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Il successo della peer education nelle scuole romane


 Rosy Russo   
   Sfida tra i banchi: scegliere le parole, abitare i digitale

   
 

Sfida tra i banchi: scegliere le parole, abitare il digitale
 

Il digitale è un innesto ormai

divenuto organico nella cultura contemporanea; dunque,

per chi opera e vive la scuola sono indispensabili percorsi educativi

con particolare attenzione

alla consapevolezza linguistica

e all’uso corretto del linguaggio, soprattutto dei social.

Presidente dell'Associazione Parole O_Stili;

formatrice, esperta in comunicazione

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Venerdì incontro sei ragazzi e ragazze di 12 e 13 anni. Parliamo di social, delle loro abitudini online. A un certo punto chiedo se dialogano mai con un chatbot, un assistente virtuale. Senza esitazione, mi dicono di sì: lo fanno quasi ogni giorno, è divertente. Il bello – mi spiegano – è che è sempre disponibile, a qualunque ora. Non ti giudica come fanno i genitori, non ha (apparenti) pregiudizi. E i consigli, anche quando si tratta di problemi di amicizia, sono azzeccati. Che volere di più?

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Il  giorno  dopo  mi  chiama  un’amica,  insegnante  di  scuola  media,  per  raccontarmi  un  episodio  in classe: durante una verifica sorprende un alunno a controllare di continuo il cellulare sotto al banco. Non stava copiando, ma aveva paura di “perdersi qualcosa” su TikTok o nella chat degli amici. Non semplice distrazione, ma vera e propria ansia da connessione. Due  episodi  normali,  che  ci  catapultano  però  in un tema  enorme:  il  digitale  non  è  più  solo  uno strumento, ma una cultura che tutti e tutte – ragazzi, genitori, insegnanti – abitiamo ogni giorno. È il  segnale  chiaro  di  quanto  sia  urgente  educarci  non soltanto  alle  regole,  ma  soprattutto  alla consapevolezza.

 

DOVE NASCE IL MANIFESTO DELLA COMUNICAZIONE NON OSTILE

Proprio  da  questa  esigenza,  nel  2017,  è  nato  il  Manifesto della comunicazione non ostile. Un progetto “dal basso”, frutto della mobilitazione spontanea di migliaia di persone: dal mondo della scuola, del giornalismo, dell’attivismo, della comunicazione, ma anche persone comuni. Tutti mossi dalla preoccupazione per il linguaggio sempre più violento e aggressivo che si diffondeva in rete.

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Il Manifesto propone dieci principi semplici e concreti. Non sono regole imposte dall’alto, ma linee guida condivise, nate dal dialogo e dalla partecipazione. Un patto di responsabilità collettiva che invita a riflettere sul potere delle parole e sulle conseguenze che hanno, online come offline. Inizialmente  pensato  per contrastare  l’hate  speech,  il  Manifesto  si  è  presto  trasformato  in  uno strumento per l’educazione alla cittadinanza digitale, per promuovere l’inclusione arrivando nella sua ultima declinazione a interrogare i limiti e le possibilità dell’intelligenza artificiale.

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L'IMPATTO A SCUOLA

Il luogo dove il Manifesto ha trovato naturale terreno fertile sono state le scuole. Docenti di ogni ordine e grado lo hanno portato in classe come bussola educativa, per aiutare negli anni le giovani generazioni a interrogarsi sul linguaggio, a riconoscere le responsabilità connesse a un post, a un commento, a un messaggio inviato in una chat. Oggi il Manifesto è diventato un linguaggio comune: studenti, insegnanti e famiglie lo usano come punto di riferimento per costruire comunità scolastiche più inclusive, rispettose e consapevoli. È appeso in molte aule, corridoi, uffici di presidenza, ma anche sui frigoriferi di casa (esiste anche la versione declinata per i più piccoli).

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E poi intorno a Parole O_Stili è cresciuta una vera e propria comunità, che qualcuno ha chiamato “Netily”: un  modo  nuovo  di  abitare  la  rete  e  le  relazioni,  basato  sulla  cura,  sull’ascolto  e  sulla responsabilità condivisa.

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STRUMENTI GRATUITI PER GLI INSEGNANTI

Uno dei punti di forza di Parole O_Stili è aver messo a disposizione della scuola strumenti concreti e gratuiti. Tra i più utilizzati:

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•    ancheioinsegno.it: una piattaforma ricca di materiali didattici, percorsi e schede operative per lavorare in classe sul Manifesto. Le attività sono calibrate per età (dai 3 ai 19 anni) e integrate con i programmi scolastici, in particolare con l’educazione civica digitale.

•    il  “Megafono  giallo”,  la  newsletter  settimanale  che  ogni  lunedì  alle  18  propone  agli insegnanti spunti, materiali e riflessioni per affrontare le sfide del digitale insieme ai ragazzi.

