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Anna Armone
La regolazione 
dell'etica professionale dei docenti
   

Luigino Bruni
Leadership e meritocrazia
nella scuola



 

APPROFONDIAMO

La regolazione
dell'etica professionale
dei docenti

Come regolare l'etica professionale

degli insegnanti? Il tema è delicato,

perché è un terreno oggi senza confini. Un’eventuale stesura di codici

di comportamento dovrebbe afferire

alla contrattazione tra sindacati e ministero, affinché se ne tuteli la libertà professionale. 

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Già Direttore amministrativo presso la Scuola Nazionale dell'Amministrazione di Bologna

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L'esperienza ci insegna che la riforma dei comportamenti non si può realizzare per decreto. Montesquieu dice: “Non sono le leggi a fare gli uomini buoni; sono gli uomini buoni che operano per fare leggi buone e applicarle”. E quando parliamo di questi uomini dobbiamo innanzitutto parlare di quegli uomini e quelle donne responsabili di indirizzare i comportamenti dei giovani. 

Il sociologo Giuseppe De Rita affermò che “l'etica degli affari [che è la più vicina all’etica organizzativa] è in fondo etica delle regole. In Italia non si sono compiuti ancora sforzi sufficienti per fare nascere un'etica personale matura; alla fine, prevalgono l'egoismo e l'onda lunga della soggettività che chiude l'individuo in una prigione di specchi”. Negli USA il problema delle regole è stato affrontato da molto tempo. 

In una fase di capitalismo maturo, l'obiettivo della qualità viene perseguito attraverso l'autoregolazione, non in alternativa, ma complementare all'eteroregolazione, precedendo il legislatore che fissa regole non flessibili. È frutto dell'eredità protestante considerare l'etica come parte integrante di ogni potere decisionale. 

In Europa la situazione è molto diversa. Molte ricerche hanno confermato che i manager europei sono diffidenti verso l'affermazione che un codice etico possa effettivamente modificare la condotta dei dipendenti. 

In Italia un movimento di etica degli affari ha iniziato a diffondersi verso la fine degli anni '80. La distanza temporale dagli USA è dovuta principalmente alla dominante cultura del “particulare” di matrice guicciardiana. Altri due fattori, fra loro confliggenti, hanno condizionato l'Italia: quello religioso che ha influenzato non solo gran parte della società, ma anche della politica, e quello dell'ideologia marxista. Questi eventi hanno fatto in modo che la componente laica non sia riuscita per molto tempo a superare gli ostacoli connaturati al tessuto sociale e politico del nostro paese, che hanno impedito di affrontare il tema dell'etica in termini di responsabilità individuale, cioè di scelte guidate non dall'egoismo opportunistico, ma da valori posti alla base di una corretta relazione con gli altri, con il sociale (F. Riolo). Altre ragioni, per l'Italia, vanno trovate nella storia del nostro capitalismo debole all'inizio del secolo, debole durante il fascismo, debole nel dopoguerra. 

L’etica pubblica si può correttamente definire proprio attraverso le formule usate dalla Costituzione, assai più pregnanti, si direbbe, di quelle correntemente riscontrabili in dottrina: l’agire, cioè, da parte di ogni pubblico agente nell’esercizio delle funzioni che gli sono affidate, con disciplina ed onore, con imparzialità nei confronti del pubblico e attraverso un’azione che, nel suo complesso, si pone a servizio esclusivo della Nazione, cioè della collettività medesima. 

Il comportamento corretto dei pubblici agenti deve essere inteso come quello da osservarsi sia nei confronti dell’Amministrazione di appartenenza (elemento questo che accomuna i pubblici agenti a ogni operatore nell’ambito di aziende e società private), sia nei confronti del pubblico, cioè della collettività servita, alla quale i pubblici agenti sono legati da un diretto rapporto di servizio, si direbbe, controbilanciato da specifici doveri, che non si rinviene nell’ambito delle attività prestate nel settore privato. 

L’ambito dell’etica pubblica è costituito dal Codice disciplinare e dai codici di comportamento che delineano gli obblighi del dipendente, l'elenco delle infrazioni e le correlate sanzioni disciplinari – come previsto dalla contrattazione collettiva, dal decreto legislativo 165 del 2001 e ss.mm. e dal decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62, relativo al Codice di comportamento dei dipendenti pubblici. 

