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• Vincenzo Alessandro
La scuola nell'analisi del CNEL
• Fabrizia De Cuia
La responsabilità amministrativa
del pubblico dipendente
APPROFONDIAMO
La scuola
nell'analisi del CNEL
Il CNEL prova a scrivere
la sua seconda vita.
Presentata a Roma la XII Relazione
annuale sui servizi pubblici.
L’ente che più volte è stato dato
per spacciato – e che la riforma
costituzionale Renzi-Boschi del 2016
voleva abolire – aspira a un ruolo
da protagonista nel dibattito
politico-istituzionale italiano.

Podcaster, già Segretario Generale CISL Scuola Lazio
Sono stati sollevati molti dubbi, in passato, circa l’utilità del CNEL, il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, di cui, nella proposta di riforma costituzionale Renzi-Boschi del 2016, veniva prevista l’abolizione, come certamente ricordano i più. Da allora, tanta acqua è passata sotto i ponti e lo stesso CNEL ha cercato di ridefinire il proprio ruolo, con un rinnovato protagonismo che ha indotto alcuni osservatori politici a parlare di una “seconda vita” dell’organo consultivo con sede in Villa Lubin, un bel palazzo liberty nel cuore di Villa Borghese che fa gola ad altri enti istituzionali, che pare lo avessero già “opzionato” quando sul CNEL pendeva l’ipotesi della soppressione.
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Oggi alla guida del CNEL si trova Renato Brunetta, personaggio noto alle cronache politiche, controverso protagonista dell’epoca berlusconiana, ma certamente portatore di una linea di coerenza circa il ruolo politico-istituzionale del CNEL, di cui ha difeso l’esistenza, quando questa fu messa in discussione, e di cui ha riformato le procedure, ponendo le basi della sua nuova vocazione. Fu strumento di questoripensamento la cosiddetta Riforma Brunetta, la legge delega n. 15/2009 e il D.Lgs di attuazione n. 150/2009, a suo tempo molto discussa dal sindacato per la “torsione” tecnocratica che la caratterizzava.
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Non è questa la sede per ricostruire quel dibattito, complesso come complessa è l’architettura della riforma Brunetta, la quale investiva il funzionamento generale della Pubblica Amministrazione. Tuttavia, per dare qualche elemento di contesto a quanto diremo poi in modo più esteso, è bene ricordare che, tra le altre misure, la riforma Brunetta introdusse il compito, a carico del CNEL, di redigere una Relazione annuale al Parlamento e al Governo sui livelli e la qualità dei servizi erogati dalle pubbliche amministrazioni centrali e locali alle imprese e ai cittadini. Compito che, se ben attuato, vale da sé a conferire una nuova centralità al CNEL, cui questa incombenza fu affidata, preferendo il CNEL stesso ad altri papabili enti istituzionali – dalla Corte dei conti, allo stesso Ministero della Funzione Pubblica – in virtù della sua rappresentatività dei ceti produttivi e della sua “terzietà” rispetto al ministero e al governo, espressione di una maggioranza, quindi di una parte politica.
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Il 14 ottobre 2025 è stata, quindi, presentata la XII relazione annuale al Parlamento e al Governo sui servizi resi dalla Pubblica Amministrazione al Paese. Si tratta di tre volumi, per poco meno di cinquecento pagine, nelle quali si analizza lo stato di salute di gran parte dei settori della PA italiana. Lo studio del CNEL conferma i mali storici del Paese, a partire dal persistente divario territoriale che contrappone il Nord al Sud, ostacolando la fruizione dei diritti di cittadinanza e le prospettive di sviluppo economico, per poi passare al differenziale rispetto ai valori europei.
In questa sede, tuttavia, ci interessa soffermarci sulle analisi che riguardano il sistema di istruzione del Paese, nel quale, peraltro, i divari territoriali si manifestano comunque, non essendo l’istruzione un corpo separato dall’ambiente nel quale opera. Il primo elemento di valutazione è costituito dal sottofinanziamento del settore rispetto ai valori europei e OCSE. Nel 2021, l’Italia ha speso 12.481 dollari per studente dal settore primario al post-secondario non universitario, a fronte di una spesa OCSE pari a 12.703 dollari. Si tratta, quindi, di una differenza di 222 dollari a studente. La spesa totale in istituzioni scolastiche (dal pre-primario al terziario, esclusa la Ricerca) è stata del 4,2% del PIL nel 2021, contro il 5,1% della media OCSE.
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Si può, quindi, parlare di una vera e propria “sottocapitalizzazione” del settore rispetto ai compiti che sono ad esso affidati, tra i quali spicca quello di mantenere e rinsaldare la capacità competitiva del Paese in ciò che, nell’economia della conoscenza, appare essere l’elemento decisivo di quest’ultima, ossia il capitale umano: il livello di istruzione generale della popolazione come condizione distinta e aggiuntiva rispetto alle punte di eccellenza, che, pure, si manifestano anche nel nostro Paese.
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Se partiamo da questo assunto, ossia dalla centralità anche solo economica, prima ancora che civile, dell’Istruzione, altrettanto drammatica appare la situazione del settore terziario, inteso non solo come Università, ma anche Ricerca e Sviluppo, laddove l’Italia investe lo 0,7% della spesa pubblica complessiva, a fronte dell’1,6% della media UE, o, in termini di PIL, lo 0,4% a fronte dello 0,8% UE. Non occorre certo ricordare che la capacità di innovare e introdurre nuove soluzioni tecnologiche sia la base della crescita della produttività, di cui nel nostro Paese si lamenta la stagnazione. Lo stesso CNEL, nel suo primo Rapporto sulla produttività in Italia, dello scorso settembre 2025, parla di una stagnazione trentennale e di una crescita della produttività, in Italia, pari allo 0,2%, in questi tre decenni, a fronte di una media UE di 1,2%.
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Insufficiente nel suo livello complessivo, la spesa pubblica italiana presenta persistenti divari territoriali, se è vero che nel settore prescolare (0-3 anni), tanto importante ai fini della prima socializzazione e dei servizi resi alle famiglie per favorire l’occupazione di entrambi i genitori, si va da una spesa media per bambino di 4.298 euro della Valle d’Aosta ai 428 euro della Calabria. Fortunatamente, questo sembra essere un settore che risente positivamente dei finanziamenti PNRR, i quali, però, da un lato non sono spesa strutturale, ma straordinaria, e, dall’altro, hanno prodotto maggiori effetti al Nord, piuttosto che al Sud, anche se la differenza sembra essere lieve. Va anche detto che la consapevolezza della persistente presenza di divari territoriali ha indotto il MIM all’elaborazione del piano denominato Agenda Sud.
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In senso positivo, va sottolineata da un lato la diminuzione della dispersione scolastica, che scende al di sotto del 10%, dopo il picco del 23% del 2004, e, dall’altro, l’aumento dei laureati e dei dottorandi, questi ultimi anche grazie “all’aiutino” del PNRR.
Nel rimandare alla lettura della Relazione CNEL per ulteriori dati, non possiamo esimerci dal riconoscere il valore positivo dell’azione complessiva messa in campo da questo ente, di cui il principale fautore della sua abolizione, il senatore Renzi, ebbe a dire, a suo tempo, che era “meno popolare dei Pokémon”.
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