposizioni che consentono il supporto finanziario delle attività progettate direttamente dalle scuole e/o promosse dalla Provincia, per incidere sull’evoluzione del sistema in un’ottica di qualità; ad esempio, si punta all’introduzione delle nuove tecnologie e delle lingue straniere, e si incentivano le azioni per prevenire il disagio e l’abbandono9

Sul piano curriculare, va segnalato l’importante Protocollo MIUR-PAT del 2002 che anticipa alcune delle prospettive contenute nella successiva “riforma Moratti” del 200310, in particolare per quanto riguarda l’integrazione tra istruzione e formazione professionale, la gestione del tempo scuola su base annuale, l’ampliamento della flessibilità curricolare11

Sul piano sociale e culturale, i primi anni 2000 vengono caratterizzati infine dalla necessità di una scuola “aperta a tutti” e sempre più attenta nel prevenire e contrastare dispersione ed esclusione12

Si arriva così alla legge provinciale n. 5/2006 che ribadisce e sviluppa i principi fondanti del sistema educativo trentino, raccogliendo in un unico corpo normativo le varie disposizioni disciplinate negli anni. Tra gli aspetti salienti, essa rafforza il modello partecipativo dal basso, rinnova la governance e gli organismi collegiali, promuove l’approccio per competenze, incentiva la formazione iniziale e permanente del personale, l’innovazione e la ricerca, rivede in senso “verticale” l’offerta curriculare (col attraverso il raccordo tra i piani di studio del primo e secondo ciclo), stabilizzando l’offerta post-diploma (denominata “alta formazione professionale”) e configurando un sistema unitario, attraverso l’estensione ai Centri di formazione professionale dell’autonomia già riconosciuta alle istituzioni scolastiche. 

Questa legge costituisce anche la cornice culturale e normativa per un’altra decisione di forte differenziazione dall’assetto nazionale: il superamento dell’offerta dell’istruzione professionale e il suo “assorbimento” nell’istruzione tecnica e soprattutto nella IeFP erogata dai Centri di formazione professionale. A ciò corrisponde la progressiva generalizzazione dei quarti anni di diploma e l’introduzione – a partire dall’anno scolastico 2014-15 – di un anno di raccordo finalizzato al conseguimento di un diploma quinquennale (denominato CAPES, Corso annuale per l'Esame di Stato). Tali decisioni vengono maturate anche a seguito delle riforme avviate a livello nazionale, dall’obbligo di istruzione (2007) alla riforma del secondo ciclo di istruzione (2010). 

L’ultimo decennio del processo autonomistico si è caratterizzato soprattutto per: 

- un ulteriore arricchimento dell’offerta curriculare, in particolare sul terreno del plurilinguismo e delle discipline STEAM, 

- una revisione della legge 5/2006, in particolare per quanto concerne gli organismi di partecipazione (2016), 

- un significativo intervento sul piano organizzativo che ha riguardato la gestione del personale, docente e non docente. Qui si può citare ad esempio: il” Piano pluriennale straordinario di stabilizzazione del personale docente” (2014), gli investimenti nella qualificazione dei docenti previsti dal “Piano di sviluppo provinciale” (2019) e il recentissimo provvedimento sulla carriera del personale docente (2023), con i relativi confronti e/o accordi intrapresi con le organizzazioni sindacali di categoria. 

3. VANTAGGI E CRITICITÀ DEL “MODELLO TRENTINO”: UN PRIMO BILANCIO 

Quanto sopra richiamato può far intuire agevolmente i grandi risultati e le grandi potenzialità espresse dell’autonomia provinciale trentina in campo scolastico. 

Da un lato, essa ha generato certamente condizioni efficaci per lo sviluppo di una scuola di qualità in grado di essere anche inclusiva, come dimostrano tutti i principali dati statistici comparati13. Tali dati mostrano un quadro molto più positivo delle medie nazionali, ad esempio per quanto riguarda i tassi di dispersione scolastica, di NEET, di diplomati e laureati, di inserimento lavorativo dei giovani. 

Dall’altro lato, non vanno sottaciuti alcuni elementi di criticità emersi nel tempo, elementi che possono essere utili a valutare anche le condizioni di eventuale trasferibilità del modello trentino14

In primo luogo, il rapporto tra autonomia delle singole istituzioni scolastiche e formative e autonomia provinciale15. In non pochi casi, sono stati segnalati rischi di “centralizzazione” delle decisioni da parte della PAT16, tramite la burocrazia provinciale (in luogo di quella ministeriale), oppure di de-responsabilizzazione delle scuole17, anche in rapporto al ruolo delle amministrazioni locali. 

In secondo luogo, l’influenza sui processi partecipativi. Non sempre l’autonomia è stata infatti percepita, soprattutto da parte del corpo insegnante e ancor più dai genitori, come un incentivo alla partecipazione dal basso. Ciò è correlato al rischio di isolamento corso da molte scuole e ad un inadeguato lavoro di rete nel territorio. 