Nel sistema scolastico la regolazione attuale prevede, oltre al Codice di comportamento di cui al D.P.R. 62/2013, i codici disciplinari per i dirigenti scolastici e per il personale ATA. Per i docenti le ultime tre tornate contrattuali hanno previsto l’emanazione di un Codice disciplinare, con il limite del rispetto della libertà di insegnamento. Dunque, i riferimenti per i docenti sono: il Codice di comportamento dei dipendenti pubblici e gli articoli del D.lgs 297/1994. 

Si tratta di una situazione davvero anomala, considerando che abbiamo a che fare con un gruppo professionalizzato che mette in campo azioni che sostanziano una funzione sociale. 

L'EXCURSUS NORMATIVO

Il Codice di comportamento di un’organizzazione è uno degli strumenti di valorizzazione della responsabilità individuale e suo scopo è anche quello di fissare un insieme di valori condivisi, al fine di migliorare il funzionamento dell'organizzazione e rafforzare un'idea della comunità di riferimento. 

Il D.P.R. n. 81/2023 apporta modifiche al D.P.R. n. 62/2013, recante «Codice di comportamento dei dipendenti pubblici, a norma dell'articolo 54 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165». 

Il Codice di comportamento definisce gli obblighi di diligenza, lealtà, imparzialità e buona condotta che i pubblici dipendenti sono tenuti ad osservare. 

Il Ministro Cassese, promotore del primo Codice di comportamento dei dipendenti pubblici, affermò che “funzione di questo codice è… di individuare i comportamenti corretti e quelli scorretti, non di premiare gli uni e reprimere gli altri…; l'intento [è] di stimolare la riflessione sul comportamento dei pubblici dipendenti, in vista di un cambiamento culturale…”. 

Possiamo e dobbiamo confidare nel potere sanzionatorio delle norme? È proprio questo “l’atteggiamento scettico che va vinto se si crede che l’etica pubblica possa essere fissata anche in regole. Se non si accetta questa possibilità si tradisce, in qualche modo, la nostra stessa cultura giuridica perché saremmo costretti a negare anche il valore di principi che sono scritti nel codice civile… quali il concetto di buona fede, di buon costume e di affidamento nei rapporti tra cittadini. Ecco un buon motivo per essere ottimisti e non scettici nei confronti delle regole di etica pubblica fissate in norme”. 

L'art. 54, comma 5, del D.Lgs 30 marzo 2001 n. 165, stabilisce che ciascuna amministrazione definisca, con procedura aperta alla partecipazione, un proprio Codice di comportamento, che integri e specifichi il Codice di comportamento generale approvato con decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62. Il sistema scolastico non ha un proprio Codice di comportamento, a differenza del personale del Ministero dell’istruzione e del merito. 

E i docenti? I docenti possono essere annoverati tra i semi-professionisti inseriti in un’organizzazione pubblica. Come in alcuni settori professionali del mondo privato che hanno elaborato codici di comportamento, anche per i docenti è auspicabile tale azione? E si tratta di un’azione preliminare o integrativa del Codice disciplinare, anch’esso mancante? 

Dobbiamo premettere che i codici di comportamento si differenziano rispetto ai codici disciplinari perché rappresentano il prodotto di una autonoma autoregolazione. I codici di comportamento professionali vengono elaborati in esecuzione di una volontà, o di alcuni criteri guida, indicati dal legislatore. 

Anche i magistrati si sono dati un codice etico, approvato nel 1994. Il testo contiene le regole etiche alle quali deve ispirarsi il comportamento dei magistrati, tenendo presente il momento storico di riferimento. Le tematiche trattate riguardano i valori e i principi fondamentali, i rapporti con i cittadini, la stampa e gli altri mezzi di comunicazione, l'uso delle informazioni d'ufficio, l'indipendenza, l'imparzialità e la correttezza nell'esercizio della funzione, la condotta nel processo. 

