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Intelligenza Artificiale:
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Il Canto degli italiani e l'Inno alla gioia
Due inni, due visioni
Podcaster, già Segretario Generale
CISL Scuola Lazio


Intelligenza Artificiale:
il nuovo paradigma
Nello Cristianini, fisico, docente di Intelligenza Artificiale presso l’università inglese di Bath, ha scritto tre libri per descrivere l’evoluzione di questa nuova tecnologia. Lo ha fatto con chiarezza, rendendo accessibile una materia in sé complessa e complicata.
Il primo di questi testi,
La scorciatoia, contiene una dedica: “A tutti i miei insegnanti”. Gli altri non ne hanno alcuna."
Ho visto cose che voi umani …
(il replicante Roy Batty nel film Blade Runner)
Professore di Intelligenza Artificiale preso l’Università di Bath (UK), Nello Cristianini è ormai un volto piuttosto noto al pubblico italiano, grazie alla sua presenza radiotelevisiva e sui media digitali, in particolare YouTube. Nell’ultimo triennio, Cristianini ha pubblicato tre libri – La Scorciatoia (2023), Machina Sapiens (2024) e Sovrumano (2025) – che hanno il pregio di aver reso accessibile ai non specialisti la complessa tematica dell’Intelligenza Artificiale, senza rinunciare al rigore scientifico dei concetti e delle problematiche che sono a essa connessi.
Tre anni e tre libri per illustrare l’accelerazione che il settore ha fatto registrare, dopo un settantennio di ricerche, iniziate su particolare impulso di Alan Turing, il matematico inglese considerato il padre dell’informatica, noto, al di là della cerchia degli addetti ai lavori, anche ai cinefili che hanno visto e apprezzato The imitation game, film del 2014, di Morten Tyldum.
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Nella pellicola si racconta di come Turing abbia dato un importante contributo alla sconfitta del nazismo, guidando una equipe di giovani scienziati nella decrittazione del codice cifrato Enigma, in uso presso le forze armate tedesche; impresa di cui, peraltro, la madrepatria inglese non gli fu particolarmente grata, almeno non tanto da evitargli, alla fine del conflitto, la condanna penale e la riduzione chimica della libido, a causa della sua omosessualità. Turing ipotizzò già negli anni Cinquanta la possibilità di costruire macchine intelligenti, capaci cioè di affrontare compiti intellettuali allo stesso livello della mente umana. Al fine valutare il livello di macchine di questo tipo, propose il test che porta il suo nome, il test di Turing, appunto, che consiste nell’osservare il comportamento della macchina e considerarlo “intelligente” nel momento in cui fosse indistinguibile da quello umano. Un test ormai non più adeguato agli attuali algoritmi, capaci di superare le prestazioni umane in molti campi.
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L’accelerazione dello sviluppo degli algoritmi di intelligenza artificiale che si è registrata negli ultimi anni deriva dalla rinuncia dei ricercatori a addestrare i computer tramite la trasmissione delle strutture formali del pensiero. Istruire i computer come si farebbe con un essere umano, ossia trasferendo concettualizzazioni linguistiche, matematiche e scientifiche, significa, difatti, complicare enormemente gli algoritmi che governano il funzionamento delle macchine, per ottenere, alla fine, risultati scarsi e di lungo periodo. Molto più efficace, invece, il metodo statistico (la scorciatoia di Cristianini), ossia il miglio-ramento delle capacità deduttive, e, quindi, predittive del computer tramite l’osservazione e il confronto, da parte di quest’ultimo, di assiemi di dati (dataset) sufficientemente ampi e significativi. Importante, da questo punto di vista, il contributo della scienziata sino-americana Fei Fei Li, ricercatrice nel settore della computer vision, che ha introdotto, nei primi anni 2000, l’addestramento dei computer al riconoscimento delle immagini, sottoponendo loro milioni di immagini ricavate dai dati prodotti quotidianamente dal web.
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Gli algoritmi di Intelligenza Artificiale operano ormai in questo modo, auto-istruendosi e inferendo conclusioni dai dati acquisiti. Cominciano qui i primi interrogativi, perché ben presto i ricercatori hanno dovuto prendere atto del fatto che gli algoritmi non si limitano a sviluppare abilità che, per semplicità, possiamo definire “minori”, come, ad esempio, quella del nostro telefonino di prevedere, nel contesto del messaggio che stiamo scrivendo, le parole che vogliamo aggiungere a quelle iniziali per completare il pensiero. In realtà, a un certo punto del loro sviluppo, gli algoritmi manifestano capacità inaspettate, tali da mostrare, in un lasso di tempo sufficiente, il raggiungimento e il superamento della capacità umane. Questo è il caso degli algoritmi di “gioco”, ossia progettati per gli scacchi o per il Go, un gioco di strategia perfino più complesso degli stessi scacchi, particolarmente diffuso in Oriente. Giocando contro sé stessi, gli algoritmi hanno sviluppato capacità superiori a quelle del giocatore medio e persino dei migliori campioni.
