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intelligenz-@

Portare
l'Intelligenza
Artificiale
in classe

Il nostro tempo è segnato 

dal protagonismo culturale dei dati, dal lavoro degli algoritmi, 

che ridefiniscono il senso 

della cittadinanza e la portata 

del pensiero critico. Dunque,

l’Intelligenza Artificiale va studiata 

in classe, materia trasversale,

apprendendone il lessico

e verificandone l’etica. 

Professore ordinario di Didattica e Tecnologie dell’istruzione all’Università Cattolica

del Sacro Cuore di Milano

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Il nostro tempo è contraddistinto da diversi fenomeni che incidono sul lavoro della scuola. 

È un tempo caratterizzato da quella che Bolter (2019) chiama plenitudine digitale: un continuum di microproduzioni, realizzate da singoli utenti, che abbatte la classica differenza tra cultura alta e bassa e ridisegna piuttosto l’economia testuale nella direzione della formazione di tante comunità di utenti, ciascuna con i suoi valori e i suoi prodotti culturali di riferimento. E così si comprende la provocazione di chi suggerisce di sostituire a I promessi sposi la commedia all’italiana. 

È anche un tempo improntato alla superdiversità, per usare una felice espressione di Davide Zoletto (2023). Si tratta di una diversità resa iperbolica dalla globalizzazione, dalla moltiplicazione delle culture, dalla presenza di molteplici linguaggi. Insegnare a “leggere e scrivere” non basta più: gli alfabeti da gestire sono molti, il sistema delle competenze si allarga a comprendere nuove attitudini, richiede di sviluppare New Literacies (Rivoltella, 2020). 

E ancora è un tempo segnato dal protagonismo culturale dei dati, dal lavoro degli algoritmi. Si tratta di nuovi elementi della scena del consumo che ridefiniscono in profondità il senso della nostra cittadinanza e la portata del nostro esercizio di pensiero critico. 

Proprio riguardo a quest’ultimo tratto, si pongono le domande che stanno alla base di questo articolo. Perché portare l’Intelligenza Artificiale (IA) in classe? E come? 

LINGUAGGIO, PENSIERO CRITICO, ATTENZIONE ETICA 

Anzitutto perché. È presto detto: occorre sviluppare negli studenti cultura dell’IA (Panciroli & Rivoltella, 2023). E questo significa diffonderne il lessico, spiegare come funzionano le logiche a essa sottese, aggirando le discorsivizzazioni dei media, spesso semplificatorie se non fuorvianti. Di questa cultura fanno parte almeno tre dimensioni. 

C’è una dimensione di linguaggio, che comporta di sapere cosa è un data set, cosa significa parlare di reti neurali e deep learning, di IA generativa e di data mining. Non è solo un problema di lessico, ma di conoscenza del funzionamento dei dispositivi. 

Oltre a questa, vi è una dimensione critica. I dati non si vedono, nemmeno gli algoritmi. Né gli uni né gli altri hanno forma testuale. Questo significa sovvertire le logiche classiche del lavoro semiotico e porsi il problema di come sviluppare strategie di lettura critica su forme mediali che non sono visibili e non sono testuali. 

Infine, non si può sottacere la dimensione etica. Questo significa interrogarsi sulla fairness dell’IA, ovvero chiedersi se sia libera da stereotipi o pregiudizi. Significa anche definire i limiti della ricerca, ma anche le regole di impiego dei sistemi. 

Sembra di poter dire, dunque, che proprio la scuola non si possa esimere dallo sviluppare cultura rispetto all’IA. Ma come? 

UN CURRICOLO DI IA? 

Di sicuro non si può percorrere la strada dell’ennesima educazione di cui la scuola si debba far carico, tanto meno si possono inserire delle “ore di IA”, immaginando chi le possa insegnare e come valutare 

le competenze acquisite su di essa dagli studenti. In tempo di superdiversità, la soluzione al problema di come la scuola possa farsene carico non passa dalle molte educazioni, dalla moltiplicazione delle discipline: si capisce subito che si tratta di un esercizio privo di sostenibilità. La soluzione può essere solo quella dell’integrazione, del metodo, della trasversalità. 

Il curricolo di IA dev’essere anzitutto un curricolo integrato. Non aggiunge nulla, “ritaglia” dentro le singole discipline, sottolinea ed evidenzia nuclei di significato. A questo primo livello si tratta di capire cosa la singola disciplina, con la sua epistemologia e i suoi contenuti, possa dare come contributo per creare cultura dell’IA. Si possono affrontare gli algoritmi in matematica, i problemi della programmazione in informatica; si può ricostruire il dibattito sulle “macchine pensanti” da Turing alla filosofia analitica; si può lavorare sull’immaginario letterario relativo all’IA, da Buzzati, a Primo Levi, a Italo Calvino. 

Una seconda indicazione è di metodo. Nelle singole discipline non c’è spazio solo per la didattica diretta (l’IA come oggetto dell’intervento didattico), ma anche per la didattica indiretta. Ovvero, si può sviluppare cultura dell’IA utilizzandone delle applicazioni. Basti pensare alle applicazioni di IA generativa per disegnare, per lavorare sulla lingua, scrivere codice, ecc. Mentre uso Chat GPT per supportare il processo creativo dei miei studenti in scuola di italiano, posso accompagnarli a riflettere sulle logiche sottese, sul tipo di interazione che sono portato a sviluppare, sui bias che il software mi restituisce. 

Infine, il curricolo di IA non può che essere un curricolo trasversale. L’attitudine al pensiero critico come la riflessione etica non è specifica di una singola disciplina. Come nel caso dell’educazione alla cittadinanza è compito di ogni singolo insegnante in quanto insegnante, indipendentemente dalla sua disciplina. Questo comporta un’assunzione di responsabilità collegiale da parte degli insegnanti e un’attenzione all’IA come variabile della cultura contemporanea, su cui ogni singolo insegnante in quanto intellettuale impegnato nel compito di formare (per) la cittadinanza, non può che sentirsi ingaggiato. 

Non resta che aprire lo spazio della sperimentazione. Molte scuole ci hanno già provato. Io stesso proprio nell’a.s. 2023-24 avvierò una minisperimentazione in tal senso. 

Riferimenti bibliografici 

Bolter, D.J. (2019), Plenitudine digitale. Il declino delle culture di élite e l’ascesa dei media digitali, tr. it. Minimum Fax, Roma 2020

Panciroli, C., Rivoltella, P.C. (2023), Pedagogia algoritmica, Scholé, Brescia

Rivoltella, P.C. (2020), Nuovi alfabeti. Educazione e culture nella società post-mediale, Scholé, Brescia

Zoletto, D. (2023), Superdiversità a scuola. Testi e linguaggi per educare nelle classi ad alta complessità, Scholé, Brescia

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