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Sfida tra i banchi: scegliere le parole, abitare i digitale
Sfida tra i banchi: scegliere le parole, abitare il digitale
Il digitale è un innesto ormai
divenuto organico nella cultura contemporanea; dunque,
per chi opera e vive la scuola sono indispensabili percorsi educativi
con particolare attenzione
alla consapevolezza linguistica
e all’uso corretto del linguaggio, soprattutto dei social.
Presidente dell'Associazione Parole O_Stili;
formatrice, esperta in comunicazione


Venerdì incontro sei ragazzi e ragazze di 12 e 13 anni. Parliamo di social, delle loro abitudini online. A un certo punto chiedo se dialogano mai con un chatbot, un assistente virtuale. Senza esitazione, mi dicono di sì: lo fanno quasi ogni giorno, è divertente. Il bello – mi spiegano – è che è sempre disponibile, a qualunque ora. Non ti giudica come fanno i genitori, non ha (apparenti) pregiudizi. E i consigli, anche quando si tratta di problemi di amicizia, sono azzeccati. Che volere di più?
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Il giorno dopo mi chiama un’amica, insegnante di scuola media, per raccontarmi un episodio in classe: durante una verifica sorprende un alunno a controllare di continuo il cellulare sotto al banco. Non stava copiando, ma aveva paura di “perdersi qualcosa” su TikTok o nella chat degli amici. Non semplice distrazione, ma vera e propria ansia da connessione. Due episodi normali, che ci catapultano però in un tema enorme: il digitale non è più solo uno strumento, ma una cultura che tutti e tutte – ragazzi, genitori, insegnanti – abitiamo ogni giorno. È il segnale chiaro di quanto sia urgente educarci non soltanto alle regole, ma soprattutto alla consapevolezza.
DOVE NASCE IL MANIFESTO DELLA COMUNICAZIONE NON OSTILE
Proprio da questa esigenza, nel 2017, è nato il Manifesto della comunicazione non ostile. Un progetto “dal basso”, frutto della mobilitazione spontanea di migliaia di persone: dal mondo della scuola, del giornalismo, dell’attivismo, della comunicazione, ma anche persone comuni. Tutti mossi dalla preoccupazione per il linguaggio sempre più violento e aggressivo che si diffondeva in rete.
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Il Manifesto propone dieci principi semplici e concreti. Non sono regole imposte dall’alto, ma linee guida condivise, nate dal dialogo e dalla partecipazione. Un patto di responsabilità collettiva che invita a riflettere sul potere delle parole e sulle conseguenze che hanno, online come offline. Inizialmente pensato per contrastare l’hate speech, il Manifesto si è presto trasformato in uno strumento per l’educazione alla cittadinanza digitale, per promuovere l’inclusione arrivando nella sua ultima declinazione a interrogare i limiti e le possibilità dell’intelligenza artificiale.
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L'IMPATTO A SCUOLA
Il luogo dove il Manifesto ha trovato naturale terreno fertile sono state le scuole. Docenti di ogni ordine e grado lo hanno portato in classe come bussola educativa, per aiutare negli anni le giovani generazioni a interrogarsi sul linguaggio, a riconoscere le responsabilità connesse a un post, a un commento, a un messaggio inviato in una chat. Oggi il Manifesto è diventato un linguaggio comune: studenti, insegnanti e famiglie lo usano come punto di riferimento per costruire comunità scolastiche più inclusive, rispettose e consapevoli. È appeso in molte aule, corridoi, uffici di presidenza, ma anche sui frigoriferi di casa (esiste anche la versione declinata per i più piccoli).
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E poi intorno a Parole O_Stili è cresciuta una vera e propria comunità, che qualcuno ha chiamato “Netily”: un modo nuovo di abitare la rete e le relazioni, basato sulla cura, sull’ascolto e sulla responsabilità condivisa.
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STRUMENTI GRATUITI PER GLI INSEGNANTI
Uno dei punti di forza di Parole O_Stili è aver messo a disposizione della scuola strumenti concreti e gratuiti. Tra i più utilizzati:
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• ancheioinsegno.it: una piattaforma ricca di materiali didattici, percorsi e schede operative per lavorare in classe sul Manifesto. Le attività sono calibrate per età (dai 3 ai 19 anni) e integrate con i programmi scolastici, in particolare con l’educazione civica digitale.
• il “Megafono giallo”, la newsletter settimanale che ogni lunedì alle 18 propone agli insegnanti spunti, materiali e riflessioni per affrontare le sfide del digitale insieme ai ragazzi.
