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Pila di libri

ARTE CINEMA LIBRI MUSICA

• Goffredo Fofi 
  Cinema che (ancora) insegna


 Vincenzo Alessandro      
  L'IA: un percorso di riflessione 
  da Henry Kissinger a Federico Faggin,  
  passando per Umberto Eco e altri
  luoghi narrativi


 Annamaria Iantaffi   
 
Tutto il buono dell'IA


 Francesco Ottonello      
  Musica e intelligenza

L'IA: un percorso 
di riflessione da Henry Kissinger a Federico Faggin, passando

per Umberto Eco
e altri luoghi narrativi

Un ex Segretario di Stato USA,

un ex amministratore delegato

di Google e un informatico e decano del MIT scrivono a sei mani un saggio discorsivo sull’intelligenza artificiale, che sembra ormai in grado

di percorrere propri sentieri logici,

in parte incomprensibili ai più.

Ne scaturiscono domande

sulla sicurezza internazionale

e l’identità umana. 

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Già Segretario Generale

CISL Scuola Lazio

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Se c’è un argomento al quale si attaglia la contrapposizione tra apocalittici e integrati, enunciata da Umberto Eco nel 1964, questo è certo l’Intelligenza artificiale: con una netta prevalenza degli apocalittici (va da sé), anche a causa di una vasta produzione fantascientifica che paventa il pericolo del sopravvento delle macchine intelligenti sull’uomo, dal calcolatore HAL 2001 di Odissea nello Spazio a Blade Runner, fino agli allucinati romanzi di Philip Dick. 

In effetti, l’argomento è tanto delicato, quanto denso di aspetti tecnici oscuri ai più, ma è di vitale importanza che su di esso si sviluppi un dibattito equilibrato, lontano da aprioristiche contrapposizioni ideologiche. L’Intelligenza Artificiale è destinata ad assumere una crescente importanza nelle vite di tutti, e merita, quindi, un dibattito quanto più possibile informato e scevro da pregiudizi. È, poi, particolarmente importante che tale dibattito si sviluppi nella Scuola, alla quale spetterà il compito di fornire strumenti critici alle nuove generazioni, non diversamente da quanto fa già oggi con l’analisi dei testi, o del pensiero filosofico o delle epoche storiche. 

Che cos’è, dunque, l’Intelligenza Artificiale, spesso indicata con l’acronimo inglese AI (Artificial Intelligence)? Definiamo tale una macchina in grado di assolvere un compito complesso con l’efficacia propria di un essere umano; quindi, una macchina che non si limiti ad eseguire un comando, ma che, piuttosto, sia capace di perseguire un fine in modo autonomo, scegliendo gli strumenti e le procedure più idonee. 

Le prime concettualizzazioni sulla materia risalgono agli anni ‘40 e ‘50 del Novecento, ma il salto verso la moderna Intelligenza Artificiale avviene quando la ricerca abbandona l’idea di istruire i computer circa le strutture fondanti del linguaggio e del comportamento umano e lascia che sia la macchina stessa ad auto-istruirsi, mediante l’osservazione delle scelte degli utenti. Si giunge, così, ad un auto-apprendimento fondato sull’approccio statistico, in forza del quale la macchina, osservando il comportamento umano, ricava dei modelli di previsione e di risposta. Per dirla in modo più banale, se sono interessato alla fantascienza e scelgo su Amazon un paio di libri sull’argomento, gli algoritmi di intelligenza artificiale del sito, sulla base delle scelte da me operate, mi proporranno libri di questo genere, e lo stesso avverrà per i filmati su YouTube o TikTok. 