In terzo luogo, va ricordato il rapporto tra sistema educativo nazionale e provinciale. Sicuramente l’autonomia ha consentito maggiori margini di libertà di iniziativa e di sperimentazione, ma in altri  

casi ha attivato anche processi auto-referenziali che talora hanno portato a dilazionare possibili ulteriori innovazioni (talora anche in conseguenza degli stessi successi ottenuti dal Trentino)18

Da ultimo, l’efficienza economica del servizio scolastico e formativo. Se si guarda infatti comparativamente al resto d’Italia, almeno per quanto riguarda le Regioni ordinarie, i costi sono nettamente superiori. Se, ad esempio si considera il costo medio pro-capite per alunno, esso si stima corrispondere in Trentino ad almeno il 30% in più19

A conclusione di queste riflessioni si può citare, per la sua attualità, quanto già osservava il Comitato provinciale trentino di valutazione nel 2006, circa il rapporto tra “autonomia come opportunità” e “autonomia come vincolo”: “il mutamento organizzativo viene aiutato dall’autonomia, ma il vero cambiamento presuppone una mentalità, … “organizzativa” e deve partire dal basso, essere prima di tutto patrimonio della mentalità” e fatto proprio responsabilmente da tutti gli attori in campo20

1 Come dimostra l’eccellente e costante posizionamento del Trentino sia nelle rilevazioni periodiche internazionali (come OCSE-PISA e IEA), sia nelle prove INVALSI. 

2 A questo ha corrisposto un processo di reale “provincializzazione” della scuola, culminato – nel 1996 – nel passaggio di tutto il personale (direttivo, docente e ATA) dai ruoli dello Stato a quello della Provincia. Caso unico in Italia. Infatti, in tutte le altre regioni autonome, ivi compresa la Provincia autonoma di Bolzano, il personale continua ad essere alle dipendenze dello Stato. 

Non è questa la sede per una ricostruzione storica del più generale processo di autonomia della PAT. Per un approfondimento, si rinvia a: Mauro Marcantoni, Gianfranco Postal, Roberto Toniatti (a cura di), Quarant'anni di autonomia. Il Trentino del Secondo Statuto (1971-2011), (3 voll.), F. Angeli, Milano, 2011. Il volume raccoglie la documentazione ragionata dell’attività legislativa e amministrativa della Provincia autonoma di Trento dal secondo Statuto ad oggi, interpretata come un vero e proprio “laboratorio innovativo di autogoverno”, anche in confronto con le riforme costituzionali effettuate a livello nazionale (in particolare con quella del Titolo V del 2011). In esso si documenta anche la spinta all’innovazione che fu la base di partenza strategica per la creazione nel 1962 dell’Istituto Trentino di Cultura, fortemente voluto dall’allora Presidente della Giunta provinciale Bruno Kessler e da cui nacque l’Università di Trento, nonché il forte investimento della Provincia nella scuola, per la crescita dei livelli di istruzione e della valorizzazione delle competenze dei giovani, anche attraverso servizi specialistici all’avanguardia, come quello dell’orientamento professionale; Mauro Marcantoni, Giorgio Postal, Autonomia speciale. Origini, storia, attualità in Trentino Alto Adige/Südtirol, IASA, Trento, 2017, in cui si ricostruisce quanto avvenuto a seguito dell’approvazione del Testo unico del Nuovo Statuto per il Trentino-Alto Adige (D.P.R. 31 agosto 1972, n. 670). Si può dire che allora “Vi era un comune punto di partenza: la consapevolezza delle forze sociali e politiche che la scuola costituisse uno spazio centrale dello sviluppo culturale, sociale ed economico di un paese e di una comunità. Al tempo stesso vi era la certezza che occorresse dare un segnale e dimostrare che il Trentino muoveva i suoi passi propositivi e autonomi, coerentemente con la sua storia, la sua identità e in linea con le previsioni statutarie che consentivano alla Provincia di emanare norme legislative in materia di istruzione elementare e secondaria, anticipando le iniziative nazionali”. Un esempio: nel 1976 furono emanate le norme di attuazione in materia di scuola materna (D.P.R. 12 agosto 1976, n. 667) ambito su cui la Provincia legiferò in maniera organica nel 1977 creando quello che tuttora rappresenta il sistema paritetico pubblico e privato della scuola dell’infanzia trentina (L.P. 21 marzo 1977, n. 13).  

3 Si tratta della L.P. n. 5/2006 del 7 agosto, denominata “legge Salvaterra”, dall’assessore provinciale che l’ha ideata. 

Si tratta del decreto del Presidente della Repubblica 15 luglio 1988, n. 405 “Norme di attuazione dello Statuto speciale per la Regione Trentino Alto-Adige in materia di ordinamento scolastico in Provincia di Trento”, poi modificato col decreto legislativo 19 novembre 2003, n. 346 (in G.U. 23 dicembre 2003, n. 297). Esso si collega alla legge statale n. 59 del 1997 in materia di autonomia scolastica. 

