editoriale
La strada
da seguire
Come valorizzare la professionalità docente
con carriere più dinamiche, superando
una impasse che dura da decenni.
Lo si può fare abbandonando le ideologie
e mettendo al centro dell’attenzione ciò
che serve alla scuola dell’autonomia
per funzionare bene, in una condizione
di crescente complessità.

Segretaria Generale
CISL Scuola

Il tema della professionalità docente, e dei modi con cui rendere possibile una sua valorizzazione, viene molto spesso affrontato sulla base di un presupposto che, ancora di recente, trova spazio in un servizio dedicato agli stipendi degli insegnanti – come sovente accade in concomitanza con l’avvio di un nuovo anno scolastico – da una qualificata rivista settimanale, L’Espresso.
Accanto ai consueti confronti fra le retribuzioni italiane e quelle di altri Paesi, che a dire il vero non dicono molto di nuovo nel descrivere una situazione ben nota, si dà spazio alle considerazioni di autorevoli protagonisti del dibattito sulla scuola, come il direttore della Fondazione Agnelli Andrea Gavosto, il quale ritiene che una delle ragioni del gap fra Italia e resto d’Europa consista nel fatto che la carriera del docente si sviluppa solo attraverso scatti di anzianità, dati indistintamente a tutti, quale che sia la qualità della loro prestazione professionale (“Puoi essere un genio o un cane, guadagnerai sempre la stessa cifra”). L’affermazione, colorita ma efficace, contiene indubbiamente una parte di verità, ma espone anzitutto al rischio (magari preterintenzionale) di legittimare interpretazioni malevole, secondo cui la qualità della docenza italiana sarebbe bassa.
Un assunto smentito pochi giorni fa proprio dal ministro Valditara, che all’ultimo forum di Cernobbio ha ricordando come i dati OCSE PISA 2022 sulle competenze matematiche degli studenti rilevino nel Nord-Ovest italiano una competenza pari a 500 punti e nel Nord-Est a 496. Ben al di sopra dei 493 punti dei Paesi Bassi, dei 484 della Finlandia e dei 475 della Germania; per un punteggio medio nazionale di 471, a fronte dei 472 di media europea. Ma c’è un altro rischio, se quella mezza verità viene assunta come intera: quello di ricadere nell’impasse che da un quarto di secolo caratterizza ogni tentativo di immaginare criteri di sviluppo professionale diversi dall’anzianità.
Un quarto di secolo: tanto ci separa dal tentativo di Berlinguer di disegnare, tra il 2000 e il 2001, un sistema di progressione in carriera basato su una selezione della qualità professionale, passato alle cronache come “concorsone”. Idea condivisa – occorre dirlo per onestà – dai maggiori sindacati, che sull’argomento sottoscrissero un contratto integrativo, poi naufragato clamorosamente in fase di attuazione. Senza poter entrare più di tanto nei dettagli di una vicenda così complessa, due i limiti principali di quel progetto: il primo era dato dalla difficoltà intrinseca di “misurare” con criteri oggettivi la qualità del lavoro di un insegnante, da cui partire per un confronto con altri su cui incide, come è noto, una miriade di variabili. Il secondo, che rendeva e rende assai arduo delineare soluzioni ampiamente condivise dall’insieme della categoria, era il permanere di una condizione retributiva ben al di sotto, in termini generali, a quanto sarebbe giusto e necessario per dare riconoscimento adeguato a un lavoro che già allora, e per ragioni diverse fino a oggi, manifestava una perdita di autorevolezza, prestigio, attrattività.
