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Forme geometriche

GENTE di

SCUOLA

 Pietro Sacchelli
   Difficoltà scolastiche   
   e metodo di studio


 

Difficoltà  scolastiche           
e metodo di studio

Insegnante presso I.C. “Staffetti Massa 2” di Massa

e docente a contratto di Pedagogia Scolastica

c/o l’Università di Roma Tre

Michele frequenta la seconda classe di una scuola secondaria di I grado nell’immediata periferia della città. Malgrado il costante impegno domestico, il suo rendimento scolastico è mediocre, con una valutazione non sempre sufficiente nelle varie materie. Gli insegnanti lo giudicano socievole, intelligente ma superficiale e poco motivato nello studio, con un profitto inferiore alle sue potenzialità. L’anno precedente la madre si era rivolta allo sportello psicologico della scuola chiedendo consigli per migliorare le prestazioni scolastiche del figlio. La psicologa d’istituto riteneva che lo scarso rendimento di Michele fosse causato da una bassa autostima e un’insufficiente motivazione nello studio. La psicologia riconduce frequentemente le difficoltà d’apprendimento al piano emotivo e motivazionale dello studente, ma anche a una sua carenza nell’applicazione delle strategie di pianificazione e di organizzazione del lavoro scolastico. 

Molto spesso l’insoddisfacente rendimento degli alunni è causato invece dalla mancanza di un metodo di studio che, come il fantasma del Louvre, Belfagor, è noto a tutti ma non è conosciuto da nessuno. Quello che dovrebbe essere il “piatto forte” dell’istituzione scolastica è in realtà un assente ingiustificato, menzionato nel PTOF ma disatteso nella pratica didattica. 

Alcuni anni fa, in Veneto, è stato sottoposto ad un sondaggio su un campione di 3.500 studenti delle scuole secondarie di II grado, per valutare la conoscenza del metodo di studio. Il 35% degli intervistati l’ha identificato nell’apprendere, il 16% nel memorizzare, il 12% nel comprendere, l’11% nel leggere, l’11% nel ripetere, l’8% nel rielaborare, il 5% nell’esporre e il 2% nello svolgere esercizi e risolvere problemi1. Queste diverse attività mentali sono state interpretate come scollegate e con diversi significati. 

Si può pertanto affermare che il metodo di studio resta ancora un tabù per alunni e insegnanti, poiché la sua appartenenza alla dimensione interiore dell’essere umano non è identificabile sul piano percettivo, come invece lo sono i contenuti disciplinari. La sua natura “carsica” lo rende un elemento estraneo alla didattica e, di conseguenza, nessuno si preoccupa di insegnarlo. La maggioranza dei docenti ritiene erroneamente che sia compito degli alunni costruirlo nel corso della loro esperienza scolastica. In questo modo, la scuola scarica sull’utenza quello che dovrebbe essere un suo preciso compito, come se i ricoverati di un ospedale dovessero procurarsi da soli i medicinali per curarsi. 

Sull’argomento gli insegnanti mostrano di possedere conoscenze piuttosto approssimative: per molti di loro il metodo di studio consiste nel prendere appunti durante la lezione, usare l’evidenziatore per sottolineare i concetti chiave, memorizzare mappe concettuali o mentali, costruire schemi e griglie riassuntive, annotare a bordo pagina le parole più significative e ripetere i contenuti da apprendere. In realtà queste tecniche assomigliano molto ai placebo che in medicina creano l’illusione di essere efficaci, ma in realtà quasi mai risolvono il problema alla radice. 

Il metodo di studio è composto da molteplici fattori che si dividono in esterni e interni al soggetto, anche se i primi sono meno importanti dei secondi. Ricorrendo a un’analogia alimentare, quelli esterni rappresentano il condimento, che di per sé non soddisfa l’appetito ma rende i cibi più saporiti e gradevoli all’olfatto e al palato. Tra questi ci sono: 

a) l’alternanza attività-riposo 

b) un sano stile di vita 

c) la personalizzazione dell’ambiente domestico 

d) l’organizzazione del tempo e la pianificazione del lavoro. 

