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MIGRAZIONI

• Roberto Impicciatore
   Le immigrazioni internazionali.
   Stereotipi e vantaggi
   di un fenomeno "normale"


• Matteo Orlandini   
   
Scuola, società, immigrazione in Italia.
   Un quadro a luci ed ombre


• Ulderico Sbarra
   AltoMare

Le immigrazioni internazionali.
Stereotipi e vantaggi
di un fenomeno "normale"

 

Le migrazioni internazionali

sono spesso trattate dalla politica

e nei media come un fenomeno emergenziale, alimentando paure

e stereotipi. I dati rivelano che in Italia si tratta di un fenomeno strutturale con ricaschi demografici

ed economici positivi. 

 Professore associato in Demografia

presso Alma Mater Studiorum – Università di Bologna 

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L’Italia ha occupato una posizione centrale nel sistema migratorio globale per oltre un secolo. Il nostro Paese ha contribuito in maniera determinante sia al grande flusso migratorio transoceanico tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo, sia all’intensa mobilità del Secondo Dopoguerra diretta principalmente verso i paesi europei bisognosi di manodopera per la ricostruzione. 

Dopo un periodo di relativa calma negli anni Settanta e Ottanta, l’Italia è tornata ad essere protagonista, questa volta nella veste di paese di destinazione, diventando una delle principali mete dei flussi migratori a livello globale. Il grande boom migratorio dei primi quindici anni di questo secolo ha portato a una decisa crescita della componente straniera. Attualmente, in Italia sono presenti 5 milioni e 775 stranieri, un contingente che costituisce il 9,6% della popolazione complessiva. 

Le migrazioni internazionali, siano esse in uscita sia in entrata, non solo hanno segnato la storia del nostro Paese, contribuendo alla crescita economica e all’equilibrio demografico e occupazionale, ma continueranno a costituire un fondamentale fattore di cambiamento demografico, economico e sociale, anche negli anni a venire. Si tratta, pertanto, di un fenomeno strutturale costantemente presente nelle nostre società. Tuttavia, le migrazioni continuano ad essere percepite come una realtà scomoda, spesso accettata passivamente e trattata come una perenne emergenza. 

Il prevalere di una narrazione quasi esclusivamente incentrata sull’aspetto emergenziale legato agli sbarchi, alle migrazioni forzate e alla presenza irregolare, ha messo in ombra la complessità del fenomeno migratorio creando una immagine distorta e parziale. Alla luce dei dati disponibili in materia, cerchiamo di fare chiarezza su alcuni stereotipi legati alle migrazioni internazionali. 

Innanzitutto, va subito precisato che la maggior parte degli immigrati arriva in Italia via terra. Se andiamo a sommare il numero di tutti gli sbarchi registrati dal 1997 al 2021 otteniamo un totale di 1,2 milioni, un numero considerevole ma comunque ben lontano dal numero di iscrizioni anagrafiche di persone provenienti dall’estero che per lo stesso periodo è di quasi 8 milioni. Un rozzo indicatore della percentuale di chi è arrivato via mare potrebbe quindi suggerire che solo il 15% degli stranieri è arrivato in Italia attraverso i barconi. Tuttavia, si tratta verosimilmente di una sovrastima, dato che non tutte le persone che sbarcano sulle coste restano poi effettivamente in Italia. A rafforzare questa impressione è il fatto che ogni 100 sbarchi si registrano 80 richieste di asilo. Considerando che non tutte le richieste di asilo derivano da un ingresso via mare, si evince che molte persone transitino sul nostro Paese senza presentare domanda di asilo. 

La maggiore visibilità mediatica degli sbarchi, rispetto ad altre forme di immigrazione, fa passare in secondo piano il fatto che l’Italia non è affatto lasciata sola a gestire il fenomeno migratorio. Concentriamoci sulle migrazioni per motivi umanitari. Nel corso del 2022, anno in cui si è registrato un deciso aumento delle domande di asilo, in Italia ne sono state registrate 84 mila, pari all’8,4% sul totale dei Paesi UE (più Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera). Nello stesso anno, la Germania ne ha ricevute 244 mila (24,4%), la Francia 156 mila (15,7%). Anche la Spagna (118 mila) e l’Austria (84 mila), paesi demograficamente più piccoli del nostro, ne hanno ricevute di più. 

