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editoriale

Gli strumenti
e il loro uso

La valutazione è di grande attualità:

le prove INVALSI si sono appena concluse, mentre in Parlamento

viene discusso un disegno di legge

per la valutazione degli alunni,

nella cui discussione il sindacato

della scuola non è stato coinvolto. 
Un’altra sfida importante e delicata sarà quella della valorizzazione

e incentivazione di tutto il personale

e, attraverso il nuovo contratto, confidiamo di poter affrontare efficacemente questa tematica. 

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Segretaria Generale

CISL Scuola 

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Qualcuno potrebbe chiedersi perché sia stata scelta, come tema centrale di questo numero di Scuola e Formazione web, proprio la parola “valutazione”. Uno dei più controversi e dibattuti, e non da oggi, nel mondo della scuola: che di valutazione in un certo senso vive, si potrebbe dire, visto che da sempre le si affida il compito di istruire, educare, formare, valutando poi il grado di raggiungimento degli obiettivi attesi, dal profitto al comportamento, da parte di alunne e alunni.

 

Peraltro, proprio su questo è in pieno svolgimento l’esame, in Parlamento, di una specifica proposta di legge, il che conferisce alla nostra scelta almeno il pregio dell’attualità. Su quella proposta abbiamo espresso, nel corso di un’audizione parlamentare, alcune considerazioni di merito, ponendone in premessa una di metodo che ritengo almeno altrettanto importante. Abbiamo infatti sottolineato come non si stesse tenendo nel dovuto conto, ancora una volta, l’importanza di un attivo coinvolgimento del mondo della scuola nel legiferare su materie così delicate, sulle quali non andrebbero mai sottovalutati i contributi preziosi che possono venire dal pensiero pedagogico e dalle migliori esperienze didattiche. Contributi che, anche in questo numero della nostra rivista, sono sicuramente presenti, come potrà apprezzare chi ne scorre le pagine.  


Ma la scuola non è soltanto soggetto attivo della valutazione: da tempi più recenti, che potremmo far partire dai primi anni del terzo millennio, è anche diventata – la nostra scuola italiana – “oggetto” di valutazione.  


Diverse indagini internazionali la mettono periodicamente in confronto con le performance di altri sistemi scolastici, ma soprattutto è ormai consolidata la presenza di procedure di rilevazione mediante le quali l’istituto a tal fine costituito, l’Invalsi, adempie alla prima delle missioni affidategli, quella di provvedere a “verifiche periodiche e sistematiche sulle conoscenze e abilità degli studenti e sulla qualità complessiva dell'offerta formativa delle istituzioni di istruzione”.  


Siamo lieti di ospitare in questo numero della rivista, fra gli altri, l’intervento di Roberto Ricci, che quell’Istituto presiede dal 2021, dopo esserne stato per anni responsabile dell’area prove, sicuramente un ruolo chiave nelle relazioni fra Invalsi e sistema scolastico. Ma a scrivere per noi è anche Benedetto Vertecchi, che ne fu il primo presidente, nominato nel dicembre 2000 all’atto della trasformazione in Invalsi del CEDE (Centro Europeo dell’Educazione), che lo stesso Vertecchi aveva presieduto dal 1997. 


Perché sottolineo questi contributi? Perché nel dibattito sulla valutazione il ruolo e l’attività dell’Invalsi occupano da tempo uno spazio centrale, oggetto di polemiche non sempre sostenute da solide argomentazioni, caratterizzate spesso da un approccio che potremmo definire “ideologico”, nel quale il termine valutazione diviene sinonimo di selettività, di discriminazione, o è usato solo in prospettive che lo vedono funzionale a modelli di istruzione e formazione ispirati a logiche aziendalistiche e di mercato. Non che il rischio non ci sia, intendiamoci, e vi accennano anche gli interventi che ospitiamo sulla rivista: ma è un rischio legato all’uso dello strumento, non allo strumento in sé. Anche un microscopio e un telescopio, del resto, possono diventare armi letali, se usati come corpi contundenti. 


