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Custodire il Creato, partendo dalle piccole iniziative diffuse
 

Partecipare non significa solo esserci,

ma prendersi cura attivamente,            

di ciò che ci circonda. Dalla gestione condivisa degli spazi pubblici alle Assemblee cittadine per il Clima,

le città italiane stanno diventando

laboratori di una nuova consapevolezza

ecologica e sociale.

Dottoranda in Sviluppo Sostenibile presso l’Istituto Superiore di Pavia e l’Unicatt di Milano

CUCCHIARA Foto profilo.PNG
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“Custodire il Creato non è solo una questione di strategie politiche o innovazioni tecnologiche, ma richiede un coinvolgimento personale e collettivo”. Lo scriveva Papa Francesco nella Laudato Si’, e forse da qui potremmo ripartire per ripensare, in modo più ampio, cosa significhi la partecipazione e quanto sia importante per rispondere alla crisi climatica. Partecipazione, qui intesa non solo come la possibilità di prendere parte alle scelte e alle decisioni che ci coinvolgono ma, in senso più ampio, come la possibilità di sentirsi parte di una comunità. Ed è proprio dalle città che è possibile ripensare la partecipazione attiva come  risposta alle sfide ambientali. “Pensare globale e agire locale”, per dirla con Patrick Geddes, significa trasformare i principi della sostenibilità in gesti concreti, che migliorano la qualità della vita e rafforzano il senso di comunità. Le città, sempre più vulnerabili ai cambiamenti climatici, possono diventare il cuore pulsante di un cambiamento reale, fatto di scelte consapevoli e partecipazione attiva.

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In diverse città italiane possiamo già trovare esempi di questa nuova consapevolezza. A Milano, gli orti urbani e i giardini condivisi non sono solo un modo per decorare gli spazi pubblici: sono presidi di partecipazione, dove la cittadinanza si riappropria del verde, lo coltiva e lo difende. “Giardini in Transito” e gli “Orti Urbani” non sono solo esperimenti, ma modelli replicabili di una città più vissuta e  più condivisa. A  Bologna,  invece, con  i Patti di Collaborazione,  i  cittadini  firmano veri  e propri accordi con il Comune per prendersi cura di alcuni luoghi della città. L’idea è semplice: chi ha un progetto   per   migliorare   un’area   urbana   può   proporlo   e,   se   approvato,   riceve   il   supporto dell’amministrazione. Un modello di partecipazione attiva che sta trasformando il volto della città, rendendola più vivibile e inclusiva grazie all’impegno diretto di chi la abita. Poi ci sono le “Assemblee dei Cittadini per il Clima”, un nuovo esperimento di partecipazione attiva recentemente avviato a Milano, Bologna, Torino e Roma.

 

Si tratta di un progetto che propone una nuova modalità di partecipazione: cittadini che ne fanno parte sono estratti a sorte in modo casuale, ma rappresentativo, della popolazione locale. Attraverso un percorso guidato da esperti, imparano a conoscere i problemi e a proporre soluzioni per le politiche di mitigazione e adattamento climatico. In Francia e nel Regno Unito, esperienze simili hanno prodotto cambiamenti concreti, come nuove leggi per la riduzione delle emissioni. In Italia, il cammino è ancora lungo, ma queste assemblee dimostrano che la partecipazione è un motore di cambiamento reale. A Milano, i partecipanti si sono  confrontati  su  questioni  come  l’aumento  delle  aree  verdi  e  la  riduzione  dell’inquinamento atmosferico;  a  Bologna,  l’Assemblea  ha  discusso  strategie  per  rendere  il  centro  storico  più accessibile con mezzi ecologici; a Torino i cittadini hanno discusso della riconversione energetica degli edifici pubblici.

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Veniamo poi al tema della mobilità, un settore cruciale per la mitigazione climatica e la riduzione degli inquinanti atmosferici. In  questo  ambito possiamo trovare diversi progetti o  iniziative nate proprio a partire da percorsi partecipativi. A Milano, il progetto Strade Aperte ha trasformato alcune vie in spazi pedonali e ciclabili, grazie anche alle richieste di residenti e commercianti. In diverse città le zone 30, dove il limite di velocità è stato abbassato per garantire maggiore sicurezza a pedoni e ciclisti, sono spesso state adottate sulla spinta dei comitati di quartiere. E così pure i piccoli progetti di Pedibus e Bicibus, in cui genitori e volontari si organizzano per creare percorsi sicuri per portare i bambini a scuola, a piedi o in bicicletta. A Bologna, l’iniziativa “Liberiamo le strade” ha portato alla chiusura temporanea di alcune vie al traffico per testare nuove modalità di mobilità condivisa.

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A Napoli,  invece,  un  comitato  cittadino  ha  avviato  un  progetto  di  trasporto  pubblico  di  quartiere, gestito in parte da volontari, per rispondere alla carenza di collegamenti con il centro. Un altro esempio di come si possa coniugare la cittadinanza attiva alla transizione ecologica sono le comunità energetiche rinnovabili. A Magliano Alpi, in Piemonte, i cittadini si sono uniti per creare una comunità energetica che produce e condivide energia solare, riducendo i costi e abbattendo le emissioni. A Napoli, il progetto Energia Condivisa ha permesso a diverse famiglie a basso reddito di accedere a energia rinnovabile a prezzi calmierati, grazie a un sistema di produzione diffusa basato su pannelli solari installati sugli edifici pubblici.

 

Anche Bologna e Firenze hanno avviato iniziative simili, con cooperative che investono in energia pulita e redistribuiscono i vantaggi tra i membri. Queste esperienze dimostrano che la transizione ecologica può essere anche un progetto sociale, in cui la comunità si organizza per ridurre le disuguaglianze e garantire l’accesso all’energia a tutti. E poi c'è il tema dello spreco alimentare, dove le iniziative di cittadinanza attiva stanno realmente facendo la differenza. A Roma, il Mercatino SalvaCibo ha evitato che oltre 50 tonnellate di alimenti finissero nella spazzatura in un solo anno, grazie alla collaborazione tra commercianti, volontari e famiglie in difficoltà.

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A Torino, la rete, RePoPP raccoglie il cibo invenduto nei mercati rionali e lo redistribuisce. A Milano, il Comune ha sostenuto la creazione di Food Policy Hub, spazi in cui la lotta allo spreco alimentare diventa un'azione collettiva. A Genova, invece, un progetto sperimentale ha creato un sistema di raccolta di cibo invenduto   direttamente   nei   supermercati,   con   una distribuzione organizzata da gruppi di volon-tari. Qui il cibo non è solo una risorsa, ma un simbolo di un nuovo modo di stare insieme, più equo, più giusto. Custodire il Creato, allora, non è solo proteggere la natura.

 

È stare nelle cose, prenderle in mano: è un orto condiviso, un mercato che non spreca, un quartiere che si organizza per avere più verde, meno traffico, più aria pulita. È una comunità che si unisce per immaginare un futuro migliore. La partecipazione, in senso più ampio, in fondo è questo: sentirsi parte di una comunità, amare il luogo in cui si vive, e prendersene cura ogni giorno, anche con piccoli gesti.

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