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autonomia 

Autonomia  regionale differenziata        e scuola

È impraticabile il procedere al trasferimento integrale alle Regioni dell’intera “potestà legislativa in materia dell’organizzazione del sistema educativo regionale di Istruzione e Formazione”: ciò configurerebbe tanti sistemi scolastici autonomi e inciderebbe sulla stessa identità e unità nazionale. Il sistema scolastico, infatti, contribuisce in maniera significativa a formare il sistema di valori e l’identità condivisa della comunità nazionale. 

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Già Dirigente del Ministero

(P.I., Istruzione e MIUR)

Il 16 marzo u.s. il Consiglio dei Ministri ha approvato in seconda lettura il disegno di legge (AS n. 615), con il quale si definiscono i principi generali per l’attribuzione alle Regioni a statuto ordinario di “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia”, in attuazione dell’art. 116 della Costituzione, come riformulato dalla legge Costituzionale n. 3 del 2001, nonché le relative modalità di approvazione delle Intese tra Stato e Regioni. 

Si tratta di uno strumento normativo non espressamente previsto dall’art. 116 della Costituzione ma che è stato ritenuto utile per ricondurre a principi omogenei – sia per le procedure che per il merito – quelle pre-intese che il Governo Gentiloni aveva già stipulato nel febbraio del 2018 con le regioni Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna. 

Il disegno di legge sull’autonomia Regionale differenziata pone certamente un tema complesso e divisivo che va affrontato con equilibrio, nel contemperamento del principio dell’unità/indivisibilità della nostra Comunità nazionale con quello della promozione delle autonomie territoriali, delle Regioni ma anche degli enti locali (articoli 5 e 118 Costituzione), utili a meglio finalizzare le risposte agli specifici bisogni di territori con caratteristiche molto differenziate purché, ovviamente, in un quadro di garanzia degli interessi nazionali e della coesione sociale. 

Rispetto alla concreta formulazione del disegno di legge, sono state prospettate però numerose critiche, tra le quali quello sul ruolo troppo ridotto del Parlamento nella procedura di approvazione delle Intese tra Governo e singole Regioni, sui criteri di trasferimento delle risorse a supporto del trasferimento di funzioni legislative e amministrative, che finirebbero per cristallizzare o addirittura aggravare le sperequazioni consolidatesi nel tempo, sullo strumento amministrativo troppo debole (il Decreto del Presidente della Repubblica) utilizzato per definire, prima di procedere al trasferimento di funzioni e risorse, i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il Territorio nazionale e i relativi costi e fabbisogni standard (LEP), la cui determinazione l’art. 117, lett. m) Cost. riserva invece alla legislazione esclusiva dello Stato. 

In relazione in particolare alle modalità di finanziamento delle funzioni attribuite, l’art. 5, comma 2 del disegno di legge, fa espresso riferimento a “compartecipazioni al gettito di uno o più tributi erariali maturato nel territorio regionale”, confermando in tal modo che le regioni più ricche avranno più risorse e che, viceversa, per le Regioni già oggi con standard al di sotto dei futuri LEP, i trasferimenti di funzioni non saranno di fatto possibili se non dopo l’eventuale stanziamento per legge di nuove risorse. 

Le preoccupazioni più rilevanti, anche rispetto alle ricadute sul sistema scolastico, sono apparse tuttavia quelle relative alla non univoca indicazione, nel disegno di legge, dei contenuti delle “materie” che potrebbero essere oggetto di possibile trasferimento alle Regioni (ben 23 secondo l’ANCI). 

Sembra al riguardo del tutto condivisibile l’analisi di un recente studio della Fondazione Astrid che ritiene come “oggetto dell’autonomia differenziata non siano intere materie, tra quelle elencate nell’art. 117 Costituzione, ma specifiche funzioni o compiti “concernenti le materie”, oggi attribuite allo Stato, che le Regioni richiedenti ritengono di poter meglio gestire. In sostanza, sono necessari la coincidenza di esigenze territoriali specifiche e la capacità di dare una risposta più efficace a tali esigenze a livello locale, in modo da assicurare ai cittadini delle regioni interessate prestazioni e servizi migliori senza danno per gli interessi nazionali e per i diritti dei cittadini delle altre Regioni. 

Tali presupposti vanno ovviamente valutati nell’iter della procedura approvativa dell’Intesa. 

La tesi risulta del resto coerente con il parere dell’ANCI, espresso nella Conferenza unificata del 23 marzo u.s., secondo cui “l’attribuzione di nuovi compiti e responsabilità dovrebbe rispecchiare e rispondere esclusivamente ad una specifica attitudine funzionale di ciascuna Regione interessata”.

TRASFERIMENTI DI FUNZIONE IN MATERIA DI ISTRUZIONE 

Alla luce di questa interpretazione, appare impraticabile la possibilità che con lo strumento dell’art. 116 della Costituzione si possa procedere al trasferimento integrale alle Regioni dell’intera “potestà legislativa in materia dell’organizzazione del sistema educativo regionale di Istruzione e Formazione”, come previsto ad esempio, per ora solo ipoteticamente, da alcune bozze di Intesa. 

Il trasferimento dell’intera “materia”, potenzialmente tra l’altro estensibile a tutte le Regioni, finirebbe infatti con il configurare tanti sistemi scolastici autonomi, con il rischio di incidere sulla stessa identità e unità nazionale, proprio per le caratteristiche del sistema scolastico che, oltre a trasmettere saperi e competenze da una generazione all’altra, contribuisce in maniera significativa a formare il sistema di valori e l’identità condivisa della comunità nazionale. 