La funzione docente si svolge lungo il crinale della legittimità del processo di insegnamento e lungo il crinale della discrezionalità tecnica. Ai fini di garantire un funzionamento complessivo del sistema, nonché delle sue singole manifestazioni orientato ai principi dell’etica pubblica, requisito primario, di per sé non sufficiente, ma in ogni caso necessario, è quello che l’azione amministrativa avvenga legittimamente, e cioè sulla base di quei principi e criteri. Non sufficiente perché, come s’è accennato, i principi dell’etica pubblica vanno al di là della garanzia della legittimità dell’azione. Un’azione amministrativa in concreto può svolgersi legittimamente sul piano formale, ma ciò nondimeno senza un adeguato rispetto dei principi dell’etica pubblica. E così, nell’ambito della funzione docente, un cattivo e non leale rapporto con gli interlocutori e con gli utenti, una non sufficiente chiarezza delle motivazioni degli atti valutativi degli apprendimenti, e così via, sono fattori che possono non tradursi in illegittimità dell’azione, ma, ciò nondimeno, violare i principi dell’etica pubblica. Possiamo perciò dire che il requisito della legittimità dell’azione docente è il requisito minimo per assicurare il rispetto dei principi dell’etica pubblica, senza il quale siamo del tutto al di fuori da detto ambito; ma pur in presenza di detto requisito ci si può trovare di fronte a un andamento complessivo della scuola, o singolare, con riferimento a singolo comportamento, non conforme, o non del tutto conforme a detti principi. 

Potrebbe essere il Codice di comportamento la chiave regolativa dell’etica docente? Un presupposto è certo: la competenza dovrebbe afferire al Ministero, trattandosi di fonte disciplinare. Ma sarebbe altresì auspicabile la partecipazione del corpo docente, trattandosi di una regolazione limitrofa, se non intrusiva, della libertà professionale. Ciò non toglie che l’autonomia organizzativa del collegio può esercitarsi anche nell’elaborazione di un regolamento etico interno all’istituzione scolastica. 

IL CODICE DISCIPLINARE

Il Codice disciplinare stabilisce le infrazioni e le relative sanzioni nelle procedure disciplinari dei dipendenti pubblici. 

La seconda questione, dunque, riguarda la mancata emanazione di un Codice disciplinare per i docenti. Perché è così complicato? 

La risposta è sottesa a quanto previsto dall’art. 48 del CCNL vigente il quale prevede che “Le parti convengono sulla opportunità di rinviare ad una specifica sessione negoziale a livello nazionale la definizione, per il personale docente ed educativo delle istituzioni scolastiche, della tipologia delle infrazioni disciplinari e delle relative sanzioni, nonché l’individuazione di una procedura di conciliazione non obbligatoria, fermo restando che il soggetto responsabile del procedimento disciplinare deve in ogni caso assicurare che l'esercizio del potere disciplinare sia effettivamente rivolto alla repressione di condotte antidoverose dell'insegnante e non a sindacare, neppure indirettamente, la libertà di insegnamento”. La libertà di insegnamento è vero che è funzionale agli scopi stabiliti dalle norme generali e di settore ma, ad oggi, non è regolata. 

È vero anche che la regolazione di una libertà professionale può venire, per essere efficace, dallo stesso gruppo professionale. Non essendo regolata costituisce una zona “occupabile” dallo stesso legislatore o altri attori sociali. Nell’attesa di procedere, quale dibattito si è aperto, se si è aperto, all’interno della categoria docente? Non si sta parlando di normare un pezzo, un meccanismo del funzionamento della scuola, ma di definire le prerogative dei docenti parzialmente responsabili disciplinarmente. È davvero complesso, anche perché una definizione di tali confini muoverebbe, nello scacchiere dei poteri e delle responsabilità, l’intero assetto della scuola. C’è consapevolezza del fatto che la definizione dei limiti della libertà professionale del docente richiederebbe la ridefinizione dei poteri del dirigente scolastico? 

Possiamo, a carte ferme, sorpassare il problema della definizione dei confini della libertà d’insegnamento e passare alla verifica della possibilità, quantomeno, di autoregolazione interna del comportamento professionale dei docenti? Ma per fare ciò basta il principio generale dell’autoregolazione dell’organo collegiale? O deve essere riconosciuto in una norma dispositiva o contrattuale tale possibilità? 

Una cosa è certa: dalla stasi della previsione contrattuale sopra citata non si esce se non facendosi davvero male. Qualsiasi dichiarazione formale non metterà mai in sicurezza la libertà di insegnamento poiché un terreno senza confini è aperto a qualsiasi invasione. 

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