intelligenz-@
Lo
studente
inconsapevole
Qual è il futuro della scuola
nel confronto quotidiano con l’AI? Quale il destino dei professori?
E quello degli studenti?
Alcune risposte derivano
dalla considerazione che l’AI non sia poi così intelligente, almeno non come immaginavamo l’intelligenza dovesse essere: ad esempio consapevole
ed emotiva.
Professore Associato
presso il Politecnico di Torino
L’intelligenza artificiale, nota come “AI” dalla sua espressione inglese Artificial Intelligence, è quell’insieme di metodi e tecniche che consentono ai computer di simulare l’intelligenza umana1. Tra le sue tecniche più note citiamo le reti neurali artificiali, che sono modelli computazionali, tradizionalmente progettati da informatici, ispirati vagamente alle reti neurali biologiche alla base del sistema nervoso umano.
Ma che cosa fa l’intelligenza artificiale? Innanzitutto, ci aiuta. Nella vita quotidiana, nel lavoro, nello studio, nel tempo libero. Nelle sue varie forme ci consente di avere risposte immediate ai nostri dubbi, a evitare lo spreco di energie e di tempo; ci aiuta a muoverci e a spostarci, a giocare, a monitorare il nostro stato di salute, ad apprendere. Insomma, ci consente di deambulare nella nostra esistenza con un piccolo (o grande) aiuto, normalmente di natura pratica. È una precisazione importante da fare, perché finora le intelligenze artificiali sono state relativamente funzionali nello svolgere compiti pratici, o più propriamente attività che potessero essere categorizzate e ‘logicizzate’ agevolmente da progettisti e programmatori, come giocare a scacchi, ipotizzare risposte adeguate nelle chat, interpretare dei movimenti, disegnare quanto richiesto da un utente o indovinare che prodotti ci interessano. Un esempio concreto è il sistema di rilevamento dell’attenzione dello studente tipico di piattaforme per sostenere gli esami online quali Moodle2.
Ma questa, se ci pensiamo, non è esattamente intelligenza. È più che altro addestramento o, meglio, apprendimento. Proprio perché, per natura, le intelligenze artificiali si appoggiano ad algoritmi, quali appunto le reti neurali, che per funzionare hanno bisogno di grandi moli di dati per apprendere e generalizzare, il loro scopo è crearsi una regola (che tra l’altro non è sempre quella corretta) per riuscire a predire i dati futuri o la migliore mossa in una partita. Senza nulla togliere all’intelligenza di un giocatore di scacchi umano, quella della “AI” - sia in quel caso, sia più in generale - è un’intelligenza basata su estenuanti e sempre più specifici addestramenti, tarata per portare a termine un obiettivo, spesso uno soltanto. Ma non si diceva una volta, quando ancora non si parlava molto dell’artificialità dell’intelligenza, che era intelligente chi sapeva risolvere un problema col minor numero di dati? Che ne è rimasto di questo concetto?
Il rischio è forse quello di confondere intelligenza e apprendimento, che assomigliano rispettivamente allo studente che studia poco ma è molto portato per la materia (potremmo dire che è intelligente in quel campo) e allo studente che studia a sfinimento e alla fine riesce a portare a casa un buon voto, ma fondamentalmente non brilla per perspicacia e ragionamento. Magari hanno anche ricevuto voti simili, ma chi è il più intelligente fra i due? Ecco, l’intelligenza artificiale è un po' così, come uno studente che ha studiato tanto e ottiene un voto adeguato al suo impegno, ma manca della capacità di astrazione, fondamentale per la formazione dei concetti, e di consapevolezza (la consciousness3), indispensabile per definire l’intelligenza dell’io pensante.
E di consapevolezza dell’intelligenza artificiale si è lungamente parlato, perché intelligenza e consapevolezza paiono essere due elementi strettamente collegati e difficilmente scindibili. La sfida
è duplice: capire se possa esserci una intelligenza senza consapevolezza e se l’intelligenza artificiale possa possederne una. Sono due dubbi di natura filosofica che hanno visto succedersi negli anni molte risposte e altrettante teorie. Le diramazioni teoriche sono molteplici anche per via del fatto che la consciousness non possiede né una definizione univoca, che parte dalla coscienza fino ad arrivare alla consapevolezza di sé e del mondo circostante, né può essere collocata in un unico campo di ricerche. Tra le tante discipline che la studiano troviamo filosofia, scienze cognitive, psicologia, fisica (quantistica), neuroscienza, antropologia… Citiamo tra le interpretazioni nell’ambito della fisica quantistica la teoria chiamata ORCHestrated Objective Reduction del premio Nobel Roger Penrose, che attribuisce a calcoli quantistici "orchestrati" nei microtubuli all'interno dei neuroni cerebrali il compito di convogliare la consciousness4.