Tra i secondi c’è la conoscenza della struttura ontologica, che resta ancora un tabù per la scuola e gli insegnanti. Secondo la pedagogia fenomenologica, infatti, è possibile promuovere un efficace metodo di studio intervenendo sulla dimensione interiore dell’alunno, che va reso consapevole del proprio stile di apprendimento con un approccio didattico dialogico e metacognitivo. Nel caso di Michele, quindi, è importante che egli prenda consapevolezza delle modalità mentali con cui elabora le conoscenze attraverso un atto intenzionale (dimensione fenomenologica). È molto probabile che l’insuccesso scolastico sia dovuto all’uso di procedure improprie che provocano disarmonia tra la realtà esterna (contenuti disciplinari) e la sua dimensione interiore (struttura cognitiva). 

Come si fa a comprendere lo stile di apprendimento di un alunno con difficoltà scolastiche? 

Lo strumento per eccellenza è rappresentato dal dialogo pedagogico, che dovrebbe essere svolto da un insegnante o pedagogista con formazione fenomenologica. Attraverso un processo d’introspezione regressiva del soggetto, il colloquio favorisce la presa di coscienza dello stile di apprendimento del discente e del funzionamento delle operazioni mentali (attenzione, riflessione, memorizzazione, ragionamento, comprensione e immaginazione/creatività) che presiedono a ogni tipo di conoscenza. 

Mentre gli stili cognitivi implicano caratteristiche psicologiche di tipo relazionale, motivazionale e di pensiero, quelli di apprendimento sono sostanzialmente tre: 

- auditivo e/o visivo 

- analitico/globale 

- campo dipendente/non campo dipendente. 

 

Tra questi lo stile auditivo/visivo è quello più importante per elaborare le informazioni, mentre gli altri due sono caratterizzati da sfumature secondarie come mettere in risalto il dettaglio o l’insieme, lo sfondo anziché il primo piano. Il soggetto auditivo risente interiormente le parole ascoltate/viste attraverso un pensiero subvocalico o endofasico, mentre quello visivo rivede le immagini mentali (thought images) di ciò che vede/ascolta. A scuola gli alunni più brillanti possiedono un efficace metodo di studio perché usano entrambe le modalità anche se non in modo consapevole. 

Michele quasi sicuramente adotta procedure poco adatte per elaborare le conoscenze disciplinari. Solo la consapevolezza del proprio stile di apprendimento potrebbe consentirgli un utilizzo più efficace delle funzioni primarie del pensiero che la pedagogia fenomenologica esamina sotto il profilo del funzionamento mentale. 

L’applicazione di questa innovativa modalità didattica, ancora poco conosciuta in Italia, potrebbe diventare il progetto qualificante di ogni istituto scolastico. Essa non può essere improvvisata perché richiede una preparazione specifica, frutto di un mirato percorso di formazione come quello proposto dall’Università di Roma Tre all’interno del Master di “Consulenza Pedagogico-Educativa”, o con modalità più semplici anche dalla Sezione A.I.M.C. (Associazione Italiana Maestri Cattolici) di Massa-Carrara, che da molti anni promuove un aggiornamento professionale sulla pedagogia e la didattica fenomenologica2

La scuola moderna non può limitarsi all’insegnamento dei contenuti disciplinari, ma deve accompagnare gli studenti nel loro percorso di crescita formativa, perché prima del diritto all’insegnamento dei docenti viene quello dell’apprendimento degli alunni, ragione sociale di ciascuna istituzione scolastica. È quello che sosteneva in modo profetico Don Lorenzo Milani, rimasto per lungo tempo inascoltato e ignorato. 

1 Trovato D. (a cura di), Climi di classe e stili di apprendimento, C.P.E. (MO), 2003 

2 www.didatticamentalista.com; https://didatticamentalista.eu/; Sacchelli P., Valorizzare le differenze per una scuola inclusiva. Dalla dimensione cognitiva dell’insegnamento a quella mentale dell’apprendimento, Ed. Unicopli MI, 2018; AA.VV., Progetti di Didattica Mentalista, Ed. Ecogeses-AIMC, Roma, 2013

Spesso l’insoddisfacente rendimento degli alunni è causato dalla mancanza di un metodo di studio che,

come il fantasma del Louvre,

è noto a tutti ma non è conosciuto

da nessuno. La scuola deve però tutelare il diritto dell’apprendimento di tutti gli alunni, attuando progetti specifici di autoconsapevolezza. 

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