Nella mia relazione al Congresso di Trieste, nel giugno scorso, riprendevo questo concetto ricordando che “il presupposto per rendere concretamente percorribile ogni ipotesi di progressione … è una rivalutazione complessiva del trattamento economico di tutto il personale scolastico, gravato da un’emergenza salariale purtroppo condivisa con l’intero mondo del lavoro”. Dopo di che, non intendendo sfuggire ancora una volta dall’affrontare un tema che giustamente va ricondotto alla sede contrattuale perché non sia oggetto di interventi unilaterali di natura legislativa, sviluppavo alcune considerazioni partendo dagli spazi che nell’immediato si aprono, con la trattativa per il rinnovo del CCNL. Spazi da utilizzare per correggere l’impostazione data con l’attuale modello del “docente incentivato”, gravata dai limiti che la caratterizzano: percorso troppo lungo, risorse insufficienti e ricavate dagli effetti della denatalità, platea ristretta, con nessuna prospettiva di crescita professionale.
Segnalavo inoltre la necessità di chiarire che cosa si intenda oggi per “figure di sistema”, al momento destinatarie della formazione incentivata. Sostenendo la necessità di evitare percorsi finalizzati “alla formazione di gruppi ristretti e autoreferenziali di persone che, a vario titolo, gravitano intorno alla dirigenza scolastica”. Ragionando su una visione più dinamica della professionalità docente, con i conseguenti riflessi anche retributivi (ma soprattutto in termini di funzioni svolte), si parte sempre più dalla constatazione di quanto la crescente complessità del sistema scolastico reclami una più ricca articolazione di figure: da qui i ricorrenti accenni alla necessità di un middle management che integri e supporti i ruoli di governo delle istituzioni scolastiche autonome.
È un’impostazione che si ritrova anche in molti degli interventi ospitati in questo numero della rivista, che ne rendono quanto mai interessante e stimolante la lettura. Non è un caso che la scelta di “professionalità docente” come leitmotiv di "Scuola e Formazione web" coincida con la possibile ripresa di un confronto negoziale che vorremmo avesse quanto più possibile a riferimento non solo la chiusura del triennio (già concluso) 2022/24, ma anche l’avvio di quello successivo, nel quale siamo già entrati. Vogliamo arrivare preparati a quel confronto, e nell’ultimo Congresso abbiamo fissato alcuni punti di orientamento che intendiamo seguire. Affermando che una nuova prospettiva di sviluppo professionale non deve avere tempi lunghi (come lo sono i nove anni oggi delineati dal D.L. 36/2023) e riguardare numeri ristretti, ma deve rappresentare un’opportunità “accessibile, in maniera graduale, da tutti. Trasparente e in grado di riconoscere formazione e competenze acquisite”. Vogliamo inoltre che chi decide di assumere incarichi, e vede per questo valorizzato un conseguente maggiore impegno, lo faccia in riferimento a funzioni che rispondano alle esigenze dell’autonomia scolastica, ai bisogni specifici della scuola e ai contesti territoriali. “Non posizioni organizzative rigide e codificate – cito sempre la mia relazione – ma di funzione, secondo le necessità individuate dai collegi dei docenti. Senza introdurre cristallizzazioni gerarchiche, che irrigidirebbero la struttura organizzativa ... ma un sistema che consenta flessibilità nella risposta ai bisogni emergenti e sempre mutevoli con l’assunzione volontaria, incentivata e riconosciuta di compiti di funzione”.
Riconoscimento della competenza acquisita e valorizzazione delle funzioni svolte nell’ambito dell’autonomia scolastica sono per la CISL Scuola le direttrici da seguire, per un modello di professionalità più “equo, moderno e motivante per tutti i docenti, senza creare nuove rigidità”. Mi piace concludere citando non più la mia relazione, ma la mozione finale, unanimemente approvata dal Congresso, laddove si individua fra gli obiettivi prioritari dell’azione sindacale “la valorizzazione della professionalità docente attraverso un’evoluzione del ruolo basata su due direttrici fondamentali: un inquadramento economico stabile e il riconoscimento del maggiore impegno in incarichi aggiuntivi rispondenti alle esigenze dell’autonomia scolastica”. Sarei fuori dal mondo se non avessi coscienza di quanto sia sfidante il tema di questo numero della rivista: ma si tratta di una di quelle sfide alle quali non si può sfuggire, se si ha l’ambizione di dare forma al futuro.