• MiAssumo, una piattaforma gratuita per l’orientamento, pensata per gli studenti della scuola secondaria di primo e secondo grado: attraverso attività guidate e anche con l’uso dell’intelligenza artificiale, li accompagna a scoprire competenze e possibili percorsi futuri. Partendo da chi sono.
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SMARTPHONE A SCUOLA: DIVIETO O OPPORTUNITA'?
Il tema più discusso a inizio anno scolastico è stato quello degli smartphone in classe. Vietarli? Regolamentarli? Utilizzarli come strumenti didattici? La verità è che nessuna misura è sufficiente se non è accompagnata da un percorso educativo. Un divieto può arginare, ma non basta.​​ L’educazione digitale riguarda tutti: ragazzi, genitori e docenti. Non possiamo chiedere agli studenti di “stare attenti online” se noi adulti siamo i primi a rispondere alle mail di lavoro a tavola o a condividere senza criterio la nostra vita privata. Educare significa essere modelli credibili dentro e fuori dalle aule scolastiche.
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CHATBOT COME AMICI
Riprendendo l’aneddoto iniziale, condivido un dato recente che fa riflettere: il 67% dei ragazzi tra i 9 e i 17 anni utilizza regolarmente chatbot come ChatGPT, e molti li percepiscono come veri e propri interlocutori. Oltre un terzo afferma che parlare con un chatbot “è come parlare con un amico”, una percentuale che sale al 50% tra i più fragili. Ancora più significativo: il 12% dichiara di farlo perché non ha nessun altro con cui parlare. Sono numeri che ci interrogano in profondità. Cosa cercano davvero i ragazzi in questi strumenti? Forse ascolto, disponibilità, risposte immediate, uno spazio dove sentirsi accolti senza giudizi. Tutte dimensioni che ci ricordano quanto la relazione sia centrale, dentro e fuori dal digitale.
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È qui che la scuola torna ad avere un ruolo insostituibile: come palestra di vita digitale, luogo dove allenarsi a riconoscere che parole, immagini e video lasciano tracce, che possono diventare carezze o cicatrici. Dove scoprire che per l’altro spesso siamo ciò che comunichiamo, che le parole sono ponti ma hanno potentissime conseguenze. Che condividere è una responsabilità e qui entrano in gioco anche le famiglie, e gli adulti di riferimento.
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CONSAPEVOLEZZA COME PAROLA CHIAVE
La consapevolezza è la vera chiave. ​​Non basta parlare di “patentini digitali” o proporre blocchi tecnologici. Serve un percorso educativo integrato, che accompagni bambini, adolescenti e adulti a vivere il digitale come spazio abitabile, gentile e condiviso. Siamo noi adulti i primi a cui loro guardano. Che modelli siamo? Quanto ci informiamo rispetto a ciò che succede nella loro vita online? Sappiamo cosa significa passare ore su Twitch a guardare uno streamer, o seguire l’ultima challenge su TikTok, o commentare un reel di Taylor Swift? I ragazzi non vivono il cellulare solo come distrazione: lì dentro incontrano amici, costruiscono relazioni, sperimen-ano, imparano con i tutorial, si informano. Per loro è un pezzo di vita reale.
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E allora la domanda è: quali alternative credibili diamo noi? Che occasioni di relazione autentica sappiamo costruire per invitarli a staccarsi dallo schermo? Ci viene chiesto uno sforzo di creatività non indifferente. Ma vale la pena provarci, perché la relazione vera, quella che lascia il segno, chiede sempre di reinventare modi per dimostrare all’altro che ci teniamo.
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ESSERE ADULTI CREDIBILI
Credo sia inutile vietare il cellulare ai ragazzi se siamo noi i primi ad abusarne o a usarlo male. Non possiamo chiedere loro di spegnere i dispositivi a tavola se noi adulti continuiamo a controllare le notifiche di lavoro tra un boccone e l’altro.
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Non possiamo pretendere che siano prudenti nel condividere la loro vita online se siamo noi i primi a esibire tutto senza misura. La partita si gioca anche qui: nel diventare modelli credibili. Facciamolo per loro. Educhiamoci, informiamoci, impariamo a sbirciare in questi mondi non per controllare ma per capire, per diventare interlocutori validi. Se impariamo a parlare la loro lingua sapremo mandare un messaggio forte: “ci interessi, vogliamo capirti, ci teniamo a te”. Un altro modo, non così evidente ai loro occhi ma potentissimo, per dimostrare quanto li amiamo.