•    MiAssumo,  una  piattaforma  gratuita  per  l’orientamento,  pensata  per  gli  studenti  della scuola secondaria di primo e secondo grado: attraverso attività guidate e anche con l’uso dell’intelligenza artificiale, li accompagna a scoprire competenze e possibili percorsi futuri. Partendo da chi sono.

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SMARTPHONE A SCUOLA: DIVIETO O OPPORTUNITA'?

Il  tema  più  discusso  a  inizio  anno  scolastico  è  stato  quello  degli  smartphone  in  classe.  Vietarli? Regolamentarli? Utilizzarli come strumenti didattici? La verità è che nessuna misura è sufficiente se non è accompagnata da un percorso educativo. Un divieto può arginare, ma non basta.​​ L’educazione digitale riguarda tutti: ragazzi, genitori e docenti. Non possiamo chiedere agli studenti di “stare attenti online” se noi adulti siamo i primi a rispondere alle mail di lavoro a tavola o a condividere senza criterio la nostra vita privata. Educare significa essere modelli credibili dentro e fuori dalle aule scolastiche.

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CHATBOT COME AMICI

Riprendendo l’aneddoto iniziale, condivido un dato recente che fa riflettere: il 67% dei ragazzi tra i 9 e i 17 anni utilizza regolarmente chatbot come ChatGPT, e molti li percepiscono come veri e propri interlocutori. Oltre un terzo afferma che parlare con un chatbot “è come parlare con un amico”, una percentuale  che  sale  al  50% tra i  più fragili. Ancora più significativo:  il  12% dichiara di farlo perché non ha nessun altro con cui parlare. Sono numeri che ci interrogano in profondità. Cosa cercano davvero i ragazzi in questi strumenti? Forse ascolto, disponibilità, risposte immediate, uno spazio dove sentirsi accolti senza giudizi. Tutte dimensioni che ci ricordano quanto la relazione sia centrale, dentro e fuori dal digitale.

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È qui che la scuola torna ad avere un ruolo insostituibile: come palestra di vita digitale, luogo dove allenarsi a riconoscere che parole, immagini e video lasciano tracce, che possono diventare carezze o cicatrici. Dove scoprire che per l’altro spesso siamo ciò che comunichiamo, che le parole sono ponti ma hanno potentissime conseguenze. Che condividere è una responsabilità e qui entrano in gioco anche le famiglie, e gli adulti di riferimento.

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CONSAPEVOLEZZA COME PAROLA CHIAVE

La  consapevolezza  è  la  vera  chiave.  â€‹â€‹Non  basta  parlare  di  “patentini  digitali”  o  proporre  blocchi tecnologici. Serve un percorso educativo integrato, che accompagni bambini, adolescenti e adulti a vivere il digitale come spazio abitabile, gentile e condiviso. Siamo noi adulti i primi a cui loro guardano. Che modelli siamo? Quanto ci informiamo rispetto a ciò che succede nella loro vita online? Sappiamo cosa significa passare ore su Twitch a guardare uno streamer, o seguire l’ultima challenge su TikTok, o commentare un reel di Taylor Swift? I  ragazzi  non vivono  il  cellulare  solo  come  distrazione:  lì  dentro  incontrano  amici,  costruiscono relazioni, sperimen-ano, imparano con i tutorial, si informano. Per loro è un pezzo di vita reale.

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E allora  la  domanda  è:  quali alternative credibili diamo noi? Che  occasioni  di  relazione  autentica sappiamo costruire per invitarli a staccarsi dallo schermo? Ci  viene  chiesto  uno  sforzo  di  creatività  non indifferente.  Ma  vale  la  pena  provarci,  perché  la relazione vera, quella che lascia il segno, chiede sempre di reinventare modi per dimostrare all’altro che ci teniamo.

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ESSERE ADULTI CREDIBILI

Credo sia inutile vietare il cellulare ai ragazzi se siamo noi i primi ad abusarne o a usarlo male. Non possiamo chiedere loro di spegnere i dispositivi a tavola se noi adulti continuiamo a controllare le notifiche di  lavoro  tra  un boccone  e  l’altro.  

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Non  possiamo  pretendere  che  siano  prudenti  nel condividere la loro vita online se siamo noi i primi a esibire tutto senza misura. La  partita  si  gioca  anche  qui:  nel  diventare  modelli credibili.  Facciamolo per  loro.  Educhiamoci, informiamoci,  impariamo  a  sbirciare  in  questi  mondi  non  per  controllare  ma per  capire,  per diventare interlocutori validi. Se impariamo a parlare la loro lingua sapremo mandare un messaggio forte: “ci interessi, vogliamo capirti, ci teniamo a te”. Un altro modo, non così evidente ai loro occhi ma potentissimo, per dimostrare quanto li amiamo.

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