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Fare la pace
con la scuola

La pace non va intesa banalmente come l'essenza di guerra, o addirittura come il risultato positivo di un conflitto bellico, ma come una ridefinizione completa e totale dei rapporti tra gli esseri umani, e tra questi e l’ambiente e la natura. L’approccio nonviolento è fondamentale proprio perché porta una nuova filosofia, un nuovo modo di affrontare i conflitti, in cui la scuola è l’incubatrice della pace. 

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Docente di Pedagogia

presso l’Università di Milano-Bicocca e lo IusTo di Torino

 

Parlare di educazione alla pace all'interno della scuola, un argomento assolutamente urgente e ineludibile visto lo stato attuale del mondo, ci dà anche la possibilità di riflettere su come tematiche trasversali così importanti possono essere affrontate all'interno del dispositivo scolastico. Tenendo anche conto che, purtroppo, c’è ancora chi afferma che la scuola NON dovrebbe parlare di queste cose perché altrimenti “farebbe politica” (espressione-jolly che viene giocata ogni volta che si cerca di proporre percorsi di cittadinanza attiva e consapevole). 

“Educazione alla pace” dal nostro punto di vista non può e non deve significare la proposta di una nuova disciplina, anche se ovviamente sarebbe molto importante che studentesse e studenti affrontassero testi narrativi, poetici, giuridici che vanno in questa direzione. Quando si tratta di tematiche di questa importanza etica siamo convinti che ad essere coinvolto debba essere tutto il dispositivo scolastico, in modo che i ragazzi e le ragazze non solo studino la pace ma la vivano quotidianamente all'interno delle loro classi e del loro Istituto. 

Ovviamente si tratta di intendersi sul significato della parola “pace”; un dibattito millenario che non possiamo naturalmente riassumere. Ci limitiamo a dire che la pace non va intesa banalmente come l'assenza di guerra, o addirittura come il risultato positivo di un conflitto bellico, come qualcuno ancora oggi sostiene, ma come una ridefinizione completa e totale dei rapporti tra gli esseri umani, e tra questi e l’ambiente e la natura; in questo senso allora crediamo che l'approccio nonviolento sia fondamentale proprio perché porta una nuova filosofia, un nuovo modo di stare insieme e di affrontare i conflitti. Come ha sottolineato più volte il pedagogista Daniele Novara, ancora oggi purtroppo la parola “conflitto” viene utilizzata come sinonimo della parola “guerra”, con il risultato di far pensare che la guerra o comunque la violenza siano l'unica soluzione possibile per i conflitti. 

Il primo aspetto dell'educazione alla pace nella scuola dunque deve partire da una valorizzazione dei conflitti e del loro potere generativo; e ovviamente in una classe i conflitti sono quelli tra i ragazzi ed insegnanti, tre ragazzi e genitori, tra le componenti adulte del mondo scolastico, e tra gli studenti. Si tratta di educare allora l'intera scuola, non solo i ragazzi, a riconoscere, denominare, e soprattutto limitare i conflitti, nel senso di mantenerli all'interno del perimetro delle questioni da cui sono nate. 

Per fare un esempio, se c'è conflitto all'interno di una classe tra i ragazzi e gli insegnanti a proposito di una verifica, iniziare a rivangare il passato o dire ai ragazzi che sono dei fannulloni significa non essere capace di gestire i conflitti in modo generativo e gettare le premesse perché questo possa esplodere; ovviamente le stesse dinamiche si ripropongono all’interno degli organi collegiali come conflitti tra adulti. 

Il passaggio alla risoluzione nonviolenta dei conflitti però richiede ovviamente il riconoscimento della componente studentesca della scuola come interlocutore, e non come mero ricevente passivo delle informazioni che provengono dagli insegnanti. Una scuola democratica che educa alla pace (e secondo la Costituzione Italiana questo non è una scelta ma un dovere civico) non può perpetuare al suo interno l'attuale dislivello di diritti tra insegnanti e studenti. Se c'è una asimmetria tra queste due componenti del dispositivo scolastico è pedagogica, il che significa che l'insegnante si prende cura dei ragazzi ed è in grado di cogliere le loro obiezioni e la loro conflittualità, importandoli all'interno del suo progetto educativo (del suo e di quello della scuola). 

È dunque impossibile pensare a un'educazione alla pace nella scuola senza associarla strettamente a un'educazione ai rapporti e all'affettività, a una vera e profonda educazione sessuale che non si limiti a qualche elemento di istruzione superficialmente elargito ai ragazzi e le ragazze, ad un momento di riflessione sul tema della morte in tutte le sue sfaccettature. La pace non è un momento di tregua ma è una condizione esistenziale, che tiene dentro di sé il dolore, la gioia, la morte, la nascita, la sconfitta, l’innamoramento e gli ostacoli e le soddisfazioni che si incontrano nella vita. Com'è possibile allora pensare di parlare di pace in una scuola nella quale un ragazzo che prende un'insufficienza parla di fallimento? Come è possibile farlo in una scuola nella quale si importa sempre di più la dimensione competitiva e performativa, arrivando addirittura a parlare di eccellenza e a premiare con denaro i ragazzi con la media del nove? 

Sarà forse chiaro ora il doppio significato del titolo di questo contributo. Fare la pace con la scuola significa prima di tutto che la scuola è l’incubatrice della pace, e come purtroppo esistono scuole di guerra (estremamente efficaci anche e soprattutto quando le loro vittime sono i bambini-soldato), è necessario che ogni scuola sia scuola di pace. 

Ma prima di tutto occorre che i ragazzi e i bambini siano portati a fare la pace con la scuola, nei confronti della quale vivono spesso sentimenti negativi di rifiuto e di rabbia che non possono essere puniti o colpevolizzati, o tanto peggio patologizzati, ma devono essere compresi come elementi di cambiamento profondo del dispositivo scolastico. Dunque educare alla pace con le note disciplinari, con le insufficienze sotto lo “zero”, con le diecimila verifiche nel mese di maggio? Non è questa una versione raffinata dell’orrendo detto “si vis pacem, para bellum”? 

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