5 Cfr. Antonacci M.C., L’autonomia scolastica: il caso della Provincia autonoma di Trento, Il quadro normativo, in “Le Istituzioni del Federalismo”, n. 2/3 (2004). 

6 L’ultimo Sovrintendente della scuola trentina, dal 1999 al 2005, è stato Fabio Marcantoni. Poi la giunta provinciale, allora guidata da Lorenzo Dellai, decise di abolirne la funzione, dando tutte le sue competenze a un dirigente generale della Provincia. Con la Giunta Fugatti, questa figura è stata reintrodotta nel 2020. 

7 Si tratta della legge provinciale 9 novembre 1990, n. 29 “Norme in materia di autonomia delle scuole, organi collegiali e diritto allo studio” (in B.U. 20 settembre 1990, n. 52, suppl. ord.). 

8 Cfr. Decreto del Presidente della Giunta provinciale 18 ottobre 1999, n. 12-11/Leg, (in B.U. 30 novembre 1999, n. 53); decreto del Presidente della Giunta provinciale 18 ottobre 1999, n. 13-12/Leg, (in B.U. 7 dicembre 1999, n. 54) e decreto del Presidente della Giunta provinciale 19 luglio 2000, n. 18-36/Leg, (in B.U. 22 agosto 2000, n. 35 – suppl. n. 1).  

9 Cfr. Antonacci, p. 322. 

10 Cfr. L. 53/2003 “Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale”. 

11 Ad esempio, si conferma la normativa speciale relativa all’insegnamento di due lingue straniere nella scuola dell’obbligo, di cui una è il tedesco, e della lingua ladina, fino a quando la Provincia non disciplini con propria legge la materia. 

12 Infatti in quegli anni “comincia a farsi notare un fenomeno destinato a crescere fino al consistente livello dei giorni nostri: quello migratorio. In pochi anni la popolazione scolastica straniera – che fino ad allora era rimasta sempre sostanzialmente stabile – arriva addirittura a quadruplicare. Questo conferisce alle scelte legislative e alle politiche provinciali quel carattere di “laboratorio” che molto spesso è stato riconosciuto al sistema trentino anche fuori dagli ambiti provinciali, in particolare in materia di diritto allo studio e di attenzione verso i bisogni educativi speciali” (cfr. Zambotti M., Evoluzione delle politiche per l’istruzione in Trentino. Dal secondo Statuto del 1971 al 2021, in “50 anni di autonomia trentina”, IDESIA, Trento 2022, p. 10).  

13 Cfr. Zambotti, pp. 68-69. 

14 L’autonomia, infatti, apre spazi, ma contemporaneamente crea entropia e insicurezza nelle dinamiche organizzative interne alle scuole. 

15 Cfr. Comitato provinciale di valutazione, Verso un’autonomia matura. L’attuazione dell’autonomia scolastica in provincia di Trento, Didascalie Libri, Trento, settembre 2006. L’indagine è stata condotta su sui dirigenti, docenti, genitori e studenti. 

16 Cfr. la Prefazione di Giorgio Allulli all’indagine del Comitato provinciale di valutazione del 2006, in cui si evocano i rischi di una “prossimità eccessiva del decisore politico rispetto all’erogatore del servizio”, p. 9. Più avanti, nell’Introduzione (p. 17), si osserva che le singole scuole, “a fronte del riconoscimento giuridico della loro autonomia, anche in un contesto limitato e già interessato dal decentramento, restano un interlocutore debole”. 

17 Cfr. Nell’Introduzione dell’indagine citata (p. 15) Luisa Ribolzi sostiene infatti che la Provincia … “dovrebbe fare per consentire alla scuola di realizzare in modo responsabile la propria autonomia, evitando la tentazione di rifugiarsi nella sicurezza apparente di una istituzione-mamma che si sostituisce alle scuole, anziché responsabilizzarle”. D’altro canto, emerge “fra i dirigenti ma anche fra i docenti, l’idea che l’introduzione dell’autonomia ha modificato le relazioni orizzontali e verticali, ridimensionando il ruolo della burocrazia e ponendo al centro il problema dell’identità della scuola”.  

18 Un esempio può essere richiamato al riguardo: lo sviluppo del sistema di “alta formazione professionale”, fiore all’occhiello del Trentino. Questo segmento di offerta dovrà fare infatti i conti col nuovo ordinamento nazionale delle ITS Academy, con tutti gli adattamenti conseguenti sul piano ordinamentale e organizzativo. 

19 Inoltre, l’autonomia non sembra aver inciso molto sui meccanismi di finanziamento delle scuole, che spesso sono rimasti in continuità con i tradizionali criteri di “distribuzione a pioggia”. 

20 Cfr. Comitato provinciale di valutazione, cit., p.197.  

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