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Siamo tutti paritari?
Forse... mah!
Ovvero la favola del minestrone che fa tanto bene

C’è una scuola paritaria che merita        di essere attenzionata e sostenuta,          c’è una scuola paritaria

che deve essere anch’essa attenzionata,

ma non solo dal Ministero dell’Istruzione e del Merito. 

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Già Segretario Nazionale CISL Scuola, è stato direttore di Centro di Formazione Professionale

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Le nostre mamme, raramente i nostri padri, ma solo per necessità, preparavano almeno una volta alla settimana il minestrone. Il piatto non richiedeva grande perizia in cucina, perché era sufficiente mettere in un pentolone riempito d’acqua tutte le verdure presenti in casa, quelle fresche e quelle da riciclare perché troppo datate. Per rendere indistinte le tipologie di verdure, alcune delle quali erano fonte inesauribile di smorfie e rifiuti da parte dei piccoli di casa, le mamme le passavano – si diceva così – per il tritatutto. Il risultato finale era una sorta di indistinta e abbondante minestra – da qui il nome di minestrone – di colore indefinito tra un verde intenso e un pallido marroncino.

 

Si conoscono ulteriori sfumature a seconda degli ingredienti finiti in pentola, sulle quali non è il caso di dilungarci. Se qualcuno si sta domandando cosa c’entri il minestrone con la scuola paritaria, la risposta è presto pronta. Nel pentolone della scuola paritaria, si trova ogni genere di struttura, di offerta, di organizzazione, come le verdure nel minestrone, perché mette insieme scuole che di paritario hanno ben poco e scuole che paritarie lo sono ai massimi livelli di qualità ed efficienza. C’è una scuola paritaria che merita di essere attenzionata e sostenuta, c’è una scuola paritaria che deve essere anch’essa attenzionata, ma non solo dal Ministero dell’Istruzione e del Merito. Queste ultime sono la causa del giudizio negativo e pregiudizievole che si manifesta intorno all’istruzione non statale, fatta eccezione per la sola componente educativa (0-6 anni). Insomma, il parere negativo sul sistema dell’istruzione paritaria, assai diffuso, dipende dall’aver cucinato un minestrone piuttosto che aver valorizzato ogni singola verdura.

 

Occorre avere coraggio e uscire dall’equivoco che la scuola paritaria sia tutta realmente paritaria, sappiamo che non è così, sappiamo che, se si vuole la vera parità, bisogna fare pulizia, bisogna che tale “riconoscimento”, perché di questo si tratta, sia attribuito solo a seguito di un rigoroso percorso che certifichi il possesso di specifici requisiti e, in ultimo, la qualità delle “scuole”. Questo compito, non certo facile, spetta agli Uffici Scolastici Regionali. Un ulteriore elemento di confusione sta soprattutto nel fatto che l’istruzione non statale sia presentata a livello nazionale, trattata e studiata come un “unicum” e non per quello che si è andata a formare, per quello che realmente è, ovvero, un insieme disallineato e disarticolato di esperienze, spesso nebulose, anche contrattuali, ora locali, ora territoriali o regionali.

 

La CISL Scuola da sempre sostiene la necessità che la scuola non statale paritaria sia ricondotta all’interno di un quadro di regole certe e universali. Insomma, che il campo sia liberato dall’infestante gramigna per far crescere il grano. Si è sempre pensato che la “parità” riguardasse il complesso rapporto tra Scuola di Stato e Scuola non statale, in fondo il termine stesso induce a pensarla così. Il confronto, tuttavia, si gioca su un altro terreno, tutto interno al “sistema” non statale. La parità aperta a tutti i richiedenti non è più una conquista (nelle intenzioni del legislatore lo era), ma una sorta di lasciapassare, una autorizzazione senza data di scadenza che, una volta ottenuta, consente a una scuola di rilasciare e di certificare qualsiasi cosa di cui uno “studente”, e a volte un “professore”, abbia bisogno in cambio di un pagamento o di lavoro prestato a titolo gratuito.

 

È così possibile, ma non legale, ottenere diplomi, certificati di servizio, certificati di competenze acquisite senza aver mai frequentato un corso, titoli di accesso e altro ancora, senza che vi sia una verifica non solo sui possessori, ma anche sugli enti certificatori. Fin quando la parità sarà attribuita a tutti quelli che la richiedono, pur non avendone i requisiti, a soffrire sarà la parte migliore delle scuole pubbliche non statali che, loro e nostro malgrado, sono costrette a chiudere. Segno di questo malessere poco curato, perché poco attenzionato, è la presenza di oltre 30 contratti collettivi nazionali di lavoro, secondo quanto riportato dal CNEL, che si contendono le istituzioni educative, scolastiche e formative a suon di ribassi. Il confronto tra i CCNL si gioca sul costo del lavoro, sugli orari, sui diritti. In altri termini la competizione favorisce solo quei gestori che retribuiscono il proprio personale molto meno rispetto ad altri contratti collettivi.

 

La partita si gioca anche sui rapporti di lavoro che sono, in molti casi, riconducibili al tempo determinato, al part time, all’apprendistato professionalizzante, alle collaborazioni coordinate e continuative alle partite iva. La parità con la scuola di Stato, in questi casi, si gioca su questi temi. Si deve uscire da questo scenario in fretta e il primo passo è quello di affrontare l’argomento diversificando i soggetti e gli oggetti sulla base di ciò che realmente sono. Insomma, non giova a nessuno parlare di scuole paritarie (un plurale inclusivo), quando molte di queste scuole non sono paritarie neppure tra loro.

 

Occorre valorizzare quanto di buono una certa scuola paritaria ha prodotto, attraverso le sue organizzazioni di rappresentanza, di controllo e di gestione (AGIDAE, FISM, FIDAE). Fino a qualche anno fa era impensabile che certa scuola paritaria avesse un suo Ente paritetico per la formazione in servizio dei dipendenti, una sanità integrativa di alto profilo, un sistema unico di assistenza agli istituti, un ente di certificazione della qualità, un Ente di Formazione, un ente di previdenza integrativa e così via. Intorno a questi strumenti va ricostruito il sistema paritario, riducendo a non più di due i CCNL riconducibili alle due aree del non profit (cattolici in primis) e profit (laici). Solo così sarà possibile uscire dalla strisciante crisi di settore e dare una nuova identità al sistema paritario, quello della qualità certificata.

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