Operando la scelta dell’approccio statistico, dice Nello Cristianini1, docente di AI all’Università di Bath, la Ricerca ha optato per una scorciatoia, di cui però non domina completamente il funzionamento. Nel propormi libri o filmati, quindi nel decidere cosa leggo e cosa vedo, la macchina, il cui scopo è solo di aumentare il numero dei click, mi serve o mi manipola, in qualità di utente? E qual è l’impatto di questa macchina sulla psiche di bambini e adolescenti, sprovvisti di adeguati strumenti critici, quando propone loro modelli estetici la cui desiderabilità da parte degli adolescenti è stata dedotta dalla macchina stessa in base alle proprie inferenze statistiche, ma che magari minano l’autostima di questi giovani in formazione? 

Il fatto è che la macchina si pone come mediatore tra l’uomo e la realtà. La situazione è stata ben illustrata dal teologo Paolo Benanti nel corso di un dibattito con lo stesso Cristianini sul potere degli algoritmi, svoltosi al Meeting di Rimini dello scorso agosto. Benanti ha ricordato che il ponte tra Manhattan e Long Island fu a suo tempo progettato, su impulso dell’urbanista Robert Moses, con una altezza tale che su di esso potessero transitare solo automobili e non anche autobus, in modo da salvaguardare le spiagge più prestigiose dal turismo popolare. La metafora è chiara: il ponte rappresenta la Macchina e i Vincoli che essa pone nel determinare l’approccio umano alla realtà, facendo ciò magari anche solo inconsapevolmente, a differenza di Moses (per essere cinici, occorre essere umani, non macchine). 

Non appartiene, invece, né alla categoria degli apocalittici, né a quella degli integrati, ma piuttosto a quella dei problematici, il sempiterno Henry Kissinger, autore di un testo scritto in collaborazione con Erich Schmidt e Daniel Huttenlocher2, rispettivamente ex amministratore delegato di Google l’uno, e informatico e decano del MIT, l’altro. Gli autori partono dall’osservazione che l’intelligenza artificiale sembra ormai in grado di percorrere propri sentieri logici, la cui comprensione sfugge agli esseri umani. È quanto accaduto con il programma di scacchi AlphaZero, basato su algoritmi di AI, il primo di tali programmi a non essere preimpostato da scacchisti professionisti, ma incaricato dagli sviluppatori di trovare esso stesso una strategia vincente, avendo come input solo la conoscenza delle regole degli scacchi. Giocando contro sé stesso, AlphaZero in quattro ore di allenamento ha elaborato schemi del tutto originali, che l’hanno portato a prevalere su altri programmi simili, oltre che sui giocatori umani. Con analogo percorso, ci dice il libro, un programma basato sull’AI ha sviluppato un antibiotico capace di uccidere ceppi di batteri che avevano resistito sino a quel momento ad ogni altro antibiotico, e lo ha fatto individuando in modo autonomo molecole che non erano state inserite nei dati di partenza. Significativamente, il nuovo medicinale è stato chiamato “halicina”, in ossequio al calcolatore HAL di Odissea 2001. 

A partire da questi fatti, Kissinger and Co. si applicano alla riflessione sulle conseguenze che la crescente diffusione dell’AI può determinare, fino a giungere al problema alla sicurezza internazionale. In epoca nucleare, affidare la sicurezza del mondo a una macchina che elabora proprie oscure strategie, solo in parte comprensibili all’uomo, significa accettare il rischio di una possibile escalation. Per dirla con gli autori, “Le strategie e le tattiche militari tradizionali si sono per lo più basate sul presupposto che la condotta e le decisioni di un avversario umano rientrino in parametri riconoscibili o siano definite dall’esperienza e dalla saggezza comune. Ma un’intelligenza artificiale preposta a pilotare un aereo o a individuare obiettivi segue una logica propria – che può risultare imperscrutabile a un avversario e dimostrarsi indifferente ai segnali e alle simulazioni tradizionali...”. Esattamente il contrario, quindi, del comportamento del colonnello Petrov, l’ufficiale russo che, nel 1983, salvò il mondo da una catastrofe nucleare, rifiutando di credere che fosse in corso un attacco missilistico americano, come segnalavano i radar, e optando per l’ipotesi (poi confermata) del guasto elettronico, come gli suggeriva l’intuito. Ma le macchine, a differenza del colonnello Petrov, non hanno intuito e, lasciate in balia di sé, possono giungere alla conclusione che l’obiettivo finale, quale che esso sia, valga il sacrificio di un certo numero di vite umane, più o meno significativo. 

