GENTE di
SCUOLA
• Maria Prodi
La valutazione
non è una procedura
La valutazione
non è una procedura
L’anno scolastico era cominciato con l’agenda nuova, le idee in ordine, la voglia di inventarsi qualcosa di bello, come quando si parte per un viaggio.
E finisce con le energie usurate, l’agenda fitta di appunti e la necessità di trarre i bilanci: delle pagelle per gli allievi, del senso del percorso fatto per gli insegnanti.
La valutazione conclusiva è stressante per chi la subisce, ma anche per chi la esercita. Difficile impresa quella di valutare le abilità, ma anche l’impegno; le potenzialità, ma alla fin dei conti i risultati; i saperi appresi, ma nel loro divenire competenze effettive. Difficile impresa e non sempre apprezzata.
Nell’orizzonte delle nostre alunne e alunni ci sono le prospettive terribili delle guerre così vicine, del cambiamento climatico incombente, della gabbia digitale in cui rischiano di scivolare, perdendo il senso delle amicizie e della relazionalità con le persone intorno a loro. Eppure, nella narrazione collettiva sembra che sia l’assegnazione dei voti l’imputato principale per il diffondersi delle fragilità psicologiche: le pagelle, gli esami, le bocciature, i rimandati sarebbero gli incubi di generazioni stressate che percepirebbero come una violenza l’espressione di un giudizio sulla loro preparazione. La narrazione sulla scuola, come compare nei media, fra l’aneddotico e il folcloristico, sembra una caricatura, lontana dal complicato vissuto e dalle reali fatiche relazionali, burocratiche, professionali di chi la vive e la fa vivere. Non solo, sulla valutazione si incrociano le spade della scena politica: governanti e politici arcigni o inclusivi, punitivi o lassisti si sfidano su aspetti ideologici, dimostrando scarsa conoscenza diretta delle prassi e delle modalità concrete con cui si “fa scuola”.
Abissalmente lontani dal vissuto quotidiano nelle classi sono però anche alcune teorizzazioni pedagogiche ispirate ad un’idea di scuola talmente irenica e astratta da assegnare ai docenti modelli irrealistici e procedure così ridondanti da far sentire gli insegnanti, loro sì, perennemente bocciati.
In realtà l’esperienza di molti insegnanti è che gli alunni stessi esprimono la necessità di feedback, di conferme o di esortazioni, di approvazione o di critica. Le modalità in cui si realizza la valutazione sono un mix di sapienza artigianale e di procedure formalizzate e rispondono ad una pluralità di scopi, anche in funzione delle età.
La scuola accompagna una persona dall’infanzia alla maturità, evolvendo da un approccio ampiamente accogliente e protettivo a una dimensione in cui il rispetto stesso per lo studente implica il riconoscimento del suo essere portatore di responsabilità e di doveri. Studiare è un lavoro serio, e non meno impegnativo di altri. Sarebbe strano che non fosse abbastanza significativo da non essere apprezzato nella sua riuscita. Nulla è più offensivo per chi procede verso la vita adulta di una dichiarazione di irrilevanza.
La valutazione intreccia la finalità formativa che valorizza e stimola evolutivamente la percezione di sé e l’impegno al miglioramento, con la finalità più oggettiva di osservazione e dichiarazione dei risultati effettivi.
La valutazione è prima di tutto incrementale, sa cogliere il processo, misura la crescita. La dimensione competitiva, che a volte viene forzata dagli studenti stessi, non va assecondata. La prima sfida è migliorare sé stessi.
La valutazione è comunicativa: conta moltissimo la chiarezza e la comprensione del messaggio. Le elucubrazioni sulle infinite sfumature che il processo valutativo comporta, e che spesso a stento gli stessi docenti riescono a dominare con ripetuti corsi di aggiornamento e atti di fede, riescono a essere chiari e significativi per le famiglie che ricevono le pagelle? A volte ho la sensazione che dietro le bandiere dell’inclusività si creino bolle iniziatiche che escludono chi non ha gli strumenti intellettuali e linguistici per attingere a terminologie e locuzioni troppo elitarie. La scuola deve essere, per sua natura costituzionale, popolare e accessibile, anche a studenti e genitori non molto formati.
La valutazione non è frutto di pesature meccaniche, di conteggi automatici, di mezzi punti o di più e meno infilati in un algoritmo. È frutto dello sguardo dell’educatore, che a volte riscontra ciò che c’è e a volte scommette anche su quello che ancora non è maturato del tutto. A volte si lascia stupire da un guizzo imprevisto, a volte assorbe una delusione per un albeggiare che non si fa mai giorno. È sempre interna ad una relazione individuale fra un adulto che investe aspettative e fiducia e una persona in crescita che si rende conto che è l’atleta che deve correre, non l’allenatore al posto suo, per quanto il coach faccia il tifo.
La relazione fra il docente e l’alunno è personale, ma all’interno di una comunità che è la classe e non può essere sfiorata da sospetti di parzialità o preferenze: se nel docente prevalgono criteri di premialità verso l’impegno ritrovato di un’alunna o di rigore verso la slealtà di uno studente è importante che, nel rispetto della dovuta riservatezza, si riesca a motivare e a generalizzare nella prospettiva di tutti una scelta valutativa.
La valutazione, che sia voto, giudizio sintetico, giudizio descrittivo (o utilizzi le lettere dell’alfabeto, o qualsiasi altro simbolo) se fa riferimento ad una scala predeterminata di n valori è sempre una classificazione di prestazioni. Il voto non è riferito ad alcuna unità di misura: il rischio della classificazione tramite numeri spesso è proprio la confusione che si crea fra quella successione di cifre (un semplice insieme ordinato, come un alfabeto o i mesi dell’anno) e i numeri come misurazioni di grandezze fisiche.
Qualsiasi sia la simbologia scelta per una scala di valutazione, senza un riferimento alle azioni, ai risultati, ai comportamenti, alle prestazioni relativi ai livelli indicati, quella classificazione non avrebbe alcun senso. Questa connessione della classificazione con la realtà che vuole descrivere non si attua solo all’interno dei documenti ufficiali (griglie di valutazione pubblicate sui documenti della scuola, descrittori interni allo stesso documento di valutazione, esplicitazione delle ragioni del voto a lato della correzione del compito), ma si attua ogni giorno nel dialogo educativo e nelle occasioni di incontro con le famiglie. Spesso chi elabora le procedure si dimentica che sono solo una parziale cristallizzazione di un rapporto continuo fra persone che educano e che sono educate: il cartello non esaurisce la strada, ma la indica soltanto.
In fondo anche la valutazione è una parte dell’intreccio di relazioni che è l’educazione: informale e continuativa, ma comprendente anche passaggi più formali e strutturati. Se la scuola non preparasse anche alle prove e agli esami sarebbe autoreferenziale: non dischiuderebbe all’esperienza successiva di studio e di lavoro, che di verifiche e di prove sarà densa.
Non sempre la valutazione è condotta irreprensibilmente? Forse la stessa fallibilità della valutazione (che lo è, come tutte le cose umane) insegna qualcosa: le frustrazioni si superano, le perturbazioni passano, l’imperfezione non ci impedisce di agire e di crescere.
Qualunque classificazione
la valutazione adotti,
la sua connessione con la realtà che descrive si attua non solo all’interno dei documenti ufficiali,
ma lo fa ogni giorno
nel dialogo educativo
e nell’incontro con le famiglie.
La procedura valutativa trae
il suo senso dalla relazione
o resta insensata.
Dirigente scolastica e pubblicista