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Forme geometriche

GENTE di

SCUOLA

 Caterina Corsaro
   I giovani e la scuola   
   come bene comune


 Maria Prodi   
   La generazione  
        
   nello schermo

La generazione  nello schermo

Dirigente scolastica e pubblicista 

Riaffiorano dalle ore di lezione come se mancassero d’aria. Si precipitano sul cellulare, consegnato nel contenitore, e cominciano a scrollare svelti, controllando il flusso inarrestabile di foto e video e digitando velocissimi, come se dovessero riprendersi dall’apnea. Se un tempo per risistemarsi il trucco si tirava fuori lo specchietto, oggi è lo schermo del cellulare che dice alla ragazzina se il look va bene; la vera immagine è quella ripresa, ritoccata, illuminata dal cellulare, perché è quella che esce sui social. È la classifica nel gaming, magari notturno, che porta il ragazzino a misurarsi con i suoi coetanei.  


La generazione di chi oggi è alle medie ha passato, fin da piccolissima, ore e ore davanti al tablet della mamma o al cellulare del papà: in macchina, a tavola, in attesa del medico, ovunque un bambino possa dare fastidio, o richiedere semplicemente attenzione. E poi, dopo adeguato pressing fra la fine della primaria e l’inizio delle medie, ha ottenuto finalmente il proprio smartphone e la falsificazione dell’età per accedere ad almeno un social.  


I genitori non hanno detto di no, perché non sopportano dire di no, soprattutto quando il no riguarda la sfera esterna alla famiglia, in cui i propri figli possano risultare sminuiti o perdenti. È il modo di gratificarsi di genitori a cui nessun mandato è stato affidato se non il compiacimento, la ricompensa emotiva e l’identificazione narcisistica con i propri figli. Il pretesto per dotarli da subito di un cellulare è spesso l’esigenza del controllo: la dipendenza del figlio dal cellulare assicura un cordone ombelicale perenne anche al genitore che può telefonare, messaggiare, inviare emoticon e cuoricini. Ci sono mamme che si sono lamentate con gli insegnanti perché il figlio era irraggiungibile al telefono durante l’ora in cui veniva interrogato...

 

In parte il digitale è solo un supporto: come gli altri, più efficiente di altri. Riproduzione di musica, lettura, scambio di lettere, sono alcune funzioni che si svolgevano in analogico e adesso possono svolgersi in digitale. Ma non è questa la rivoluzione, anche se ha abbattuto i costi e moltiplicato la disponibilità nell’attingimento di contenuti culturali e informativi, dando enormi opportunità anche all’apprendimento. La vera rivoluzione è la creazione di sfere di esperienze che prima non esistevano. Dove noi adulti sconfiniamo, ma delle quali la Generazione Alpha è decisamente nativa.  


I bambini che arrivano in prima elementare hanno già passato un’enorme quantità di ore davanti a uno schermo. Eravamo convinti che alla maturazione cognitiva del bambino servisse l’esplorazione e la manipolazione dello spazio fisico, progressivamente conquistato dalla mobilità autonoma. Spazio percettivo, sensoriale, concreto da cui far emergere, stimolate dalle esperienze dirette, strutture cognitive che si generalizzeranno e astrarranno.  Che esperienza si struttura davanti a uno schermo in cui le immagini si giustappongono senza nessi causali, senza la sperimentazione fisica delle correlazioni fra sensazioni e manipolazioni? La scuola ha a lungo cercato di proporre esperienze in cui la curiosità e l’attività concreta del bambino fossero al centro, pur non avendo mai congedato davvero approcci libreschi, verbosi, astratti. Adesso la realtà immersiva, per definizione alternativa alla operatività concreta, sembra essere il non plus ultra nell’innovazione didattica.  

Cosa deve fare la scuola? Travestirsi da social, digitalizzarsi e incunearsi dietro quel mondo tecnologico che sembra monopolizzare sguardo e pensieri dei suoi studenti? Dobbiamo davvero raggiungere gli alunni precipitati dentro allo schermo, come Alice dentro allo specchio? Quali problemi educativi ci solleva il passaggio al digitale e alla intelligenza artificiale?  


La ricerca su Google ha soppiantato la ricerca in biblioteca, perché è più facile e rapida. La risposta di un Chatbot soppianterà la ricerca su Google, abolendo il residuo contatto con autori e fonti delle informazioni. Che validazione dei contenuti, che idea di verità emergerà quando le informazioni saranno alimentate da una risorsa oracolare e inverificabile come può essere una macchina generativa di testi pescati con algoritmi puramente probabilistici nella mole dei contenuti in rete?

 

Altra grande questione riguarda l’educazione etica. Anche la genesi della morale è esperienziale. Nel bambino il senso morale sorge accompagnato da esperienze di vicinanza emotiva, di immedesimazione empatica nel sentire dell’altro. Il rimorso, l’esperienza diretta delle conseguenze dei propri atteggiamenti, il desiderio di riparare al dolore dell’altro, producono sentimenti di riconciliazione, di riparazione, di decentramento emotivo.  

 

La relazionalità filtrata e artefatta dei social disinveste nell’emozione della vicinanza, allenta l’empatia immediata, solleva dalle responsabilità verso un’altra persona concreta che può diventare vittima di aggressioni social o di cyberbullismo senza che chi infierisce percepisca la gravità degli effetti che produce. 


Uno dei diritti fondamentali che dobbiamo alla nostra umanità è quello di sapere se il nostro interlocutore è una macchina o un umano. A maggior ragione nell’educazione. Io capisco l’entusiasmo per il software che corregge le traduzioni di latino o che sviluppa un percorso di storia, controllando gli apprendimenti. Ma l’educazione non è solo trasmissione di contenuti, anche se la tecnologia può renderla più efficace e personalizzata. Domandiamoci davvero se siamo disposti a ripensare l’educazione come qualcosa che prescinde da una relazione umana fra un adulto significativo e una bambina, o un ragazzo. Al di là degli aspetti occupazionali, non trascurabili, ci sono ragionamenti che ci dovrebbero portare a tematizzare e discutere gli impatti del digitale nella scuola, chiarendo bene che si tratta di dare strumenti nuovi ad una relazione educativa intrinsecamente e profondamente umana, e non a sostituirla.  

Il digitale è il regno di esperienze

che in passato non esistevano,

dove gli adulti sconfinano,

ma di cui la Generazione Alpha

è nativa. Gli impatti del digitale

nella scuola vanno studiati, considerandoli però strumenti

nuovi di una relazione educativa intrinsecamente

e profondamente umana.  

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