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Perché
un ministero
"del merito"

Ecco la vera, grande sfida: rilanciare una politica riformista. Merito e bisogno sono i concetti chiave per realizzare un cambiamento concreto tramite la personalizzazione dell’educazione, della formazione, dell’istruzione. In questo senso è fondamentale potenziare l’orientamento.

Ministro dell’Istruzione

e del Merito 

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Testo rivisto dall'autore

Quando abbiamo deciso di cambiare nome al Ministero dell’Istruzione, aggiungendo la parola “merito”, avevo un’idea molto precisa di questo concetto; per renderla esplicita anche in questa sede voglio raccontarvi un’esperienza che ho vissuto mesi fa in una bella scuola della Brianza.  Necessaria premessa: in questo istituto di formazione professionale si è ammessi solo a determinate condizioni e cioè dopo essere stati bocciati almeno due volte o dopo aver avuto problemi con la giustizia. Questa, a mio giudizio, è la perfetta rappresentazione di una “scuola del merito”. Innanzitutto, questo istituto consegue risultati formativi eccezionali: oltre il 90% dei ragazzi, una volta completato il percorso di studi, trova subito lavoro, riscattandosi da un’adolescenza complicata e da un futuro incerto. Quando ho incontrato questi studenti ho voluto stringer loro la mano, vedere come si formavano concretamente in laboratori d’avanguardia, con una didattica molto avanzata. Si tratta di ragazzi meravigliosi, con una maturità e un senso di responsabilità che fanno di loro un esempio.  


A questo proposito, l’art. 34 della Costituzione fa riferimento ai “capaci e meritevoli”; questo articolo, per essere compreso nel suo pieno significato, deve essere coniugato con l’articolo 3 comma 2 della Costituzione: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.  


Ora, io intendo questa norma come la prima direttiva contro la dispersione scolastica. Il compito della scuola è proprio questo: aiutare i ragazzi a superare le difficoltà che incontrano lungo il tragitto e consentire loro di sviluppare le proprie potenzialità. Alla base di questa visione del merito vi è la centralità della persona umana.  


Ricorrono quest’anno i 75 anni dell’entrata in vigore della Costituzione. Voglio quindi ricordare quella bella Introduzione di Giorgio La Pira (che ho citato anche nel mio ultimo libro sui Fondamenti romanistici della Costituzione) in sede di Commissione Costituente dove si sottolineava per quale motivo era necessario mettere la persona al centro di tutta la nostra Carta costituzionale. Era, questa, una reazione contro il totalitarismo nazifascista, che aveva imposto il primato dello Stato sulla persona. In quel suo intervento, Giorgio La Pira affermava esattamente il principio contrario: prima dello Stato viene la persona, e lo Stato è in funzione di essa. Quindi lo Stato (e la scuola con esso) deve valorizzare la persona, e per farlo occorre valorizzarne i talenti. Nel suo puntuale intervento, il professor Bruni ci ha ricordato che, secondo la parabola evangelica, i talenti sono donati. Questo significa che essi risiedono in ognuno di noi, in una forma o in un’altra. La grande sfida è quella di trovarli, riconoscerli, valorizzarli. Partendo da questo concetto, non posso che citare un dato allarmante diffuso da Bankitalia: il famoso ascensore sociale è bloccato dal 1975; pensate che nel 2022 siamo tornati ai livelli del 2000, in pratica abbiamo perso 22 anni. Questo significa che la società italiana (e la nostra scuola con essa) è una società classista, una società delle diseguaglianze, perché chi nasce povero o in condizioni disagiate ha un’altissima probabilità di restare nella medesima condizione.


Ecco allora la vera, grande sfida: rilanciare una politica riformista. Merito e bisogno sono i concetti chiave per realizzare un cambiamento concreto tramite la personalizzazione dell’educazione, della formazione, dell’istruzione. In questo senso è fondamentale potenziare l’orientamento, perché se non si danno alle famiglie e ai ragazzi tutti gli strumenti utili per poter scegliere il percorso più adatto alle esigenze di ciascuno si ostacola il processo virtuoso di valorizzazione dei talenti.


A questo deve aggiungersi anche la capacità della scuola di far emergere i talenti di ciascuno e di valorizzarli: non farlo significa sprecare delle grandi opportunità. Cito un dato di Unioncamere: 1.200.000 posti di lavoro non vengono coperti per assenza di qualifiche corrispondenti. Penso che questo sia un dato drammatico: 1.200.000 opportunità per i giovani non vengono sfruttate perché il modello formativo italiano non è in grado di assicurare qualifiche corrispondenti.  


Ora, la personalizzazione della didattica è fondamentale, per questo nelle linee guida sull’orientamento ho voluto riconoscere importanza alla figura del tutor: quest’ultimo deve lavorare in team con i docenti della classe per coordinare la personalizzazione della formazione, per comprendere  e valorizzare le abilità e le predisposizioni che ogni ragazzo ha, individuando un percorso che sia coerente con i suoi talenti, recuperando ritardi o accelerando per chi sia già più avanti, all’interno di attività curricolare ed extracurricolare svolte d’intesa con i docenti disciplinari. Per edificare la scuola del futuro è necessario superare quel pregiudizio novecentesco per il quale esiste un unico modello di intelligenza.  