Un altro luogo comune piuttosto diffuso riguarda la condizione di irregolarità di chi arriva nel nostro Paese. Secondo i dati Eurobarometro (il sito dei sondaggio d'opinione del Parlamento Europeo), nel 2021, il 54% degli italiani riteneva che ci fossero più migranti irregolari che regolari (contro una media europea del 33%) mentre solo il 17% (la percentuale più bassa in Europa dopo quello della Grecia e di Cipro) era a conoscenza del fatto che, in realtà, la quota di irregolari è più bassa. 

L’Istituto ISMU (Iniziative e Studi sulla Multietnicità) che da anni fornisce una preziosa stima della componente irregolare in Italia, mostra che la quota di irregolari in Italia, dal 2009, si situa sistematicamente al di sotto del 10% della presenza straniera complessiva. L’ultimo dato relativo al 2023 mostra una percentuale pari al 7,9%. 

Continuare ad adottare un approccio di tipo emergenziale, che si concentra sulle problematiche della prima accoglienza, spesso enfatizzandone i costi sociali oltreché economici, continua ad avere una indubbia efficacia politica, anche perché è in grado di alimentare le solite paure di future possibili invasioni. In tal modo si spinge verso una gestione del fenomeno migratorio attraverso politiche di breve periodo legate a fattori transitori e congiunturali, trascurando le misure che invece potrebbero facilitare il percorso di integrazione degli immigrati e dei loro figli tra i quali, non ultimi, l’estensione di canali di ingresso legale per lavoro e l’agevolazione dell’acquisizione della cittadinanza per i giovani discendenti di origine straniera. In altre parole, si tende a distogliere l’attenzione dalla componente maggioritaria del fenomeno migratorio e dall’importante contributo che questa sta fornendo al nostro Paese. 

L’arrivo di persone da altri Paesi si è rivelato non secondario nel rallentare il processo di invecchiamento. Dall’inizio del secolo ad oggi, la popolazione di cittadinanza italiana in età attiva (tra i 20 e i 64 anni di età) si è ridotta di quasi 3 milioni e mezzo di unità, ma è stata in gran parte compensata dalla componente straniera che, relativamente alla stessa età, è cresciuta di 2,6 milioni. Allo stesso tempo, dei 3,5 milioni di ultrasessantacinquenni in più, la quasi totalità (93,4%) è riconducibile alla componente con cittadinanza italiana. La popolazione italiana è in decrescita dal 2015, senza l’apporto degli immigrati avrebbe cominciato a diminuire già dagli anni Novanta. 

Inoltre, il massiccio arrivo di immigrati negli ultimi vent’anni ha portato anche degli evidenti benefici economici. Uno studio della Banca d’Italia del 2018 ha dimostrato che la crescita del Pil, pari a +2,3 punti percentuali osservata nel periodo 2001-11, in assenza di immigrazione sarebbe stata negativa e pari a -4,4. Nel quinquennio successivo, gli immigrati limitarono a un -2,8 punti percentuali un declino che altrimenti sarebbe stato di -6,1. 

In conclusione, che ci piaccia o no, le migrazioni saranno presenti finché ci sarà cambiamento, desiderio di crescita e aspirazioni di mobilità sociale. Le migrazioni rappresentano un fenomeno “normale” che deve essere considerato come una prerogativa dell’essere umano. Abbiamo la fortuna di attraversare una fase storica favorevole, caratterizzata dalla presenza di numerose popolazioni demograficamente giovani e con prospettive di sviluppo economico, andando ad identificare un ampio bacino di potenziali migranti. Non sarà sempre così. 

Per un Paese che invecchia rapidamente e che sta perdendo velocemente giovani e forza lavoro, ciò potrebbe non essere necessariamente un male. 

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