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editoriale

Il merito è anche una questione
di metodo

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Crediamo di aver reso un buon servizio alla scuola e in generale al dibattito politico, dimostrando come sia sempre possibile e utile sviluppare, su temi molto controversi, un confronto anche acceso, ma scevro da forzature polemiche fini a se stesse, che non aiutano mai a comprendere i problemi e men che meno a risolverli.

Segretaria Generale

della CISL Scuola 

Non è certo la prima volta che ragioniamo di “merito”, tema di un nostro importante convegno il 2 marzo scorso. Lo abbiamo fatto nel 2018, con una sessione seminariale del nostro Esecutivo Nazionale cui parteciparono teorici dell’economia civile come Luigino Bruni, Alessandra Smerilli e Matteo Rizzolli. Come dare riconoscimento al merito senza cadere nella meritocrazia era l’intento dichiarato di quell’approfondimento, legato anche all’imminente avvio del negoziato per il rinnovo del contratto. Se il contratto, scrivevamo allora, “segnerà anche il punto di ripartenza per una complessiva rivisitazione di temi legati alla valorizzazione professionale e del lavoro di scuola, sarà fondamentale per il sindacato non limitarsi a giocare di rimessa, ma al contrario stare in campo con intelligenza e qualità di proposta”.

Ma ancora prima, nel luglio 2008, dunque ben quindici anni fa, avevamo dedicato a quel termine così controverso un convegno che per due giorni ci vide impegnati, a Trento, a ragionarne – anche allora – da un punto di vista prettamente sindacale, stimolati dagli interventi di autorevoli relatori (Piero Cipollone, Alberto Felice De Toni, Arduino Salatin, Damiano Previtali, Dino Cristanini, Antonio Giolo, Tiziano Salvaterra) e prima ancora dalle sollecitazioni che la politica, attraverso il Quaderno Bianco del governo Prodi, aveva mosso l’anno precedente per rilanciare una crescita del sistema di istruzione che fosse anche qualitativa, e non solo quantitativa.

A tal fine, si indicava fra l’altro come necessaria l’apertura a fattori di incentivo e riconoscimento al merito della struttura retributiva del personale scolastico, le cui dinamiche erano legate pressoché esclusivamente all’anzianità. Una sfida non nuova per il sindacato, che pochi anni prima aveva messo nero su bianco, in un’intesa del 9 giugno 2004, la propria disponibilità a ragionare di uno sviluppo della carriera degli insegnanti che, in qualche modo, tenesse conto di quelle indicazioni.

Le stagioni tormentate che la scuola italiana e l’intero Paese hanno vissuto negli anni seguenti, con la grande crisi finanziaria che provocò, insieme a un taglio pesantissimo delle risorse investite in istruzione, anche un blocco dei rinnovi contrattuali protrattosi di fatto per un decennio, impedirono che le premesse poste in quell’intesa avessero uno sviluppo significativo. Altre ipotesi, con governi e maggioranze di diverso segno, vennero nel frattempo avanzate, con un approccio velleitario e improduttivo, anche perché sottraeva il tema alla sede propria di discussione e decisione, quella negoziale.

A prevalere è stata, di volta in volta ma costantemente, una politica fatta di spot più che di proposte meditate e sorrette da un confronto ampio e coinvolgente, in cui valorizzare, come sarebbe sempre utile e opportuno, l’apporto che può venire da chi opera nel mondo nella scuola, dando spazio e ascolto alle sue rappresentanze sindacali e professionali.

Una cosa è certa: a rendere assai arduo, per non dire impraticabile, un percorso di implementazione della carriere nella scuola in cui anche il “merito” possa avere un suo peso (qui uso il termine “merito” per comodità, al netto di tutte le implicazioni che la parola contiene e su cui tornerò più avanti) è la perdurante, insopportabile condizione retributiva di una categoria per la quale siamo ancora ben lontani da un riconoscimento adeguato al valore e all’importanza sociale del lavoro svolto.

Dare alle retribuzioni degli insegnanti, del personale ATA, dei dirigenti una consistenza pari a quella che viene loro riconosciuta in altri Paesi europei (ma anche in altri settori della pubblica amministrazione in Italia) resta anche oggi una pre-condizione da cui non si può prescindere: soddisfare questa esigenza significa porre le basi per riprendere un confronto sulle carriere e su nuove dinamicità al loro interno, questione su cui la nostra organizzazione non ha problemi a dirsi attenta e disponibile.

Sottolineo non a caso il termine confronto, rimosso tante volte dalle consuetudini di chi ritiene che per dare più efficacia all’azione politica basti accentuarne il profilo decisionista. Non andrebbe mai dimenticato, se posso consentirmi una battuta, che ogni discorso sul merito ne presuppone uno sul metodo, cui finisce per essere legato imprescindibilmente.

Ma sul significato della parola merito, e sulle tante suggestioni che evoca, era inevitabile che si aprisse una discussione dai toni accesi, quando si è scelto che il termine integrasse la denominazione del Ministero dell’Istruzione. Una decisione che va sicuramente al di là delle implicazioni di natura contrattuale su cui mi sono sin qui soffermata, chiamando in causa non solo e non tanto chi lavora nella scuola, ma anche e soprattutto chi di quel lavoro è il diretto destinatario, ossia i milioni di studentesse e studenti che ogni giorno la frequentano. Come avvenuto altre volte nel corso della storia, chi cambia il nome del Ministero lo fa per caratterizzare un intento politico, sottolineando obiettivi e compiti che il sistema di istruzione è chiamato a svolgere. Tanto per citare due esempi, potremmo ricordare la scelta di rinominarlo, nel 1929, Ministero dell’educazione nazionale, o quella - molto più recente – di eliminare l’aggettivo “pubblica” nella denominazione assunta nel 2001 (governo Berlusconi II – Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca”). Come è noto, l’aggettivazione fu reintrodotta poi dal governo Prodi nel 2006, riproponendo quella che ancora oggi campeggia sulla facciata del palazzo di viale Trastevere, a dispetto delle ulteriori trasformazioni in seguito intervenute.

