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Pila di libri

Maurice Ravel:
150m0 anniversario dalla nascita

 

Maurice Ravel, spesso associato

all'Impressionismo, è stato compositore di grande abilità, straordinario orchestratore,

maestro dei colori

timbrici e delle possibilità espressive

del pianoforte.

Ha integrato forme tradizionali

con il jazz e il folklore spagnolo;

a 150 anni dalla nascita ne esaltiamo

l'eredità di perfezione formale

ed eleganza.

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Percussionista e musicologo

Maurice Ravel è una figura veramente singolare nel panorama musicale del primo Novecento: troppo vicino al tardo-romanticismo per essere un rivoluzionario come Stravinskij, troppo razionale per essere accostato in modo diretto a Debussy, con cui viene spesso associato sotto l’etichetta di “impressionista”.

In realtà, la musica di Ravel sfugge a definizioni semplicistiche o a essere incasellata in una rigida categoria: si tratta di una musica fatta di equilibri sapienti, di suoni cesellati con una precisione quasi da orafo, in cui la modernità si unisce a una profonda conoscenza della tradizione e, sovente, con il folklore. In Ravel, tutto è calcolato, senza freddezza o aridità; è un’arte dell’equilibrio, sospesa tra emozione e struttura, tra sperimentazione e chiarezza, tra popolare e rigore formale. Nato nel 1875 a Ciboure, nei Paesi Baschi francesi, Ravel trascorse gran parte della sua vita a Parigi. Qui, nel Conservatorio parigino, sviluppò tutto il proprio percorso formativo, non esente da contrasti col mondo accademico e incomprensioni. Sovente fu accusato di un eccesso di personalismo, di essere troppo legato alla modernità, ma fu proprio questa tenacia nel coltivare una voce autonoma che lo rese uno dei compositori più rappresentativi della propria epoca. In un periodo in cui la musica europea era attraversata da profondi mutamenti stilistici e culturali, Ravel riuscì a costruire e mantenere viva una poetica del tutto personale e inconfondibile.

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Una delle caratteristiche più evidenti e rinomate della sua musica è l’abilità straordinaria nello scrivere per orchestra: ogni strumento nella sua orchestra riveste un ruolo pensato con meticolosità, ogni colore timbrico è scelto con finissimo acume. Queste peculiarità si riscontrano in lavori come la Rapsodie Espagnole o il balletto Daphnis et Chloé, in cui l’orchestra si trasforma in una tavolozza infinita di sfumature. Daphnis, in particolare, scritto per i celebri Ballets Russes, è forse il suo capolavoro sinfonico: una lunga arcata sonora che descrive paesaggi mitici, passioni arcaiche, momenti di pura estasi sensoriale che culminano in momenti topici quali la celebre “alba” (Lever du jour) o la tumultuosa e coinvolgente Pantomime et Danse générale. Ridurre tuttavia l’arte di Ravel al solo colore sarebbe riduttivo e ingiusto, la sua musica è anche forma. A differenza di Debussy, che spesso abbandona la forma tradizionale in favore di libere suggestioni sonore, Ravel conserva e rielabora le strutture classiche.

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Questo è evidente in molte sue opere, come la Pavane pour une infante défunte, che omaggia la forma rinascimentale in una veste modernissima, o il Tombeau de Couperin, una suite per pianoforte scritta durante la Prima Guerra Mondiale e, in parte, orchestrata successivamente. Ogni movimento del Tombeau de Couperin è dedicato a un amico caduto in guerra, e la compostezza formale di questi brani (Preludi, Furlane, Rigaudon) contrasta con la tragedia personale sottesa, mostrando come Ravel potesse esprimere sentimenti profondi anche senza abbandonarsi ad un pathos esplicito. Anche il pianoforte fu uno dei mezzi espressivi preferiti di Ravel e il suo repertorio per questo strumento resta tra i più amati (e temuti) dai pianisti. Jeux d’eau, scritto nel 1901, è uno dei primi esempi di un linguaggio pianistico innovativo: rapide cascate di note, arpeggi liquidi, armonie scintillanti: tutto concorre a creare un’immagine sonora dell’acqua. È però con Gaspard de la nuit, del 1908, che Ravel raggiunge vette di virtuosismo nella scrittura pianistica e un’intensità drammatica inaudita. Ispirato ai poemi in prosa di Aloysius Bertrand, il trittico che compone Gaspard de la nuit (Ondine, Le Gibet, Scarbo) esplora mondi fantastici, visionari ed oscuri. Ogni movimento è una sfida tecnica, ma anche interpretativa: Scarbo, in particolare, è un turbinio di scale, trilli e rapidi salti sulla tastiera attraverso i quali si vuol richiamare uditivamente l’evocazione di un demone notturno che appare e scompare con inquietante velocità.

