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Alla
Scuola politica Toniolo
si parla
di pace 

La Scuola di formazione Socio-Politica Giuseppe Toniolo nel 2023 parla di pace attraverso seminari che trattano di diritto internazionale e di economia, con un occhio attento al dialogo interreligioso, alla scuola e alla cura come vie di pace, sempre nel solco del magistero della Chiesa. 

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Presidente dell’Istituto Serafico di Assisi e della Scuola di formazione Socio-Politica Giuseppe Toniolo 

 

La Scuola di formazione Socio-Politica Giuseppe Toniolo nasceva undici anni fa da un’intuizione profetica di Mons. Sorrentino, Vescovo di Assisi. Decidemmo di intitolare la Scuola a Toniolo, e non poteva essere altrimenti: economista, padre di sette figli, leader storico dell’impegno sociale dei cattolici, testimone di come la conoscenza scientifica e i valori cristiani possono tradursi in una fervida operatività sociale. 

In questi anni la Scuola ha offerto degli approfondimenti della dottrina sociale della Chiesa su aspetti della nostra quotidianità: il lavoro, la famiglia, la democrazia, l’Europa, l’economia. 

Un viaggio ricco di momenti di approfondimento, di esperienze, di riflessioni, di discernimento sulle criticità e le questioni del nostro tempo. 

Quest’anno il tema che abbiamo scelto di approfondire è la pace. 

La cultura di pace per Toniolo doveva caratterizzarsi per l’armonia di valori, di principi e di verità. Con questa visione Toniolo si poneva agli antipodi dell’odierna tendenza relativistica, che sembra rinunciare alla verità come condizione essenziale per la costruzione di rapporti di pace. 

Il proliferare delle guerre in ogni parte del mondo ha messo in rilievo la debolezza delle nostre politiche e degli organismi internazionali sorti per difendere la pace. 

Nel tempo delle guerre che stiamo vivendo e dei diritti umani violati dobbiamo riscoprire il dovere di solidarietà umana per la costruzione di un mondo nuovo a cui faceva appello Giuseppe Toniolo. 

La pace ha bisogno dell’azione di tutti e della condivisione dei diritti fondamentali dell’uomo. 

La pace ha bisogno della cultura della cura. Solo comprendendo quanto vale la vita umana, sempre e in qualsiasi condizione, possiamo diventare degli autentici artigiani di pace. Non è un caso che il 9 gennaio 1993 papa Giovanni Paolo II – prima di iniziare in Assisi l’incontro mondiale di preghiera interreligiosa, per pregare per la pace durante la guerra nei Balcani – iniziò il suo pellegrinaggio al Serafico, un centro sanitario che da 152 anni si occupa di bambini e ragazzi con grave disabilità. San Giovanni Paolo II aprì il suo discorso ai piccoli disabili, spiegando loro di aver voluto iniziare il suo pellegrinaggio di preghiera per la pace mettendo in luce il valore della vita umana. 

A volte i gesti contano più delle parole e l’abbraccio del Papa a bambini e ragazzi fortemente segnati dalla disabilità ci invitava a prenderci cura della vita più fragile e indifesa come via privilegiata per costruire la pace. 

Per questo, nel corso dei seminari organizzati dalla Scuola Toniolo tratteremo quest’anno temi di diritto internazionale e di economia, approfondiremo l’importanza del dialogo interreligioso, della scuola e della cura come vie di pace, ma il tutto sarà declinato tenendo conto del magistero della Chiesa. 

In queste brevi note mi propongo di evidenziare i principi di continuità del magistero, dalla Pacem in Terris alla Fratelli Tutti

Il magistero della Chiesa da papa Giovanni XXXIII a papa Francesco  condanna la guerra. La contrarietà alla guerra, anche quella “giusta” per ristabilire la giustizia, sono nel cuore dell’insegnamento della Chiesa sulla pace. Nella Pacem in Terris Giovanni XXXIII ci dice che la legge naturale che abita il cuore delle persone definisce un ordine morale che comprende le relazioni fra individui, fra individui e Stato, fra Stati, nonché le relazioni in seno alla comunità globale. È in questa stessa direzione che si può comprendere l’affermazione di Paolo VI “Lo sviluppo è il nuovo nome della pace”. Il Pontefice, preoccupato per il grande divario tra ricchi e poveri sia all’interno dei Paesi, sia tra Paesi, vedeva come via di pace lo sviluppo integrale dei poveri e degli emarginati, che dovevano diventare non solo oggetto passivo di attenzioni, ma artefici del loro sviluppo tramite un processo di empowerment. Giovanni Paolo II nell’Enciclica Sollecitudo Rei Socialis riprende l’idea dei suoi predecessori e afferma che assicurare a tutti uno sviluppo umano integrale è la vocazione e il progetto di vita di ogni cristiano. 