Del resto, una consolidata giurisprudenza del Corte Costituzionale, formatasi in materia scolastica successivamente all’entrata in vigore del nuovo articolo 116 (Legge costituzionale n. 3/2001) , pur evidenziando ovviamente la possibilità dell’attribuzioni alle Regioni di nuovi compiti concernenti sia le materie attinenti alle “norme generali dell’istruzione” (art. 117, secondo comma, lettera n), sia quelle attinenti alla legislazione concorrente “istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione dell’istruzione e formazione professionale” (terzo comma del medesimo articolo), ha tuttavia definito con chiarezza la natura e le finalità delle “norme generali” – e i conseguenti limiti del possibile trasferimento alle Regioni delle relative competenze – identificandole come “quelle disposizioni statali che definiscono la struttura portante del sistema nazionale di istruzione e che richiedono di essere applicate in modo necessariamente unitario ed uniforme in tutto il territorio nazionale. 

Tutto ciò assicurando, mediante un’offerta formativa omogenea, la sostanziale parità di trattamento tra gli utenti che fruiscono del sistema di istruzione (interesse primario di rilievo costituzionale), nonché la libertà di istituire scuole e la parità tra le statali e non statali in possesso dei requisiti previsti dalla legge. In questo ambito si colloca anche la disciplina relativa all’autonomia delle istituzioni scolastiche, facenti parte del sistema nazionale di istruzione, autonomia cui fa espresso riferimento il terzo comma dell’art. 117 della Costituzione” (Sentenza Corte Costituzionale n. 200 del 2 luglio 2009). 

Ne deriva, ad esempio, per quest’ultimo aspetto, che un intervento normativo regionale sulla disciplina degli organi collegiali – pur previsto in alcune bozze di intesa – apparirebbe in contrasto con la non trasferibilità della “materia” dell’autonomia delle scuole, di rilevanza costituzionale. 

L’AUTONOMIA SCOLASTICA 

È proprio l’autonomia scolastica l’aspetto che rende particolare la situazione della scuola in relazione alla più generale attuazione dell’autonomia regionale differenziata, prevista dall’art. 116 della Costituzione. 

In occasione del precedente decentramento alle Regioni ed agli Enti locali, operato per il resto della Pubblica Amministrazione dalla legge delega n. 59/1997 (legge Bassanini) e dal conseguente decreto delegato n. 112/1998, l’art. 21 della stessa legge n. 59, ha riconosciuto infatti alle scuole una specifica autonomia didattica, organizzativa e di ricerca, delineata nei suoi diversi profili 

dall’intervento di Sabino Cassese alla Conferenza nazionale sulla scuola del 1990, presieduta dall’allora Ministro dell’Istruzione Sergio Mattarella. Con essa, è stata attribuita alle singole scuole la centralità nella programmazione, organizzazione e realizzazione delle funzioni tecniche dell’Istruzione e quelle più propriamente amministrative e gestionali ad esse connesse. 

La finalità del riconoscimento dell’autonomia scolastica - costituzionalizzata dalla riforma del titolo V nel 2001 – è infatti quella di sostituire la prevalenza degli apparati degli Enti di “appartenenza” del servizio scolastico – Stato o Regioni che siano – con l’autonomia delle comunità educative e delle loro rappresentanze professionali. È responsabilità di queste ultime – sin dagli articoli 8 e 9 del D.P.R. n. 275/1999 sull’autonomia scolastica e fino al decreto legislativo n. 61 sull’istruzione professionale – di progettare percorsi formativi “personalizzati”, attenti ai bisogni educativi degli stessi alunni e ai contesti in cui operano le scuole, e quindi in un intenso rapporto con il territorio, da definire anche mediante appositi accordi con le Regioni e gli Enti locali, ma sempre con il ruolo di sintesi affidata all’autonomia tecnico-professionale delle scuole. 

Le considerazioni che precedono dimostrano come, rispetto agli ordinamenti degli studi, manca qualunque motivazione specifica per un trasferimento di competenze alle Regioni, che potranno semmai implementare gli aspetti di flessibilità curricolare già presenti nella disciplina sull’autonomia curricolare scolastica. 

Quanto alle altre competenze in materia di sistema scolastico, quelle oggetto delle precedenti bozze di Intesa rientrano già sostanzialmente nelle competenze degli Enti locali (ad esempio in materia di programmazione e gestione del servizio scolastico, articoli 35 e seguenti del Decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 112) – competenze peraltro richiamate anche dall’art. 6, comma 2, del disegno di legge in esame – e, soprattutto, per quanto riguarda le Regioni, quelle sulla programmazione delle reti scolastiche, sull’offerta formativa integrata tra istruzione e formazione professionale ecc., già definite dall’art. 138 della stessa legge 112/1998 negli ampi termini richiamati dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 13 del 13 gennaio 2004, competenze comunque che potrebbero essere meglio coordinate e razionalizzate. 

Non sembra invece possa poi prevedersi il trasferimento alle Regioni del personale della scuola e degli uffici scolastici regionali non solo perché il reclutamento, la formazione e la gestione del personale scolastico non possono che essere riferiti al soggetto che definisce gli ordinamenti degli studi, ma anche perché l’art. 116 della Costituzione non contempla tra le “materie” trasferibili “ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici” (art. 117, lettera g della Costituzione). Semmai, tale trasferimento andrebbe fatto con l’art. 138 Cost., che prevede la più generale revisione della Costituzione, ma con una ben più complessa procedura che contempla anche un possibile referendum nazionale! 

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