Commentando a caldo l’ultima modifica (Ministero dell’Istruzione e del Merito) voluta dall’attuale governo di Giorgia Meloni, avevo detto di preferire di gran lunga la denominazione scolpita sul Palazzo, meno esposta a letture ambigue, più chiara ed essenziale nell’indicare come grande patrimonio collettivo, di cui l’intera comunità è chiamata a farsi responsabilmente carico, un sistema che ha il compito fondamentale di istruire, educare e formare le persone, cittadine e cittadini di una repubblica democratica. Che pubblica, riferito alla scuola, non sia sinonimo di statale, come forse paventava chi a suo tempo rimosse l’aggettivo, lo chiarisce in termini espliciti anche sul piano normativo, sin dal 2000, la legge 62 sulla parità scolastica (presidente del consiglio Massimo D’Alema, Guardasigilli Oliviero Diliberto, ministro della pubblica istruzione Luigi Berlinguer).

Non altrettanta chiarezza vi è nell’interpretazione del termine “merito”, per quanto citato espressamente, e proprio in riferimento ai percorsi di studio, dall’art. 34 della nostra Costituzione. Un termine sventolato tante volte come bandiera di campagne variamente condotte (quella contro i “fannulloni” negli uffici pubblici ebbe particolare risalto) per invocare in sostanza più rigore come antidoto al lassismo eccessivo riscontrabile in ambiti diversi, ivi compreso quello scolastico. Da qui il sospetto, o se si preferisce la preoccupazione, che il messaggio sotteso alla scelta di una nuova denominazione del Ministero fosse quello di un’accentuazione della funzione selettiva affidata al sistema. In linea con ricorrenti e nemmeno troppo velati rimpianti di quella “scuola di una volta”, snaturata e tradita con l’affermarsi di una scolarizzazione di massa. Con l’aggravante, per chi segue quell’impostazione, di aver dedicato spazio, tempo e risorse ad accogliere e integrare chi è afflitto da particolari condizioni di debolezza e svantaggio.

Una distanza abissale, voglio dirlo con la massima chiarezza, ci separa da modelli di scuola dei quali non abbiamo proprio nessuna nostalgia. Il “merito” che vorremmo veder affermato e sostenuto è quello che a ciascuno andrebbe riconosciuto: quello per cui ognuno “merita” una scuola capace di aiutarlo a superare le sue difficoltà, riconoscendone e sviluppandone i talenti. La declinazione di “merito” che possiamo condividere è quella che si lega alla capacità della scuola di rispondere ai bisogni, agli stili educativi di tutti e di ciascuno: che la porta ad agire nel segno della personalizzazione. In una dimensione di forte legame tra il singolo e la comunità in cui vive, affermando il primato della condivisione sulla competizione.

Mi ha fatto piacere, nel convegno di cui questo numero della rivista riporta un’abbondante documentazione, ascoltare dal Ministro Valditara affermazioni che riconducono l’accezione del termine “merito” a quella del dettato costituzionale, a quell’articolo 34 che, in piena consonanza con l’art. 3, appare ispirato da una forte tensione egualitaria. Credo peraltro che sarebbe necessario, a distanza di 75 anni, attualizzare quei principi e quelle norme alla luce di una situazione profondamente mutata, in un contesto di globalizzazione che ci propone i fenomeni del disagio e delle povertà in dimensioni diverse e amplificate su scala planetaria.

Al Ministro, che ha sostenuto la necessità di una scuola sempre più improntata alla personalizzazione dei percorsi formativi, ricordo che la verifica di affermazioni così importanti e apprezzabili è rimessa alla prova dei fatti: che consiste nel mettere tutte le scuole, ogni scuola, nelle condizioni di attuare realmente, in concreto, una didattica personalizzata. Disponendo di strutture e di criteri organizzativi (a partire dalla consistenza delle classi) adatti e funzionali allo scopo.

Col nostro convegno, che ha dato spazio a ragioni e valori diversi, e con questo numero della rivista, arricchito da altri rilevanti contributi sull’argomento, crediamo di aver reso un buon servizio alla scuola e in generale al dibattito politico, dimostrando come sia sempre possibile e utile sviluppare, su temi molto controversi, un confronto anche acceso, ma scevro da forzature polemiche fini a se stesse, che non aiutano mai a comprendere i problemi e men che meno a risolverli. Nei tempi che stiamo attraversando, ci sembra un merito di non poco conto.

“Sul merito. Ragioni e valori a confronto” è il titolo del convegno che si è svolto a Roma (Auditorium Carlo Donat-Cattin) il 2 marzo 2023, organizzato dalla CISL Scuola. Dei dodici articoli, oltre all’editoriale, dedicati al tema su questo numero di Scuola e Formazione, i primi sei sono la trascrizione degli interventi svolti dai relatori presenti al Convegno.

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