All’inizio della mia esperienza ministeriale citavo spesso l’episodio di un mio amico di gioventù, che veniva bocciato in matematica e in italiano ma che con i copertoni delle ruote dei camion riusciva a realizzare degli oggetti meravigliosi. Perché mi piace raccontare questo aneddoto? Perché dimostra che quel ragazzo aveva una creatività, un’intelligenza pratica, concreta, che non aveva nulla da invidiare alla mia, alla quale facevo ricorso per prendere “otto” in latino. Quel mio compagno, tuttavia, non ha avuto l’opportunità di mettere a frutto il suo talento. Ecco perché è importante l’esperienza di quella scuola della Brianza che ho citato all’inizio: se avesse avuto l’opportunità di frequentarla, quel ragazzo avrebbe sicuramente trovato un lavoro all’altezza del suo talento. 


La seconda componente del merito è l’impegno, che è richiesto a chiunque: studenti, lavoratori, cittadini. Quando ero un ragazzo mia madre mi diceva sempre: “Hai studiato, non ti preoccupare della valutazione: qualunque sia il voto che prenderai, è importante innanzitutto che tu abbia fatto il tuo dovere”. Mia madre era un’insegnante e aveva chiaro il concetto che ciò che conta non è necessariamente il risultato finale: quel che conta, a prescindere da esso, è l’impegno che ciascuno di noi mette nel raggiungere un risultato”.  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


In tutto questo è fondamentale il ruolo chiave del docente, al quale deve essere garantito un adeguato riconoscimento economico. Voglio quindi ringraziare Ivana Barbacci, perché anche grazie a lei è stato possibile chiudere finalmente il contratto; abbiamo ormai firmato il cambio di destinazione dei 300 milioni di euro che hanno reso possibile un più significativo aumento stipendiale.  


Poi c’è il problema del rispetto verso i docenti. Perché se un insegnante non gode del rispetto delle famiglie, degli studenti, della società, della comunità, come può riuscire a far emergere le potenzialità dei propri allievi? Privato della dignità della propria professione, quest’ultimo non ha neppure il potere di agire. Il ruolo istituzionale che ricopro mi consente di visitare tante scuole e di confrontarmi con moltissimi docenti: ascoltare le loro storie mi fa capire quanto alle volte sia demotivante, per questi insegnanti, entrare nelle aule e percepire in maniera chiara che gli studenti, e forse la società nel suo complesso, non hanno consapevolezza dell’importanza della loro missione educativa. 


Un altro concetto cui tengo è l’autorevolezza, da non confondere con l’autoritarismo. Ecco perché, per esempio, ho ritenuto di confermare il divieto del cellulare in classe al di fuori degli usi didattici. Spesso capita che alcuni studenti registrino un filmato mentre un docente sta facendo lezione, per poi pubblicare sui social le immagini. A un importante direttore di giornale chiesi, una volta: “Se lei fosse in una riunione di redazione, se si stesse confrontando con i suoi redattori e uno di essi si mettesse a guardare un film mentre lei parla, cosa farebbe?”. Lui mi rispose che probabilmente avrebbe messo alla porta il suo collega. Dunque, per quale motivo si dovrebbe accettare che il cellulare venga usato in classe per finalità non didattiche?  


A tutela del personale della scuola, oggetto di episodi incresciosi, richiederò l’intervento dell’Avvocatura dello Stato: è la prima volta che questa norma viene messa a disposizione del personale della scuola. Quelli che ho appena elencato sono tanti, piccoli interventi atti a preservare l’autorevolezza dei docenti; i quali, a loro volta, devono avere consapevolezza del proprio ruolo.  Da questo punto di vista io credo che la vera “sfida del merito” per i docenti sia legata agli incentivi per una formazione continua, non a un’impostazione gerarchica; essa deve portare a forme di premialità per tutti quegli insegnanti che abbiano voglia di investire nella formazione, evitando situazioni di conflitto o divisioni all’interno del corpo docenti.  


Ora, se vogliamo che ragazzi e docenti si esprimano al meglio dobbiamo investire molte risorse anche nell’edilizia scolastica; questo non soltanto per garantire sicurezza nelle scuole ma per avere anche edifici belli, ambienti confortevoli che favoriscano la concentrazione, la serenità. Dopo un confronto proficuo con illustri architetti ed esperti della materia, presto invieremo una circolare a tutti gli enti locali fornendo indicazioni per la scelta dei colori, per una corretta illuminazione, per un’efficace trasmissione dei suoni, per una migliore aerazione degli ambienti. La scuola deve essere un luogo confortevole, all’interno del quale ci si trova a proprio agio, perché è solo in queste condizioni che emerge il talento. 


Concludendo, io credo che la questione del merito sia veramente il punto nodale di una strategia riformatrice complessiva, che ci permetterà di valorizzare il lavoro dei nostri insegnanti e di dare un futuro ai nostri ragazzi. Una strategia il cui obiettivo finale è fare della scuola italiana il motore di sviluppo del nostro Paese. La scuola deve essere una grande comunità in cui i dirigenti scolastici, i docenti, il personale tecnico-amministrativo e i lavoratori tutti, 1.200.000 persone, siano consapevoli di questa importante missione, realizzando una grande alleanza per il futuro dei nostri giovani e quindi dell’Italia.  

Convegno "Sul merito". Roma, 2 marzo 2023

Giuseppe Valditara, Ministro del MIM

 

"Ministro Valditara, vuole dirci il senso preciso della nuova denominazione che ha voluto dare al suo ministero?"

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