Un’altra linea costante del magistero è quella di considerare la violazione dei diritti umani come il nodo centrale dell’ingiustizia che si oppone ad una pace duratura. Nella Caritas in Veritate papa Benedetto XVI evidenzia l’importanza di sollecitare una nuova riflessione su come i diritti presuppongano i doveri, senza i quali i diritti si trasformerebbero in arbitrio. 

Secondo il Pontefice, l’umanità spesso perde la propria bussola, rivendicando diritti al superfluo e non curandosi della mancanza di cibo, di acqua potabile, di istruzione di base o di cure sanitarie elementari in certe regioni del mondo e anche nelle periferie di grandi metropoli. 

Ma sono i doveri a delimitare i diritti, perché rimandano al quadro antropologico ed etico. Quando i doveri rafforzano i diritti e propongono la loro difesa e promozione come un impegno da assumere a servizio del bene comune, allora - e solo allora -, i diritti inviolabili della persona saranno custoditi. “Se, invece, i diritti dell'uomo trovano il proprio fondamento solo nelle deliberazioni di un'assemblea di cittadini, essi possono essere cambiati in ogni momento e, quindi, il dovere di rispettarli e perseguirli si allenta nella coscienza comune. I Governi e gli Organismi internazionali possono allora dimenticare l'oggettività e l'indisponibilità dei diritti”. 

In linea con i suoi predecessori è anche papa Francesco che nella Fratelli Tutti sottolinea l’importanza dell’impegno di tutti alla pace. Molte volte, si legge nell’enciclica, “c’è un grande bisogno di negoziare e così sviluppare percorsi concreti per la pace. Tuttavia, i processi effettivi di una pace duratura sono anzitutto trasformazioni artigianali operate dai popoli, in cui ogni persona può essere un fermento efficace con il suo stile di vita quotidiana”. 

C’è dunque una “architettura” della pace, nella quale intervengono le varie istituzioni della società, ciascuna secondo la propria competenza, però c’è anche un “artigianato” della pace che ci coinvolge tutti”. Le “vie di pacificazione, di primato della ragione sulla vendetta, di delicata armonia tra la politica e il diritto, non possono ovviare ai percorsi della gente”. 

Il magistero ci insegna che siamo tutti chiamati ad essere artigiani di pace, e la cultura della pace comporta il superamento dell’individualismo e la comprensione delle relazioni tra le persone e gli Stati. Non c’è pace senza consapevolezza dei diritti fondamentali e dei doveri. Ognuno di noi è chiamato ad impegnarsi a non lasciare nessuno escluso, perché l’abbandono e l’emarginazione impediscono lo sviluppo integrale e sono contrari alla costruzione della pace. 

Abbiamo bisogno di approfondire questi temi in tutti i luoghi in cui sarà possibile farlo, a partire dalla famiglia e dalla scuola. I giovani devono diventare dei navigatori controcorrente. La famiglia è la prima scuola di vita e l’impronta che si riceve in famiglia è decisiva per lo sviluppo della persona. Ma la scuola gioca anche un ruolo fondamentale per educare i giovani alla giustizia e alla pace. 

I Pontefici hanno sempre letto nei giovani la possibilità di un tempo nuovo, un tempo per la pace, come segno della fiducia per l’umanità. Una fiducia che è cosciente dei problemi, ma con la consapevolezza che i giovani sanno ancora turbarsi di fronte alle grandi ingiustizie che ci circondano. Giovani sconvolti dalla minaccia delle armi nucleari, interessati ai problemi dell’ambiente, minacciati dalla disoccupazione. In loro dobbiamo investire per disegnare nuovi cammini di pace. 

Rivolgendosi ai giovani nel Messaggio per la giornata della pace del 1° gennaio 2001, papa Giovanni Paolo II scriveva: “Carissimi giovani di ogni lingua e cultura, vi aspetta un compito alto ed esaltante: essere uomini e donne capaci di solidarietà, di pace e di amore alla vita, nel rispetto di tutti. Siate artefici d'una nuova umanità, dove fratelli e sorelle, membri tutti d'una medesima famiglia, possano vivere finalmente nella pace!”. 

A noi spetta il compito di rinnovare questa fiducia nei giovani che incontreremo nel nostro cammino. 

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