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d-IA-logo
con chi
ama imparare
Docente di Pedagogia presso l’Università
di Milano-Bicocca e lo IusTo di Torino
In un sincero scambio di battute
tra chi ha insegnato tutta la vita
e ha studiato come insegnare,
e uno studente appassionato
del sapere emerge che l’IA,
sul tema apprendimento,
rappresenta già un discrimine
e un cambio di paradigma
che sfidano la scuola.
Studente universitario
Probabilmente l’intelligenza artificiale rappresenterà un cambio di paradigma nei confronti del quale la scuola sarà comunque chiamata a rivedere profondamente le categorie didattiche e pedagogiche che dà per scontate. In questo dialogo proviamo ad accennare ad alcuni spunti di riflessione.
Raffaele
Un software come Chat GPT permette di produrre testi virtualmente inediti a partire da una domanda iniziale, per esempio “scrivi un commento sulla figura di Ulisse nella Commedia”. Tutto ciò ripropone un problema che da un certo punto di vista era stato già impostato da Walter Benjamin nel libro “L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica”, ovvero la questione dell'originalità. Come si può riproporre questo obiettivo pedagogico nelle scuole? Oppure l'era dell'originalità è davvero tramontata?
Matteo
Trovo che l’originalità nella scuola sia un atto di fiducia nella relazione educativa; pertanto, è minacciata da quando questa fiducia può essere tradita, cioè dal primo studente nella storia che ha copiato. Questo timore è chiaramente sottolineato ed evidenziato dalla facilità d’uso e accessibilità di questo nuovo strumento, e di questo, personalmente, sono contento. Sono contento perché si è finalmente arrivati al bivio: o si rivede la scuola da capo, a partire dal presente e dalla relazione educativa, o si mantiene il silenzio. Saranno i fatti a parlare o, meglio, nel secondo caso, a urlare, perché questa volta sarebbe un silenzio troppo rumoroso da non essere considerato. Per seguire ciò che Benjamin disse del cinema, il docente deve ora diventare interprete e non più spettatore giudicante dell’opera dello studente. Io sono certo che, qualora uno studente si trovasse a mostrare la sua opera a un interprete anziché a un giudice, sarebbe incentivato a dare il meglio di sé per non rovinare una relazione così profonda, relazione che oggi è asimmetrica; perché di cuori spezzati di studenti ne ho visti e vissuti tanti.
Raffaele
Un’altra questione per me pedagogicamente importante, che rischia di sfumare nell'utilizzo di queste tecnologie, è la differenza tra fare qualcosa e imparare a farla. Se io ho imparato con lentezza precisione e un po' di sforzo a fare un riassunto posso poi decidere eventualmente di delegarlo ad una macchina. Ma come può la macchina sostituire il processo di apprendimento, bypassare totalmente il momento in cui imparo a fare qualcosa anche e soprattutto attraverso gli errori?
Matteo
Ciò che l’intelligenza artificiale vuole fare è sostituire l’umano nei compiti ripetitivi che si trova a fare, per permettergli di liberare il suo potenziale impiegandolo in altre mansioni. Se può essere dannosa nel sostituire lo studente nella creazione di interi temi, non credo lo sia in tutti gli impieghi.
Inoltre, penso sia giunto il momento di mettere in discussione il pensiero del “tutto ciò che insegna la scuola è più importante di ciò che ne sta fuori”. Il cambiamento della scuola deve passare per una forte attualizzazione delle abilità che insegna, che non significa insegnare per forza “cose utili”, pensiero dal quale mi dissocio fortemente. Vi sembrerà assurdo, ma nella mia carriera studentesca ho incontrato tantissimi coetanei incapaci di utilizzare gli strumenti informatici in maniera efficace ed efficiente. Il fatto che siano mediamente più bravi dei loro genitori non significa che sappiano effettivamente sfruttarli in maniera completa. La scuola, spero non utopicamente, potrebbe essere la prima a insegnare un utilizzo consapevole, efficace e completo di questi strumenti; anziché ripudiarli.
Raffaele
Una delle giustificazioni che spesso vengono addotte per l'uso di queste e altre tecnologie è che fanno risparmiare tempo, permettendo così di liberare energie che possono essere utilizzate in modo più produttivo. Penso al fatto che delegando a un'applicazione il compito di scrivere il riassunto di un testo o di mettere ordine nei miei appunti risparmio ore di lavoro. Ma nella scuola e nell'università di oggi quali sono poi le direzioni che possono essere investite da queste energie risparmiate? Ovvero quali sono le alternative ad un lavoro meccanico che facciamo svolgere alle macchine? In quali altre direzioni si possono incanalare le energie degli studenti?
Matteo
La mia risposta è: non nella scuola. Ma ciò non significa “non imparando”. Gli studenti italiani sono primi in Europa per quantità di ore passate a casa a fare i compiti. Delegare a una macchina quelle azioni meccaniche che spesso sono quelle più noiose e che portano via più tempo, permetterebbe agli studenti di dedicarsi allo sport (il 40% degli italiani non fa sport) o ad altre forme di apprendimento. Rispetto a quest’ultimo tema possiamo notare la verticale ascesa della divulgazione online negli ultimi anni: i giovani amano imparare. Chiedo al lettore cosa sceglierebbe tra passare 3 ore a riassumere i propri appunti oppure vedere un video su YouTube che spiega come nascono i buchi neri. La scuola non deve pretendere di avere il monopolio della formazione culturale del giovane.
Raffaele
Sopra ho parlato di lavoro meccanico per quanto riguarda, per esempio, la stesura di un riassunto: ma siamo davvero certi che si tratta soltanto di questo? Non ci sono altre competenze che entrano in campo, per esempio la capacità di memorizzazione, la capacità di mettere ordine in modo anche personale nei propri appunti, la capacità di selezionare informazioni importanti rispetto a quelle meno importanti, tutte competenze appunto che rischiano di sbiadire con l'utilizzo dell'intelligenza artificiale?
Matteo
Oltre alle capacità che vanno comunque imparate nell’utilizzo delle IA, come quella di saper argomentare in maniera molto precisa e completa gli input, vi sono tante capacità che vengono delegate allo studente in maniera autonoma. Credo che queste, e tante delle competenze sopracitate, possano essere insegnate a un’età dove ancora non si dovrebbe avere accesso a internet, o comunque averne un accesso fortemente limitato. Qui entra in gioco il ruolo fondamentale dei genitori: l’accesso completo all’uso di internet è troppo precoce nei bambini. Ne segue che i genitori dovrebbero essere formati nell’utilizzo degli strumenti di controllo parentale, di cui spesso non sanno neanche l’esistenza.
Per concludere, la scuola non deve temere l'intelligenza artificiale, ma adattarsi al suo potenziale e alle nuove tecnologie. Come disse Stephen Hawking: “L'IA può essere il più grande evento della storia umana o il più grande errore”. Utilizzata responsabilmente, l'IA può personalizzare l'istruzione, migliorare la valutazione e rendere l'apprendimento più stimolante. L'integrazione critica dell'IA preparerà gli studenti per un futuro tecnologico e contribuirà al progresso dell'istruzione e della società.
Quest’ultimo paragrafo è quello che l’imputata, ossia l’intelligenza artificiale… pensa… e scrive.
L’input dato a ChatGPT per l’ultimo paragrafo è stato: “Scrivi un paragrafo sintetico dove spieghi perché la scuola non dovrebbe temere l'intelligenza artificiale ma dovrebbe cambiare, abbracciando il suo potenziale e il potenziale delle nuove tecnologie. Cita una frase di un personaggio famoso”.