E lo stesso hanno fatto nella lettura delle mammografie, delle radiografie toraciche e nella diagnosi del melanoma, ottenendo risultati più accurati di quelli dei migliori esperti, a un costo potenzialmente inferiore. Particolarmente rappresentativo della nuova frontiera dell’Intelligenza Artificiale è il caso dell’halicina, una molecola con proprietà antibatteriche individuata dall’IA, andando oltre i dati di input che erano stati introdotti dai ricercatori del Massachusetts Institute of Technology (MIT). Proprio perché scoperta in modo autonomo dalla macchina, la molecola fu chiamata halicina, con palese allusione al computer Hal di 2001, Odissea nello spazio. Del resto, la consacrazione dell’intelligenza artificiale nel campo della ricerca scientifica è avvenuta con l’assegnazione dei premi Nobel 2024. Quello per la Fisica è stato assegnato a due scienziati ben noti nel campo dell’IA, John Hopefield e Geoffrey Hinton, che sono, in realtà, più informatici che fisici, mentre quello per la Chimica è andato a studiosi che se ne avvalgono nel campo dello studio delle proteine, due dei quali, Demis Hassabis e John Jumper, di diretta emanazione di Big G., ossia di Google, mentre il terzo, Dave Baker, è un accademico che usa l’lA per la progettazione delle proteine. Quindi, anche questi, tranne forse l’ultimo, Dave Baker, più informatici che chimici.
Non c’è dubbio che le cosiddette “intelligenze ristrette” (ANI, Artificial Narrow Intelligence) – espressione che va correttamente intesa nel senso di “intelligenze specializzate”, la cui applicazione è quindi ristretta a un campo specifico, come gli anzidetti algoritmi di gioco – abbiano superato le capacità umane, non solo in forza di una maggiore abilità computazionale, ma anche nel senso di avere sviluppato la capacità di individuare soluzioni originali ai problemi cui vengono applicate. La nuova frontiera della ricerca si è, quindi, spostata in avanti ed è ormai costituita dallo sviluppo delle cosiddette AGI, Artificial General Intelligence, ossia modelli capaci di rapportarsi a problematiche per le quali non hanno ricevuto uno specifico addestramento. Sorgono, qui, gli interrogativi più inquietanti, poiché un’intelligenza “generale” è quanto di più simile all’intelligenza umana sia stato fin qui progettato; un nuovo “golem”, si potrebbe azzardare, richiamando (forzatamente, ma neanche poi troppo) il noto mito ebraico che narra di forme di vita suscitate dai rabbini medievali e governate in modo magico dai loro inventori.
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La domanda, finale e decisiva, che Cristianini si pone in Sovrumano, l’ultimo dei tre libri dell’ideale trilogia da lui scritta, è: esiste un effetto Flynn anche per le macchine? James Flynn, un eclettico studioso americano, che ha lavorato perlopiù in Nuova Zelanda, osservò che il Quoziente di Intelligenza umano (QI) cresce con il passare del tempo, mediamente di tre punti ogni dieci anni. Il dibattito sulle cause di ciò non è concluso, ma è ragionevole ritenere che il fenomeno sia indotto, tra gli altri fattori, dal maggior grado di istruzione, da un lato, e, dall’altro, dalla maggiore applicazione di schemi teorici richiesta dalla vita contemporanea.
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Possiamo escludere che questo sia il destino evolutivo dell’Intelligenza Artificiale Generale, una volta raggiunta? Possiamo escludere, per dirla con Cristianini, che le macchine ci battano al nostro stesso gioco? Che sviluppino una capacità innovativa, per il semplice fatto che leggono più libri di quanto possano fare gli esseri umani? Possiamo, in definitiva, escludere che in breve tempo si passi dall’Intelligenza generale (AGI) a quella sovrumana (ASI, ossia Artificial Super Intelligence)?
In fondo, come abbiamo detto poco sopra, il fatto che le macchine ci battano al nostro gioco è già accaduto con le intelligenze specializzate (ANI), che ci superano senza pietà al gioco degli scacchi o del Go. Beninteso, Intelligenza Sovrumana non vuol dire soprannaturale, o magica, ma semplicemente più estesa. Del resto, l’intelligenza è un fenomeno complesso e non solamente umano. Ogni specie vivente ne mostra in qualche modo i segni, dalle operose ed efficientissime comunità di insetti (api o formiche che siano), alla gatta di Cristianini, la quale, come dice lui spiritosamente, non capisce la meccanica quantistica (e non sa cosa si perde), ma forse lo guarda con sufficienza per il fatto che lui non sente arrivare il postino e non vede i topi in fondo al giardino (e non sa cosa si perde). Un fatto è comunque certo: studiando l’intelligenza artificiale l’uomo studia anche la propria, quindi sé stesso.
Trilogia immancabile per capire la direzione che ha preso il mondo.