Volendo dare una risposta frettolosa e parzialmente inconsapevole (!), temo che sarà difficile parlare di intelligenza senza consapevolezza e, a maggior ragione, dubito che l’intelligenza artificiale possa averne una. Una affermazione forte ma confermata dal ben più autorevole Federico Faggin, padre del microchip, che sostiene che i computer non potranno mai essere coscienti5.
Ma, tornando all’intelligenza, una riflessione, o forse una suggestione, sorge spontanea. Forse prima di capire se l’intelligenza artificiale esista o meno dobbiamo ancora finire di (o iniziare a) capire che cosa sia l’intelligenza. Quella umana. Qualcuno dice che esistono otto tipo di intelligenza, altri nove, altri dodici, altri molti di più. Se è così, quali fra queste stiamo cercando di emulare? Mentre alcune intelligenze umane sono di natura più quantitativa, come quella logico-matematica, altre possono essere più qualitative, come l’intelligenza interpersonale, che ci consente di comprendere quali sentimenti provano le persone intorno a noi6. L’intelligenza artificiale è in grado di simulare questa capacità affettiva? È la domanda del momento. Nello specifico: può esserci un’intelligenza emotiva artificiale?
La mia risposta è che non ci sarà mai del tutto, che è un po’ come dire di no. Ci stiamo provando, questo sì. Stiamo ad esempio chiedendo alle reti neurali convoluzionali, ispirate alla corteccia visiva7, e ad altri metodi di classificazione “intelligenti” di interpretare le espressioni facciali del nostro volto per estrapolare qualche traccia di emozione. I risultati sono buoni se testiamo gli algoritmi su emozioni note, come felicità, paura, tristezza, disgusto, ma non incoraggianti nel momento in cui li applichiamo a contesti reali, dove le emozioni più diffuse sono a mala pena accennate e contaminate da altre, ovvero alle cosiddette ‘emozioni spontanee’8. Riusciremo mai a insegnare ad un’intelligenza artificiale a scovare sul nostro volto emozioni come incredulità, imbarazzo, trepidazione, desiderio, nostalgia o una combinazione di esse? Volendo essere ottimisti, in parte.
Ma le emozioni passano anche da altri canali, ad esempio dai testi. L’intelligenza artificiale saprà anche leggere e interpretare correttamente un mio messaggio testuale, ma potrà capire una battuta, un gioco di parole o il mio tono mentre chatto o invio una mail? Al momento non molto. Eppure, queste interpretazioni sono fondamentali per le relazioni interpersonali fra umani, e se l’intelligenza artificiale vuole copiare l’uomo dovrà prima o poi sobbarcarsi anche a questo compito e adempierlo in modo adeguato alla complessità del mondo odierno.
Quali sono le prospettive? Difficilmente vedremo queste intelligenze artificiali ribellarsi all’essere umano. Sono in gamba, ma per condurre una rivolta bisogna avere una consapevolezza del proprio stato, saper fiutare e intuire gli intenti e i sentimenti del mondo circostante; bisogna avere una visione di insieme. Più che altro possiamo aspettarci qualcosa da noi, magari di impigrirci leggermente, perché queste intelligenze artificiali faranno un po' di lavoro sporco al posto nostro, inconsapevolmente.
1 C. Zhang and Y. Lu, "Study on artificial intelligence: The state of the art and future prospects", Journal of Industrial Information Integration, vol. 23, p. 100-224, 2021
2 P.D.A.U. Akalanka and K. Manathunga, "Real-Time Exam Anomaly Detection in Moodle-based Exam Systems with an AI Agent," International Research Conference on Smart Computing and Systems Engineering (SCSE), vol. 5, pp. 217-224, September 2022
3 D.J. Chalmers, The Conscious Mind: In Search of a Fundamental Theory, Oxford University Press, 1997
4 S. Hameroff and R. Penrose, "Orchestrated reduction of quantum coherence in brain microtubules: A model for consciousness," Mathematics and computers in simulation, vol. 40, no. 3-4, pp. 453-480, 1996
5 F. Faggin, Irriducibile. La coscienza, la vita. i computer e la nostra natura, Mondadori, 2022
6 B.A. Visser, M. C. Ashton and P. A. Vernon, "Beyond g: Putting multiple intelligences theory to the test," Intelligence, vol. 34, no. 5, pp. 487-502, 2006
7 F. Nonis, N. Dagnes, F. Marcolin and E. Vezzetti, "3D approaches and challenges in facial expression recognition algorithms-a literature review," Applied Sciences, vol. 9, no. 18, p. 3904, 2019
8 X. Zhang, L. Yin, J.F. Cohn, S. Canavan, M. Reale, A. Horowitz and J. M. Girard, "Bp4d-spontaneous: a high-resolution spontaneous 3d dynamic facial expression database," Image and Vision Computing, vol. 32, no. 10, pp. 692-706, 2014