Un discorso a parte andrebbe fatto, ammesso che lo meriti, per il rifiuto spesso manifestato in modo pregiudiziale verso ogni tentativo di tradurre in termini “misurati”, e quindi confrontabili, i risultati del lavoro di una scuola. Un rifiuto che trova la massima espressione nelle ricorrenti polemiche contro le prove Invalsi, con accuse che incontrano talvolta anche in campo sindacale atteggiamenti di comoda accondiscendenza, quando sarebbe assai più serio, responsabile e utile un invito a riflettere su come, quando e perché il tema della valutazione abbia assunto centralità nella definizione delle strategie di politica scolastica nel nostro Paese. 
Non è la prima volta che lo faccio, ma confido nell’efficacia del repetita iuvant ricordando che a porre l’accento sull’importanza fondamentale della valutazione per la qualità del sistema scolastico fu soprattutto, nel Quaderno Bianco sulla scuola del 2007, il governo di centro sinistra guidato da Romano Prodi.  


A chi si ostina a considerare tutto ciò che odora di valutazione come frutto di una trama più o meno oscura e reazionaria, faccio osservare che a guidare il gruppo di lavoro interministeriale incaricato della stesura del Quaderno erano personalità come Fabrizio Barca, Emanuele Barbieri, Giuseppe Cosentino, Piero Cipollone. In quel testo, indubbiamente corposo (256 pagine in formato A4), la parola “valutazione” ricorre 609 volte (873 il termine “scuola”, tanto per avere un termine di paragone). In modo esplicito, “la costruzione di un sistema di valutazione nazionale, incentrato sull’INVALSI”, viene indicata quale “requisito indispensabile per intraprendere un sentiero stabile di miglioramento della qualità della scuola”. Qualità della scuola, ma anche equità di un sistema scolastico chiamato ad agire anche come fattore di riequilibrio rispetto alle condizioni di disparità e disuguaglianza esistenti fra le diverse aree territoriali del Paese.  


Aggiungo infine, trattandosi di un particolare non trascurabile, che il Quaderno Bianco richiama espressamente, nella sua premessa, come importante punto di riferimento, l’Intesa sulla conoscenza sottoscritta il 27 giugno del 2007 fra il governo e le organizzazioni sindacali, della quale mi limito a proporre un breve ma significativo passaggio, laddove si afferma che “la valutazione potrà divenire per le singole scuole uno strumento di diagnosi del proprio lavoro per migliorare l’efficacia della propria azione didattica ed educativa; per chi governa il sistema scolastico, un punto di riferimento per allocare meglio la spesa dell’istruzione, per alimentare di contenuti misurabili e verificabili le scelte allocative”.

Torno alla domanda che ponevo in apertura di queste note, sperando di avere offerto, con questi richiami al passato (comunque non troppo remoto), qualche risposta sul perché abbiamo scelto il termine “valutazione” come focus di questo numero; più ancora, mi piacerebbe aver offerto qualche spunto di riflessione utile a convincerci che “valutazione” non è parola del nemico, cui guardare con ostilità e diffidenza, ma termine che, per quanto succintamente rievocato, possiamo considerare a buon diritto “nostro”, come gente di scuola e come sindacato. 


Non affrontiamo in queste pagine un altro versante del tema “valutazione”, di cui però si occupa estesamente il Quaderno Bianco e, prima ancora, l’Intesa sulla conoscenza: quello della valutazione del lavoro nella scuola, come fattore legato alla definizione di una nuova e diversa dinamica professionale. “Ricercare, in relazione ai progressi del sistema valutativo e del sistema di formazione, e all’esito di esperienze già avviate, i metodi appropriati per realizzare, in sede contrattuale, con risorse specificamente destinate, sistemi di incentivazione, valorizzazione e progressione di carriera per il personale docente, caratterizzato da una specifica professionalità fondata sulla didattica e incentivi per le scuole che, sulla base di verifiche effettuate su elementi di valutazione oggettivi e predeterminati e, tenendo conto delle condizioni iniziali del contesto, conseguano progressi significativi in termini di competenze degli studenti”.  

Non lo affrontiamo qui, ma ne parleremo sicuramente in altre occasioni, magari ragionando del prossimo e spero imminente rinnovo contrattuale. Perché il brano citato, col quale chiudo le mie riflessioni, è tratto direttamente dall’Intesa sulla conoscenza: mi piace leggerlo, perché credo lo sia, come un compito che i sindacati firmatari, tra i quali il nostro, affidavano prima di tutto a sé stessi. Rimasto finora inevaso, resta comunque un compito che non può e non deve trovarci impreparati.

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