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Un altro aspetto interessante del linguaggio di Ravel è l’apertura alle influenze extra-europee. Dopo la Prima Guerra Mondiale, la musica afroamericana, in particolare il jazz, affascinò molti compositori europei, e Ravel non fece eccezione. In visita negli Stati Uniti, fu colpito dall’energia del jazz, dalla sua vitalità ritmica e dalle sue armonie particolari. Questa fascinazione si tradusse in brani come quello inserito nella Sonata per violino e pianoforte n. 2, che include appunto un secondo movimento esplicitamente intitolato Blues. Anche nel Concerto per pianoforte in Sol maggiore, l’elemento jazzistico trova accoglimento, fuso con una brillante scrittura orchestrale e pianistica. Allo stesso modo, Ravel nutrì per tutta la vita un forte interesse per la musica spagnola e gitana, influenze che emergono chiaramente in opere come la Rapsodie Espagnole, Alborada del gracioso o la Tzigane, scritta inizialmente per violino e pianoforte quindi orchestrata. La Tzigane si apre con il violino impegnato in una lunga cadenza iniziale, quasi delirante, che mette alla prova le capacità tecniche e interpretative dell’esecutore per continuare con l’esposizione di temi che evocano i virtuosismi e le passioni della musica ungherese tzigana.

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Tra le composizioni più celebri c’è ovviamente il Boléro che merita una riflessione a parte. Spesso associato a semplice brano popolare, Boléro è in realtà un esperimento radicale e molto raffinato: una singola melodia risulta ripetuta in modo totalmente inalterato, senza sviluppo tematico, su un ostinato ritmo di tamburo invariato. Su questo tappeto ritmico l’orchestra cambia costantemente colore, cre-scendo lentamente fino a un climax esplosivo finale. È una sorta di esercizio di ipnosi sonora, di manipolazione dell’ascoltatore, che diventa parte di un rituale. Si racconta che quando qualcuno chiese a Ravel se Boléro fosse un capolavoro o una follia, lui rispose: «È semplicemente un esperimento sull’orchestrazione. Non c’è musica dentro». Un altro pezzo orchestrale fondamentale della produzione raveliana è La Valse, scritto nel 1920. Apparentemente un omaggio alla tradizione del valzer viennese, si rivela in realtà una decostruzione brutale del genere. Nelle sue prime battute, il valzer sembra nascere dalle nebbie, prendere forma a poco a poco, ma qualcosa è disturbato, corrotto. Progressivamente, la danza perde il suo equilibrio, diventa sempre più ossessiva, frenetica, fino a crollare su sé stessa in un fi-

nale quasi catastrofico. In molti hanno interpretato La Valse come un’enorme allegoria dell’Europa post-bellica, avviata alla fine di un’epoca.

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La musica strumentale risulta sicuramente la parte più sostanziosa del lascito compositivo di Ravel ma accanto ad essa egli scrisse anche opere vocali e due brevi opere liriche. Shéhérazade è un ciclo di mélodies per voce e orchestra su testi esotici e offre un perfetto esempio del suo gusto per l’Oriente, sensualissimo ma sempre esposto con sobrietà sonora. Ancora più sorprendente è L’Enfant et les Sortilèges, opera breve su libretto di Colette, in cui un bambino, dopo aver maltrattato oggetti e animali, li

vede animarsi e ribellarsi. Il tono è favolistico, ironico, ma la scrittura musicale è complessa, ricca di citazioni e invenzioni timbriche. L'altro lavoro per il teatro musicale è L'Heure espagnole, opera in un atto su libretto di Franc-Nohain. È una divertente parodia dell’opera buffa, scritta con grande raffinatezza e basata su un libretto ricco di sagaci doppi sensi e di rime divertenti, sempre però nei limiti del buon gusto. Oltre alla produzione originale, Ravel fu anche un magistrale orchestratore di opere altrui. La sua orchestrazione dell’opera pianistica intitolata Quadri di un’esposizione di Modest Musorgskij è diventata la versione più eseguita, al punto tale da oscurare quasi l’originale pianistico. Il trattamento degli episodi, la varietà timbrica, la potenza espressiva rivelano un’arte dell’orchestrazione ai massimi livelli, probabilmente mai eguagliata.

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La musica di Ravel è stata sovente messa in rapporto con quella dell’altro compositore francese importante dello stesso periodo: Claude Debussy. Come già precedentemente precisato, i due musicisti sono stati tradizionalmente accomunati dalla medesima definizione di compositori impressionisti ma fra loro emergono differenze sostanziali. L’arte compositiva di Debussy sembra essere più libera, evocativa, quasi simbolista nella sua ispirazione; Ravel è più strutturato, più attento alla forma, più “classico” nella sua modernità. Entrambi rappresentano due poli fondamentali della musica francese del Novecento, due modi diversi ma complementari di rispondere alla crisi del linguaggio tonale e alla ricerca di nuove vie espressive. Complessivamente, la musica di Maurice Ravel ci appare come il risultato di un sapiente equilibrio tra razionalità e immaginazione, tradizione e modernità, misura e libertà.

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La sua opera è un viaggio attraverso mondi sonori limpidi ma mai freddi, espressivi ma mai ridondanti. Potremmo definire Ravel come un “artigiano della forma” e “un poeta del timbro”, capace di evocare universi sonori con pochi, sapienti pennellate.

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La sua eredità musicale non sta soltanto nella bellezza delle sue opere, ma anche nell’esempio di un'arte che sa essere contemporanea senza rinunciare all'eleganza, all'intelligenza e alla profondità. In un tempo di rapide rivoluzioni stilistiche e fratture radicali, Ravel scelse una via diversa: quella della perfezione formale, della coerenza espressiva e di un linguaggio musicale che ancora oggi continua ad affascinare ascoltatori e interpreti a ogni latitudine.

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