A prescindere dai correttivi diplomatici proposti, ci interessa ora sottolineare che Kissinger e i suoi coautori non rinunciano a porsi il problema di sistema: qual è l’identità dell’uomo, quando le macchine hanno acquisito la capacità di occuparsi di problemi complessi, talvolta suscitando “l’impressione che gli essere umani siano incidentali rispetto al processo primario che governa una situazione”? 

Kissinger fornisce la propria (non apocalittica) risposta, per la quale rimandiamo alla lettura del testo, preferendo, a questo punto del percorso, richiamare il contributo di un altro importante protagonista del dibattito, Federico Faggin, il cui nome è poco conosciuto dal grande pubblico, ma che è un uomo di cui Bill Gates ebbe a dire che, senza di lui, Silicon Valley oggi sarebbe solo “The Valley”. 

Fisico, imprenditore, inventore vicentino, padre del microprocessore e del touchpad, Faggin ha pubblicato nel 2022 un testo dal titolo: Irriducibile3, laddove l’irriducibilità è quella della coscienza umana: “Per anni ho inutilmente cercato di capire come la coscienza potesse sorgere da segnali elettrici o biochimici, e ho constatato che, invariabilmente, i segnali elettrici possono solo produrre altri segnali elettrici o altre conseguenze fisiche come forza o movimento ... È la coscienza che capisce la situazione e che fa la differenza tra un robot e un essere umano”. E aggiunge: “La vera intelligenza non è algoritmica, ma è la capacità di comprendere, cioè di intus-legere, ossia di leggere dentro, di capire in profondità e di trovare connessioni insospettate tra scibili diversi” ... "In altre parole, la vera intelligenza non è separabile dalle altre proprietà che ci rendono umani e che richiedono la coscienza e il libero arbitrio, cioè la capacità di comprendere e quella di prendere decisioni inaspettate, creative ed etiche ... (le macchine) funzionano, ma non capiscono. E capire non è riducibile a un algoritmo”. 

Chiudiamo il cerchio tornando a Umberto Eco, al punto di partenza. Scriveva, già nel 1964: “Una discussione filosofica sull’uomo come capolavoro del creato a causa delle sue capacità di deduzione logica, oggi ha perso ogni significato, dal momento che le stesse capacità sono dimostrate da un buon cervello elettronico. Non è che perda di valore e di senso un discorso sull’uomo: solo che l’uomo non andrà più visto come animale sillogizzante, ma come animale capace di costruire macchine sillogizzanti e di porsi nuovi problemi (inediti) circa il loro uso. Cambia orizzonte di problemi: bisogna ritrovare l’uomo alcuni milioni di chilometri più in là4

Insomma, (forse) la tecnologia è la risposta, ma qual era la domanda (Cedric Price)5

1 Nello Cristianini, La scorciatoia, Bologna, Il Mulino, 2023 

2 Henry A. Kissinger, Eric Schmidt, Daniel Huttenlocher, L’era dell’Intelligenza Artificiale, Il futuro dell’identità umana, Milano, Mondadori, 2023 

3 Federico Faggin, Irriducibile, La coscienza, la vita, i computer e la nostra natura, Milano, Mondadori, 2022 

4 Umberto Eco, Apocalittici e integrati, Milano, Bompiani, 1964 

5 Nel 1966, l'architetto Cedric Price tenne una lezione intitolata “Tecnologia è la risposta, ma quale era la domanda?” illustrando il Fun Palace, il centro culturale trasdisciplinare che disegnò nel 1960 per Joan Littlewood.

 

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